di LUCA TELESE
Luca Bottura non è un buon satirico. È un genio. Il suo albero genealogico della sinistra (lo vedete qui accanto), è una miscela incandescente di neorealismo e follia. Ovvero: la storia del centrosinistra in questi anni. Con le due convention separate dei rottamatori “sciiti” e di quelli “sunniti” (Debora Serracchiani e Pippo Civati separati da Renzi) si celebra un ennesimo congedo fra cari, una nuova scissione di antimateria nel mare magnum del Pd. Un tempo nel Pci si diceva: “Ci sono sensibilità diverse”. Era l’eufemismo che celava l’impossibilità di nominare le correnti, di darle cittadinanza sotto il monolite del centralismo democratico. Che poi voleva dire: ci si può dividere quanto si vuole nel dibattito, ma quando il partito sceglie, la posizione è una sola. Non era una idillio, tutt’altro. E per spiegarlo basterebbe la celebre rievocazione agrodolce del dibattito sul compromesso storico sintetizzata magistralmente dal portantino della sezione Testaccio nell’indimenticabile documentario di Nanni Moretti sul Pci (“La Cosa”). L’eroico militante spiegava: “Te ricordi Moricò? È venuto il compagno dirigente a fa’ le conclusioni… Ma che cazzo me stai a conclude che non siamo d’accordo su nulla?”. Risate. Ora che il centralismo è morto, però, se ne sente la mancanza. Il monolite è stato sostituito dall’album Panini delle correntine rissose, elettori e militanti del Pd soffrono terribilmente gli sbandamenti di un partito in cui ci sono almeno quattro posizioni su tutto (e spesso non si sceglie mai). L’ultimo esempio? Il pasticcio del referendum maggioritario. I dalemiani contro, gli ulivisti a favore, Bersani vota un ordine del giorno perché nessun dirigente raccolga firme, Veltroni lo sostiene (ma fa un passo indietro), Parisi se ne frega, alla fine Bersani spiega: “Abbiamo fatto i banchetti, dovrebbero ringraziarci”. Risposta memorabile dell’ulivista Armaro: “E chi siamo, l’Ikea?”.
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