di LUCA TELESE
Silvio Berlusconi ieri non ha parlato. Conoscendolo è già una notizia. Silvio Berlusconi ieri non ha parlato, ma Montecitorio parla per lui, il Transatlantico è uno scrigno di sussurri, ipotesi surreali, paradossi di ingegneria istituzionale, scenari di governi e di crisi, immagini grottesche: è l’amalgama che non tiene.
La profezia di D’Alema
A metà mattina Massimo D’Alema, sereno come mai è stato di questi tempi, allarga le braccia e azzarda un pronostico: “Non c’è molto da dire. Vivacchiano. Berlusconi farà finta di nulla, proverà a sopravvivere e sapete cosa accadrà? Si andrà a votare a marzo”. Silvio Berlusconi oggi non parla, e Montecitorio è un’amalgama impazzita, in cui ogni singola componente della maggioranza scricchiola, fibrilla, produce ipotesi fantasmagoriche come la nascita di un secondo gruppo responsabile di centrodestra intorno a Claudio Scajola, che permetta di recuperare la maggioranza nella strategica (anche ieri) conferenza dei capigruppo, e regali al suo leader un sospirato re-ingresso nel governo. Questa notte Scajola ha condotto la trattativa più importante della sua vita e solo oggi capiremo se il prezzo era giusto. Silvio Berlusconi non parla, ma fa filtrare virgolettati per i pastoni. “Venerdì incasseremo la fiducia”, “la maggioranza va avanti”, e “Lo vedete che Napolitano non si sta facendo influenzare?”. Frasi che si declinano nel codice dei retroscenisti, ma che valgono come moneta falsa. Questa mattina alla Camera capiremo se davvero Berlusconi crede al mantra che sta ripetendo ai suoi: “Se superiamo questo attacco riusciremo a riprenderci”. Ma il punto è tutto lì, ci vuole “l’amalgama”. L’amalgama fra le tribù leghiste, ormai più divise di quelle libiche, l’amalgama fra le tribù responsabili (un branco di predatori in cerca di poltrone), l’amalgama con Giulio Tremonti, che ormai è a tutti gli effetti un nemico. L’ultima, e più difficile alchimia: quella con il Quirinale. Berlusconi dice che Napolitano gli consentirà di rivotare il Rendiconto dello Stato, “in qualche modo”. Nel Pd si sostiene il contrario, fino a ipotizzare una critica a Napolitano.
Aggrappati alle dentiere
Amalgama. Composto di silicio e minerali costituito per unire, ma soprattutto per tappare buchi, falle, carie dentarie. Alle due del pomeriggio, contornato da uno sciame di giornalisti come un apostolo, intento a declinare il suo verbo odontoiatricamente corretto, riappare l’uomo-simbolo della seconda repubblica e mezzo: Domenico Scilipoti. Uno dei gialli dell’ultima Caporetto del governo è la sua assenza: “Non c’era perché sta alzando il prezzo”, diceva qualcuno. “No, era in tribunale: condannato”, assicuravano gli innocentisti. Macché, era a un congresso odontoiatrico, ha scritto un’agenzia. E lui, ieri, con il sorriso sfavillante da re dei peones tranquillizzava tutti: “Il giorno del voto sono stato in tribunale fino all’ora di pranzo, poi sono dovuto correre da mia madre, novantenne, che si è sentita male”. E poi: “L’odontoiatria c’entra. Stamattina non ero a Montecitorio perché assistevo a un interessantissimo convegno sulle amalgama a base di mercurio…”. Il capannello dei cronisti che lo insegue viene attraversato da un moto di ilarità. Allora lui si pianta in mezzo al corridoio dei passi perduti, e paziente spiega: “Vi farà pure ridere. Ma milioni di italiani di hanno in bocca amalgama a base di mercurio che hanno conseguenze disastrose sul sistema immunitario, fino a produrre il Parkinson”. Una giornalista si preoccupa: “Oddio, io ho una otturazione! La devo levare?”. E dunque accade anche questo, a Montecitorio, che “Scili” si improvvisi guru paradentario. “Non lo faccia! Se l’otturazione è piccola, il rischio della rimozione è ancora più grande!”. Mentre lo ascolto penso che lo scilipotismo produca metafore epocali, e che il tappo di amalgama che compromette il dente è una icona perfetta di quello che ieri accadeva al centrodestra. Sempre più cariato dalle sue divisioni interne, sempre più costretto a tamponare e ad erodere. Davanti ai cessi (un luogo strategico della Camera) un capannello post-democristiano affrontava il paradosso aperto dalla bocciatura. Tiene banco Beppe Fioroni: “Berlusconi non può cavarsela con una fiducia. Deve anche approvare il bilancio che è stato bocciato. Non si può rivotare due volte un testo identico!”.
L’aut aut secondo Fioroni
Davanti a lui Sergio D’Antoni assentiva con aria grave. E Fioroni diceva quello che tutto il Pd oggi pensa: “Non vorrei fare una velata critica al capo dello Stato, ma i casi sono due. O il testo viene modificato, e il ragioniere capo dello Stato si deve dimettere… O non viene modificato, e allora il Colle o Fini devono bloccarlo”. Dicono gli uomini di Berlusconi: “Anche stavolta dimostrerà di avere i numeri”. E intanto si scopre che il discorso non pronunciato domenica dal segretario provinciale uscente della Lega di Varese, Stefano Candiani conteneva questo passaggio: “Noi non c’entriamo con questa Italia puttaniera”. Tutto va bene, assicurano da Palazzo Grazioli. Però persino Renato Farina dice alla Zanzara: ”Il vero Berlusconi è quello che di giorno fa le leggi vicine alla morale cattolica. La notte diventa fragile, intende il sesso come consumo. E’ inaccettabile”. Forse ha ragione D’Alema, stavolta: questa fiducia è un tappo pieno di minerali venefici, una otturazione provvisoria, un’amalgama che non tiene.
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