Il termine tecnico è “Tunnel geognostico”. Nel senso che il tunnel su cui si è accesa la battaglia dovrebbe essere uno strumento per conoscere e indagare le caratteristiche del terreno nel punto in cui dovrebbero impiantarsi i cantieri della Tav. Ma la polemica intorno al tunnel è diventata anche un test politico-gnostico. In fondo la guerriglia di questi giorni in val di Susa è una prova per la sinistra in un modo esattamente opposto a quello che si dice sui giornali: non tanto come prova di inaffidabilità futura, quindi, ma come prova di non credibilità retroattiva.
Che dire, per esempio, di Paolo Ferrero, attivissimo in queste ore? Ieri lanciava legittimissimi proclami di battaglia: “L’occupazione militare della Maddalena a Chiomonte non chiude la battaglia contro la Tav, opera dannosa per la valle e per le tasche degli italiani, con i suoi 20 miliardi di spesa per lo Stato italiano. La Val di Susa è parte di una battaglia più grande sui beni comuni: dall’acqua al territorio al lavoro”.
Ma la cosa curiosa è che quando il governo di Romano Prodi varava quel progetto (e quando l’Europa stanziava i fondi, nel 2007), il segretario che adesso si incatena ad un palo per protesta, di quell’esecutivo era ministro del Welfare (e lo era anche quando lo stesso governo raddoppiava le spese per la missione in Afghanistan senza che mancasse il suo appoggio). E il progetto che allora si varava (poi ripetutamente modificato, per renderlo meno invasivo) era molto più imponente di quello attuale. Adesso il leader di Rifondazione “propone la costruzione di una Costituente dei beni comuni” per produrre una battaglia “più forte su questi temi”. All’epoca era dentro la maggioranza di governo che predisponeva il progetto lasciato poi in eredità a Berlusconi. Lo stesso problema si pone per Antonio Di Pietro, che in quello stesso governo era ministro, addirittura per le Infrastrutture. Infatti il leader dell’ Idv in queste ore ha dovuto compiere qualche piroetta. “Noi dell’Italia dei valori – ha detto – riteniamo che siano fondamentali per lo sviluppo del paese le infrastrutture e l’intermodalità. Ma riteniamo altrettanto fondamentale che le infrastrutture non si facciano con il manganello”. E quindi…. “E quindi nella scelta drammatica fra il fare le infrastrutture e farle a manganellate, noi siamo senza se e senza ma dalla parte del rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e delle persone”. Da che discende una morale a dir poco sorprendente: “Noi preferiamo mille volte andare con il mulo – sostiene Di Pietro – che con il manganello sulla testa delle persone”.
Il che potrebbe produrre effetti surreali a Napoli, dove Di Pietro era ovviamente con De Magistris, dalla parte di chi chiedeva che le discariche bloccate dai sindaci per affogare Napoli nei rifiuti fossero sgombrate (anche) con il manganello. Anche Nichi Vendola, leader di Sinistra e libertà, ha avuto i suoi grattacapi. Visto che nel 2007 era governatore della Puglia, era meno esposto dei suoi colleghi e lontano da responsabilità dirette sul progetto Val di Susa. Eppure anche lui è stato attaccato sul piano della coerenza, da Sergio Chiamparino, con una argomentazione comparativa efficace. Come mai Vendola si oppone alla Tav in val di Susa, quando l’ha promossa lungo la tratta Bari-Roma? Il leader di Sinistra e libertà ha controbattuto così: “Sì, ho promosso anche io l’alta velocità, ma sul territorio in cui governo non ci sono stati conflitti, perché abbiamo promosso il metodo della concertazione, e sottoposto al vaglio dei cittadini le scelte che avevamo fatto”. E ha aggiunto: “Si governa con la persuasione, non con i carri armati”. Per il Pd, poi, esiste il problema inverso. E’ favorevole alla Tav, molto polemico con gli anti Tav, ma viene da chiedersi se i dirigenti abbiano seguito il metodo della concertazione con la loro base e i loro stessi sindaci (tutti quelli della valle sono contrari) quando quella decisione era stata presa. Ai tempi della candidatura alle elezioni regionali Mercedes Bresso si giocò la rielezione (i voti dei No-Tav furono determinanti) rifiutando persino di incontrare gli oppositori del progetto nei giorni in cui disegnava la coalizione. Insomma, riaffiora un vizio antico che la maggioranza di Prodi (e la sinistra radicale soprattutto) pagò carissimo. Quel doppiopesismo per cui quando si sta al governo si manda giù tutto e quando si sta all’opposizione si dice di no a tutto.
di Luca Telese
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