di LUCA TELESE
Bisogna correggere abitudini e stili di vita…”. Roma, villa Borromeo: che spettacolo la faccia scultorea di monsignor Angelo Bagnasco, con la sua pelle di marmo levigato, in questo chiostro, la faccia illuminata di luci teatrali e chiaroscuri, al cospetto di quelle, splendidamente circostanziate, dei ministri berlusconiani. Che spettacolo, il tondo metallico dei suoi occhiali che si siede vicino alla testa ovoidale di Renato Schifani.
Non servono parole, stasera, se non altro perché nulla di quello che è nell’aria, qui può essere detto.
Eppure un dubbio attraversa la platea. Di chi sta parlando Bagnasco quando ricorda, proprio con quelle parole, dell’esempio che bisogna dare ai giovani?
Ecco, in sere come queste capisci perché Roma è la capitale della romanità, il luogo della storia sincretica. Ecco, nel giorno in cui la Chiesa entra in conflitto con il governo sul trauma del crocifisso intermammellare imposto da Silvio Berlusconi a Santa Maria Minetti, nemmeno a farlo apposta, proprio in questo giorno, la Roma politica e quella porporata si danno convegno in uno di quegli angoli di Roma in cui il sacro dà la mano al profano (e, se possibile, anche un uppercut sotto la cintola). Nemmeno a farlo apposta, in un incantevole cortile ottocentesco incastonato nel verde del quartiere Flaminio, un plotoncino di ministri e un battaglione di porporati si sono dati convegno sul centocinquantenario dell’unità d’Italia. Strana giornata per affrontare insieme la celebrazione dell’Unità d’Italia e la blasfemia imbarazzante delle cene eleganti. Ecco, stasera sembra di essere sullo splendido e indimenticabile set morettiano di Habemus papam: tonache, doppiopetti, chierichetti, il coro in camicia bianca e i religiosi di colore, e il ministro Franco Frattini come sempre sorridente (anche senza motivo), reduce dalla campagna internazionale appena messa in piedi per il salvataggio dei cuccioli della periferia di Belgrado.
Ci sono Pier Luigi Bersani, Rocco Buttiglione, sua eminenza Gianni Letta, Angelino Alfano e Rosy Bindi, tanto per abbassare lo sguardo sulla prima fila. In questo cortile si sono riuniti i corpi mistici del Vaticano, della Farnesina e di Palazzo Chigi. Ecco il ministro Carlo Giovanardi, felice come uno scolaro in gita, ed ecco questo immateriale gioco di specchi: Bagnasco sembra che celebri lo Stato con laica deferenza, mentre Letta sceglie il registro affettuoso e curiale: “Eminenza, non ci crederá, anche io cominciavo il mio discorso con Manzoni!”. E a un tratto Letta dice serio: “È ora di lasciarsi dietro le spalle le polemiche…”. Ma il bello è che non parla del bunga bunga, ma della breccia di Porta Pia. Anche il volto di Letta è teatrale, la chioma candida e cotonata ha lasciato il posto a un taglio austero, il viso si è allargato. Letta cita Napolitano (due volte) e mai Berlusconi e proclama soddisfatto: “Qui ci sono i rappresentanti delle Regioni e quelli della Conferenza episcopale, tutto il paese”. Bagnasco parla da statista, Letta da possibile presidente della Repubblica, e si guarda bene dal citare il premier. Berlusconi, df’altra parte, non c’è, come se dal caso Noemi in poi, per evitare imbarazzi, i rapporti istituzionali con la Santa sede fossero “appaltati” proprio al presidente Napolitano, al ministro Sacconi e allo stesso Letta. Berlusconi non c’è e così il tono è leggero: le parole corrono veloci, anche questo rito autunnale se ne va, senza che nessuno possa citare il convitato di pietra della serata. Ma anche in modo che non si possa fare altro – almeno qui – che ignorarlo. Amen.
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