Oggi qualcuno mi ha chiesto: “Ma ti dispiace che Stefano Disegni ti abbia preso per culo nella sua striscia su Magazine del Corriere?”. Ho faticato a spiegare che non mi dispiaceva affatto, anzi. Consideravo quello sfottò allo spot di “In Onda” (guarda il video) un ennesimo segno – insieme ad un fiume di messaggi – del fatto che avevamo costruito un giochino simpatico. Scrivo tutti i giorni e di tutti, ogni tanto mi esercito con il bisturi della penna pure io, considero la satira, anche quella che riguarda me, come la pioggia o il sole: quando si abbattono su di te, devi accettare quello che arriva come una fatalità, non puoi farci nulla.
La cosa che però mi diverte è questa: dovendomi sfottere Stefano mi dipinge come un signorino “so-tutto-io” molto convinto della sua intelligenza (e decisamente gravato dalla sua panza). Ora, l'intelligenza effettivamente c'è, la panza purtroppo pure, che cosa potrei obiettare? Nulla: sono persino felice. Se non che, l'idea (molto carina) dello spot non è mia, purtroppo, ma del poliedrico Massimiliano Lenzi (non amo appropriarmi della creatività altrui). E poi c'è questo dettaglio: che volendo colpire me, Disegni se la piglia con Luisella attribuendole l'unico difetto che sicuramente non ha: il velinismo. Luisella Costamagna ha la soavità di un carroarmato, Luisella per spegnerla quando fa le domande bisogna staccare la spina, Luisella – soprattutto quando la vedo scendere dallo scooter con il suo giubbotto di pelle – mi ricorda molto più una novella Terminator, che una qualche fanciulla dell'Olgettina. A Luisella si può dire tutto, tranne che non si sia fatta venti anni di televisione, che non abbia un curriculum voluminoso, che non porti splendidamente i suoi anni (non ha un filo di grasso e non so come faccia), che non venga da una bella gavetta e da esperienze professionali di primissimo piano da Santoro a Costanzo.
E allora perché Disegni la deve raccontare come una bambola gonfiabile? Perché se uno è pigro, e se vuole attaccare una donna, quello è il cliché più facile. Se una ha la quarta di reggiseno chi mai ti romperà le scatole quando le dici che è una oca bambolona? D'altra parte Disegni ha questo tratto umano, e questa idea delle donne: ha fatto un programma con Bèlen, e subito dopo la chiusura anticipata, per darle un calcetto dell'asino, l'ha presa per culo nella sua striscia con la stessa tecnica. Gli puoi dire qualcosa, forse? E il suo stile. Ho scritto di lui – più con tono descrittivo e affettuoso che aggressivo o censorio – che è un “babbione”. Non immaginavo nemmeno io che questa definizione gli calzasse così tanto. La cosa non deve essere essergli andata a genio, perché la sera della festa de Il Fatto ha esordito qualficandosi così, e poi si è esibito in una sequenza di battute sul fatto che “la sorella di chi gli ha affibbiato quel nome non pensa questo”, e altre soavità di questo genere (non mi turba: sono figlio unico). Disegni è un caso antropologico interessante: così come talvolta riesce ad essere raffinato in alcune sue strisce felici (penso alla meravigliosa saga delle scarpette rubrae di Ratzinger, al calco dei tic quando tratteggia le terrazze romane), spesso si fa stucchevole e greve quando pensa o vuole essere spiritoso. Per un curioso paradosso – come certi clown che non sono riconosciuti da nessuno quando si tolgono la maschera – soprattutto quando esce dal quadrato magico della sua striscia si fa volgare: il suo Misfatto (di cui ero molto curioso) malgrado le ingenti risorse non ha mai un colpo d'ala ed è tendenzialmente confuso. Se fa un fotoromanzo, per esempio, non resiste: una volta su due ci si infila dentro. A Disegni piacerebbe ottenere grandi riconoscimenti, grandi applausi, folle adoranti, purtroppo continua a restare sospeso nell'eterna mediocrità del battutaro di genere. Conterà qualcosa anche il carattere? Certo. Lui è il tipo che ti dice “Bella Fratè!, vieni in camper con me a scrivere!”, come se fosse in un film dei Vanzina, e poi ti un attimo dopo sta fregando il portafoglio. Lui è uno che rifiuta una direzione e designa un altro perché ha qualcosa di più redditizio da fare, e poi subito dopo aver indicato l'erede viene colto dal rimpianto di aver perso un posto, e ti chiede aiuto (ovviamente inascoltato) per cacciarlo via. E' uno che dice “Vauro è il mio migliore amico”, e poi scopri che l'interessato dice: “Con quello non ci voglio aver nulla a che fare, è un infame”.
Lui ha quel senso di attaccamento al denaro per cui non fa nulla gratis, e poi magari ti viene a dire che sei il migliore di tutti perché vuole che tu scriva nel suo giornalino. Lui è il tipo che si infila in un dibattito anche se non era previsto, perché soffre a non presenziare. Per questo, conoscendo tutti questi suoi difetti, un po' gli voglio bene e mi fa tenerezza, perché capisco perché fa parte di una generazione di tardoadolescenti che diventano direttamente vecchi zii senza riuscire a diventare mai maggiorenni, senpre con il casco in mano, l'uso autoerogeno della moto i peli toraci ciimbiancati eppuire malinconicamente esibiti e l'ansia da prestazione. Senza che lui lo sappia, insomma, come per i grandi tipi della lettteratura crepuscolare, la sua maschera comunica qualcosa che trascende la storia individuale per diventare un pezzo di autobiografia collettiva. Ecco perché sono addirittura felice che quando – per una volta – ha svignettato su di me, mi sia capitato un Disegni in stato di grazia rispetto ai suoi standard. Anzi, magari faccio un altro spot in cui mi vesto da velina, con la panza e con le tette pure io: così gli viene più facile inventarsi una battuta spiritosa.
Luca
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