di LUCA TELESE
La mano, quando il petardo lanciato dalle tute nere gli è scoppiato fra le dita, l’ha guardata una sola volta, non l’ha riconosciuta, e non l’ha più voluta più vedere: “In Ambulanza, mentre gridavo per farmi forza non svenire, non ho mai abbassato lo sguardo. Ho avuto un brivido solo quando ho sentito il medico che chiamando l’’ospedale diceva: ‘E’ un codice rosso! Ipotizzo l’amputazione delle falangi di quattro dita’”. Ha subito una prima operazione sabato, Enzo Montebuoni, il dirigente sindacale, e militante di Sinistra e Libertà, ferito a via Cavour mentre cercava con i suoi compagni un tentativo di infiltraggio dei Black bloc. Adesso quel che è stato salvato della sua mano è chiuso in un pallone di fasciatura e garza, e lui muove le dita sotto le bende senza ancora poterle vedere. E’ ricoverato al Policlinico Umberto I, reparto chirurgia plastica. “I medici – dice – sono stati bravissimi: hanno fatto un miracolo, alla fine ho perso solo la falange del pollice”. Un uomo pacato, Enzo. Uno che non perde la calma, nemmeno quando ragiona nel letto di ospedale. Ad assisterlo c’è sua sorella. Vicino al tavolino i quotidiani, che sfoglia in maniera acrobatica, o si fa leggere, quando passano gli effetti degli anestetici, perché la politica è una passione che non conosce embarghi. Sospira: "Ah avessi la televisione… Lo sai che ci sono anche i due poliziotti feriti?".
Sei furibondo?
No, sono addolorato e dispiaciuto. E non solo per quello che è successo alla mia mano, ma per questa manifestazione sfregiata dalla violenza.
Cosa è successo sabato, a via Cavour?
Stavamo sfilando normalmente. Abbiamo visto una ventina di ragazzi vestiti di nero che si erano infiltrati tra di noi. Abbiamo visto quello che stavano facendo. Non potevano accettarlo.
Che cosa avete fatto?
Siamo intervenuti subito, e li abbiamo nessi fuori dal corteo, costringendoli a raccogliersi sul marciapiede, ai lati della strada.
E loro come hanno reagito?
E’ proprio quello, che mi ha colpito di più. Erano increduli, stupiti, arrabbiati. Ci lanciavano sguardi furenti.
Perché?
Non hanno accettato l’idea che potessimo opporci a loro, impedirlgi di fare qualcosa: hanno iniziato a insultarci e a tirare di tutto.
Chi erano?
A me sono sembrati tutti italiani. Militanti dell'area antagonista nessun infilatro. Erano a volto coperto, ma si capiva che erano ragazzi, giovanissimi, molto organizzati.
Pensi che volessero operare restando nel corteo?
Sì, è stato evidentemente a tutti i compagni. Avevano un’idea chiara, fin dall’inizio, ma noi non potevamo consentirgli di fare quello che hanno fatto senza reagire.
Hai cinquant’anni e trenta li hai passati nei cortei. Cosa vorresti dire a quei ragazzi se potessi parlargli?
Che con la violenza l’unica cosa che hanno ottenuto è stato questo risultato. oscurare la protesta di tanti giovani precari e arrabbiati quanto loro che avrebbero voluto far sentire la loro voce.
Può esistere una via di mezzo fra la violenza e la protesta pacifica?
No. Io mi ritengo un militante di sinistra rigidamente non violento. E credo che dopo sabato si debba aprire una riflessione sull’uso della violenza. E’ già inaccettabile quella contro banche,negozi e auto private. Quella contro le persone è solo follia.
C’è stato un salto di qualità fra questa manifestazione e quelle del passato?
Devo dire che io di cortei ne ho fatti tanti, e ne ho visto anche di molto duri. Non avevo mai visto questa ferocia, da parte di persone che manifestano, e mai una azione così spietata contro altri manifestanti. Credo che questa violenza contro degli inermi e dei disarmati segni un punto senza ritorno, che deve fari riflettere tutti noi.
Cosa farai, alla prima manifestazione che si celebrerà, quando uscirai da questo ospedale?
(Sorride). Tornerò in piazza, come ho sempre fatto, per testimoniare i valori in cui credo. Questo non ce lo può togliere nessuno. Questa è uno dei diritti più importanti che abbiamo conquistato in sessant’anni di democrazia. Anche con mezzo pollice in meno me lo voglio tenere stretto.
Foto | Flickr
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