di Luca Telese
Il giorno dopo il grande colpo, il giorno dopo aver strappato l’assoluzione del decennio Giulia Bongiorno ha un solo rammarico: “Per la prima volta in otto mesi non ho mangiato con mio figlio”. Già, perché lei, l’avvocata dei casi impossibili – Da Giulio Andreotti a Francesco Totti, racconta che da quando le è nato il piccolo Ian è riuscita a seguire tutte le udienze del processo di Perugia senza saltare un solo pasto con il su figlio, a essere una delle deputate più presenti a Montecitorio: “La scommessa di una donna – sorride – non è più riuscire a fare quello che fa un uomo. Quello è già pacifico. Ma piuttosto fare tutto quello che fa un uomo e in più essere madre”. L’avvocata italiana (da ieri) più famosa nel mondo guarda l’Italia dalla finestra di piazza in Lucina a cui per mezzo secolo si è affacciato Andreotti. Ha rilevato il suo studio, ha preso una casa in Piazza del Parlamento “a 32 metri da Montecitorio”, ogni giorno visita tutti e tre i luoghi con regolarità implacabile. Ma io sono nel suo ufficio per chiederle come abbia fatto a ribaltare una sentenza di 25 anni e perché ha scelto di difendere un ragazzo accusato di violenza e omicidio. Lei mi guarda e mi dice: “Il mio maestro, il professor Coppi mi ha insegnato che per difendere una persona non c’è bisogno della verità sostanziale, basta trovare una verità processuale. Io ho violato il suo insegnamento. Perché se volevo difendere Raffaele non potevo che essere certa della sua innocenza”.
Perché?
Perché sono un personaggio pubblico. Una parlamentare. Perché insieme con Michelle Hunzicker dirigo una associazione contro la violenza sessuale. Per non compromettere tutto questo dovevo crederci fino in fondo.
Un buon professionista forense può non credere ed essere lo stresso persuasivo.
Sono subentrata alla fine del primo grado. La sentenza era già scritta. Per poterla ribaltare avevo bisogno di qualcosa di più della sicurezza. Mi serviva entusiasmo.
Non capisco come abbia fatto a fare tutte queste cose e accudire suo figlio.
Quando dovevo andare a Perugia, per fargli il bagnetto io, lo svegliavo alle cinque del mattino. Anche lui se vuole una madre deve adeguarsi ai ritmi forensi.
Che cosa dice ai ragazzi che lavorano a studio con lei?
Che non posso sentire la frase: “Sono le otto e vado via”.
E cosa dovrebbero dire?
“Adesso devo sospendere”, va meglio.
Perché?
Suggerisce l'idea che quando stai difendendo qualcuno, in realtà, non smetti mai di lavorare fino al giudizio.
Sembra una visione spietata della sua professione.
Lei crede? Io per dieci anni ho lavorato tutti i sabati e tutte le domeniche. E sa perché?
Me lo immagino…
No, glielo dico io. Perché in tutti i processi, compreso questo, il segreto non della vittoria non è in un colpo di genio. Ma nella tenacia.
Facile dirlo dopo aver avuto un colpo di genio.
Invece è stato così, anche nel caso Kercher: non esiste un processo in cui non c’è una pagina vincente. C'è anche nel caso, e non era questo, in cui si difende un reo. Bisogna trovarla, però. Come un ago in un pagliaio.
Lei sta parlando del guanto della scientifica, vero?
Ad esempio. Tutti l’hanno visto e hanno detto: ‘Ma guarda!’ Invece sa cosa c’è dietro? Che noi ci siamo guardati tutte le registrazioni della raccolta prove.
Quante ore duravano?
(Ride). Dieci giorni.
Lei è diventata celebre per le arringhe brevi.
A me non piace il modello retorico dell’avvocato che parla tanto, senza contenuti, e con molte citazioni.
Mi faccia un esempio di arringa alla Bongiorno.
Questa mattina in tribunale: tutti chiedevano un’ora, io ho chiesto otto minuti.
Che vantaggio porta?
Almeno due: ti costringe a non sprecare nulla, a focalizzare le cose importanti. E ad essere credibile. La prima dote di un avvocato.
Ma come faceva a dire proprio “otto minuti”?
Semplice: la mattina avevo fatto la prova e mi ero cronometrata: molti elementi, pochi argomenti.
Mi faccia un esempio su questo processo, come se fossi un ragazzo di studio.
Se dico che Sollecito non poteva essere nella stanza del delitto può essere o meno efficace, ed è un argomento…
E lei cosa ha scelto di dire?
Sollecito non era sicuramente nella stanza del delitto, perché non c'è nessuna traccia che lo possa provare.
Ma l’accusa ha detto: le tracce si possono cancellare.
E qui il lavoro di prima è servito due volte: avevamo ingrandito tutte le foto della scena del delitto e- gridando di gioia – abbiamo scoperto dei dettagli decisivi: prima un capello, e poi dei granelli di polvere.
Una prova a difesa?
Certo. L’appartamento non poteva essere stato lavato perché era sporco.
Quanto costano quattro anni di una difesa così?
(Pausa). Sarebbe servito un milione di euro.
Quanto è costata invece la difesa?
(Altra pausa)… Forse 30mila euro.
Il tormentone della sua arringa è stato “La ragazza in pelliccia”. Difendeva Raffaele parlando di Amanda!
E’ vero. Ma il perno dell’accusa era: Amanda è la mente criminale che ha plagiato il ragazzone, il… povero fuco. Occorreva scardinare questo architrave.
E lei era convinta che non fosse davvero così?
Sono stati condannati, in primo grado, perché Amanda era giovane, carina, disinibita. Ovvero perché era mediaticamente perfetta per interpretare il ruolo di colpevole. Dicevo che era Jessica Rabbit: l’avevano disegnata così.
Quindi…
Per difendere Raffaele, dovevo demolire quello stereotipo falso su Amanda. Erano uniti, salvare solo lui sarebbe stato impossibile.
L’ha scelto lei?
No, lo ha deciso lui. Ed era un’altra prova, almeno ai miei occhi. Se anziché difenderla da subito, avesse detto, anche successivamente: ”Non ricordo dove fosse”, ne sarebbe uscito pulito. Ma lui voleva difenderla perché si sentiva innocente, e perché sapeva che Amanda era innocente.
Oppure lo ha detto perché era colpevole come lei e difendeva una complice.
Per tutta l’arringa ogni mia frase iniziava con la venere in pelliccia e finiva con la venere in pelliccia.
Cosa le diceva che anche Amanda era innocente?
Guardi, in quattro anni al banco degli imputati le persone si impara a conoscerle. Però le do un dettaglio.
Quale?
Nello stereotipo dell’accusa, la venere in pelliccia stava incollato al fuco perché era suo complice.E invece?
Non si separava da Raffaele perché non parlava una parola di Italiano. Ma questo l’ho scoperto solo dopo le prime tre domande dirette.
Quindi la prima “confessione” di Amanda?
Non poteva essere fedele perché era tutta in Italiano, e senza interprete!
A cambiare il processo è stata la perizia.
Ho fondato tutto l’appello su quella richiesta.
Ha giocato a poker?
No. Era Raffaele che mi ha dato la sicurezza. Se fosse stato innocente, secondo lei, lo avrebbe fatto? Solo rischiando tutto, però, potevamo scoprire che quello non era Dna ma amido!
Li hanno dipinti come ragazzi immaturi e feroci. Lei ha cambiato questa rappresentazione.
Senta, un buon avvocato è sempre un po’ psicologo: Amanda e Raffaele sono stati condananti da minorenni e assolti da maggiorenni. E’ il dolore del carcere che li ha trasformati.
Mi faccia un esempio.
Tutti possono vedere, anche nelle registrazioni, il Raffaele che nel primo grado faceva disegnini e non ascoltava e udienze. Mi diceva: “Mi può scrivere lei le dichiarazioni spontanee?
E nel secondo grado?
Io gli ho dato titoli della sua arringa, e poi ha scritto tutto lui, da solo. La cosa del braccialetto che toglieva, per dire, mi aveva fatto addirittura arrabbiare, perché non mi aveva spiegato nulla. Fra l'altro non lo poteva nemmeno regalare!
Ma lei sapeva benissimo che il braccialetto avrebbe commosso tutti:
Perché non avete fatto richiesta di risarcimento?
Sta scherzando? Domani ci vediamo con Raffaele proprio per parlare di questo. Con una sentenza così, la considero automatica. Ma deve scegliere lui.
Raffaele e Amanda hanno avuto un’arma segreta nel dipartimento americano?
Questo è offensivo. Nessuno si è domandato quanto abbiano pesato i giornali quando erano tutti colpevolisti. La corte ha deciso da sola, perché è crollata la prova principale, e perché l’orma attribuita a Raffaele era di Guede. Le dico quale è stata l’arma segreta: suo padre.
Anche dal punto di vista processuale?
Certo. Io gli assegnavo i compiti che non potevo svolgere. Sa che gli avevo commissionato un plastico?
Scherza?
Dico sul serio. Lui è bravissimo in queste cose. Di mestiere fa l'urologo, ma ha una grande abilità manuale. Per dimostrare che in una stanza due per due tutti quei copri non entravano.
E perché non l’ha usato?
Era importante. Ma avrebbe distratto. Ci ho pensato la notte, e ho deciso all’ultimo momento.
Come mai?
Se uso il plastico le foto andranno ovunque, domani la venere in pelliccia sarà oscurata. Non mi potevo permettere di rischiare. Un avvocato deve saper togliere.
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