“Sono impazziti, è una vergogna!”, grida Silvio Berlusconi, e batte il pugno sul banco e si incazza, e corre inseguito da due ali di ministri nei meandri di Montecitorio, verso la stanzetta del presidente del Consiglio, sguardi attoniti passi di minuetto, la faccia stupefatta di Michela Brambilla e quella costernata di Andrea Ronchi dietro di lui, e rumori di tacchi, forse anche così finisce un’era. Questi sono impazziti: il paese che si congeda dal ventennio di consenso al Cavaliere, i parlamentari che sfuggono al controllo dei capibastone, un blocco di ghiaccio che si scioglie per colpa di un dito.
Già, il dito. Il dito indice della Creazione, ma anche quello del voto elettronico. Nel primo pomeriggio questo dito lo roteava Tonino Di Pietro, in pieno Transatlantico, come se fosse un’arma. “Vedi? Se voti con l’indice attaccato alla buca dei tasti di voto, si vede solo quello. E se hai dentro la buca un solo dito, non puoi andare sul tasto del no!”. Intorno deputati, giornalisti, le portavoci del gruppo dell’Italia dei Valori. Di Pietro sorride alla sua capoufficio stampa, Fabiola Paterniti. “Sai che faccio io? Mentre voto mi scatto una foto con il telefonino e poi lo mettiamo sul blog!”.
Esce dall’aula elettrizzato dal dito anche Dario Franceschini, capogruppo del Pd. Per un giorno intero tutti dicevano che il suo gruppo sarebbe crollato, sotto il peso dei franchi tiratori, protetti dallo scudo del voto segreto. È accaduto esattamente il contrario. E adesso Franceschini, mentre corre verso la sala stampa con passo garibaldino sorride: “Se non ci fosse stato il dito la Lega non sarebbe crollata”. Cioè? “Ha avuto un peso di deterrenza, no? Mi pare chiaro. L’idea che il nostro voto fosse trasparente, ha impedito la sommersione di chi voleva votare a favore. Ed è questo che ha spaccato la Lega. Se Papa si salvava, era chiaro che si trattava di loro”. Già, la Lega. Quanto conta quel colpo d’occhio dall’alto della tribuna, la feroce sintesi dei simboli. Umberto Bossi non c’era. E tra i banchi svettava Bobo Maroni, questa volta più vicino ai suoi che al governo. I “Maroniti”, ormai tutti li chiamano così, sono stati quelli che seguendo il grande ventre della base popolare del Carroccio hanno spinto in ogni modo sul sì. Prima in commissione, poi in aula. Più di tutti vale il racconto di Anna Rossomanno, deputata piemontese del Pd, che ha seguito il caso Papa nel dettaglio. “Vedi, già in quei giorni del voto c’erano segnali importanti e stupefacenti, su come stava montando la marea nella Lega”. Ovvero? “Due colleghi del partito di Bossi mi hanno fatto vedere i loro telefonini: mentre noi discutevamo di Papa, erano tempestati di messaggini di militanti che li azzannavano. ‘Mica manderete libero quello lì”. Quello lì. Papa, “il terrone”. Pier Luigi Bersani rilascia interviste sulla rampa del giardino: “È finito il vincolo di maggioranza”. Ci deve essere un mondo che scompare e il sipario di un’epoca che si avvicina all’ultimo atto, anche nella reazione a catena che si potrebbe innescare. Sì a Papa e Sì anche a Milanese, ma poi perché dire No, allora, per i reati del Ministro Saverio Romano? La grande montagna dell’emiciclo pidiellino rumoreggiava cori e insulti – “Vergogna!” – contro quelli che chiedevano l’arresto, e sommergevano letteralmente di improperi Rita Bernardini che diceva: “Il 40 per cento degli italiani sono in carcere per la custodia cautelare. Ma non abbiamo fatto nulla per loro. Quindi, noi Radicali, riteniamo di dover votare…”. E parte il grido: “Buffona!”. La Bernardini non si scompone: “Votare sì”. Torna a battere sullo stesso tasto, Benedetto Della Vedova di Futuro e libertà: “Il vostro rigore garantista, onorevole Paniz, non l’ho ascoltato quando in gioco c’era la libertà dei poveracci”. Ci deve essere un mondo che finisce nell’ira con cui Silvio Berlusconi in serata, dopo il voto insegue Bossi, con il sospetto del tradimento che gli scava dentro. “Chiarirò con lui. Questo è un gioco allo sfascio, così finisce anche la Lega” In fondo anche il Senatùr è chiuso dentro un paradosso feroce: o è sospettato di aver fatto un gioco delle parti con Maroni. Oppure è sospettato di non controllare più lui il gruppo parlamentare del partito (e forse nemmeno più il partito). Forse c’è un’epoca che finisce nella regolare sfida a duello che si inscena in Transatlantico fra il casiniano Angelo Cera e il pidiellino Vincenzo D’Anna: “Se vuoi usciamo di fuori e la regoliamo come dico io”, grida il deputato dell’Udc. E D’Anna, sarcastico: “Allora facciamo così. Quando arriva l’autorizzazione su Cesa ci divertiamo!!”.
Forse il mondo che finisce lo puoi leggere anche nelle parole di Roberto Castelli, uomo forte del Carroccio che dice: “Berlusconi è arrabbiato? Mi dispiace perché domani io gli darò un altro dispiacere votando contro la missione”. E come mai l’arringa di Maurizio Paniz questa volta non fa presa? Come mai tutti dicono che l’Udc potrebbe smarcarsi invece non accade nulla? Quando il voto si celebra Rosy Bindi corre via dall’aula, con le lacrime agli occhi: “Piange per Papa?”. E lei: “No. Per quel poveraccio mi dispiace. Ma sto piangendo di gioia perché il voto di oggi è una grande prova per questo paese, un segnale che la politica può cambiare”. Le lacrime della Bindi, e l’ira di Berlusconi. Forse anche così passa un’epoca. Berlusconi ha perso molte battaglie, in questi mesi. Ma è la prima volta che vediamo la sua rabbia indiretta, la sua impotenza, il suo pugno che batte sul tavolo. Forse è la prima volta che vediamo il Cavaliere rappresentare la sua debolezza in diretta televisiva, sotto l’occhio delle telecamere. Una debolezza che potrebbe costargli cara.
di Luca Telese
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