di LUCA TELESE
Dai Gattopardi ai Tardopardi, il santo è lungo, una vertigine di follia, un altro gradino disceso nel processo di degradazione della specie della classe dirigente italiana. Dal principe di Salina a Gabriella Carlucci, dal maresciallo Badoglio a Gabriele Antonione da Galeazzo Ciano a Giorgio Stracquadanio, dalla tragedia alla farsa, l’autobiografia della nazione si vira ancora una volta di grottesco, si declina nel passaggio dal melodramma al feuilletton. I TARDOPARDI che abbandonano Silvio Berlusconi fuori tempo massimo mettendosi all’asta sul mercato di Montecitorio, arrivano un momento dopo l’ultima possibile chiamata della storia: il Tardopardo pensa di essere furbo, crede di potersi riciclare con dignità e insieme di mercanteggiare il suo voto, il Tardopardo spera di essere determinante nel nuovo equilibrio, qualunque sia. Il Tardopardo, oggi, vuole allungare la vita del Parlamento accorciando quella del governo Berlusconi, per agguantare il sospirato vitalizio, esattamente come un anno fa sperava di allungare la vita di Berlusconi, ma sempre e solo per agguantare il sospirato vitalizio. Il Tardopardo pensa di essere glamour e invece fa pena, nella sua spudoratezza, nella sua inconsapevolezza, e nella sua involontaria comicità. Beppe Pisanu – che pure è una persona seria – grida dal palco “non ci sono traditori ma traditi”. Un gioco di parole che suggerisce un bel ribaltamento di senso, ma impone una domanda: da quando il tradimento è diventato insostenibile? Da ieri, dall’altro ieri, o da una settimana? Non c’erano invettive o proteste nei giorni estivi in cui si facevano e si disfacevano le cinque Finanziarie che hanno portato l’Italia sul baratro? E non c’erano crisi di coscienza quando si mandavano assolti deputati e ministri azzoppati dalle inchieste? Giorgio Stracquadanio resta stupito per il trattamento Boffo che gli riserva il Giornale dandogli del traditore, ma solo due anni fa il trattamento Boffo lo invocava lui, per gli altri “traditori”. E dunque questa mattina Antonione e compagni salgono ancora una volta i gradini di Palazzo Grazioli per negoziare con il loro creatore qualche elemosina di consenso. E i responsabili dei Pid e dei mille movimenti del Sud si mettono per l’ennesima volta all’asta, e i voltagabbana centristi fuggono nell’Udc con il cappotto di un neodemocristianesimo posticcio appoggiato sulla divisa azzurra ripudiata, come capitò a Benito Mussolini in fuga verso la Germania, travestito da fante della Wermacht. Poi ci sono i sudisti che tardopardeggiano sperando nell’emendamentino, i last-minute che mettono all’asta il voto per un posticino in un governo presente o imminente (basta che ci sia il posto), gli “epistolari” (quelli che manifestano mal di pancia scrivendo letterine), i passo-indietristi che chiedono passi indietro (ma anche avanti), i dissidenti lettiani, i dissidenti tremontiani, e i poveri exaennini in pena, che hanno tradito Fini fuori tempo massimo (che tenerezza Adolfo Urso e l’ex ministro Andrea Ronchi) correndo a chiudersi nel bunker un minuto prima che venisse espugnato (due volte tardi, dunque). CI SONO QUELLI che senza Berlusconi avrebbero contato meno di uno sputo, e che fino a ieri lo gratificavano spergiurando che gli asini volano e che Ruby era la nipote di Mubarak, quelli che ora – invece – sdottoreggiano sulla necessità di far ritirare il premier, quelli come l’onorevole Gabriele Pisacane che ammonisce il centrodestra chiedendo “di aprire un dialogo con l’Udc”, e quelli come il meraviglioso onorevole Pippo Gianni – grande sorriso da democristiano meridiano – che domenica avvertiva con aria grave “sono orientato a non votare per il governo”, e ieri annunciava, con aria altrettanto grave, che è “orientato a votare per il governo”. Comunque sia orientato, è tardopardo pure lui. Siccome questo giornale non ha risparmiato i voltagabbana nel mercato delle vacche del 14 dicembre 2010 (quando correvano a caccia di poltrone da sinistra a destra) occorre ugualmente essere spietati con coloro che, dopo aver cantato le lodi del capo e averlo difeso quando era indifendibile, gli voltano le spalle sperando nel riciclaggio estremo e tardivo da destra a sinistra. Siccome ci ricordiamo di Gabriella Carlucci quando correva contromano nelle corsie preferenziali e quando – lo ha ricordato splendidamente Filippo Ceccarelli ieri – ci ripeteva che “Berlusconi è simpaticissimo, un politico che parla una lingua che capiscono i miei figli adolescenti, racconta barzellette ed è anche superpotente dal punto di vista sessuale”, non cambiamo idea su di lei oggi, che si riscopre morigerata casiniana. D’accordo, il tradimento è inscritto nel nostro carattere: l’Italia unita nasce dal tradimento degli ideali democratici risorgimentali che Garibaldi celebra a Teano. E la riscossa della Prima guerra mondiale inizia con il tradimento dell’alleanza con gli Imperi centrali. Il secondo risorgimento della Resistenza è figlio del tradimento del 25 luglio, la Repubblica vince anche perché il Re aveva tradito fuggendo a Bari. Non c’è dubbio: il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa è – anche – il romanzo della nazione. Mentre i Tardopardi sono solo una barzelletta di Montecitorio.
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