Luca Telese la storia di Francesco Cecchin la conosce bene e con il suo Cuori Neri ha contribuito a portarla fuori dal recinto della memoria di parte. «La memoria – dice – non è né di destra né di sinistra. È un discorso civile, bisogna farsi carico di tutte le vittime».
Le polemiche sull’intitolazione del giardino che impressione ti hanno fatto?
Che c’è stata un’oscena confusione dettata dall’ignoranza e dai pregiudizi. Mi è dispiaciuto molto leggere il pezzo di Alessandra Longo che metteva insieme Forza Nuova e Cecchin. Cecchin non sapeva che sarebbe esistita Forza Nuova, non sappiamo cosa ne avrebbe pensato e in ogni caso non ha il minimo senso dire una cosa del genere. Tra l’altro non sanno nulla anche della famiglia Cecchin, che chiese a Forza Nuova di non dare alla sezione il nome di Francesco e che ha portato il proprio lutto con grande decoro e senso di dignità. La madre e Maria Carla, che quella sera era con il fratello e porta il doppio lutto di vittima e superstite, sono uno dei modelli più alti di coscienza civile. In questi anni non hanno mai protestato, mai fatto comunicati sui giornali. Penso che vadano ricompensate almeno con il rispetto. Tutto questo è una follia segnata da un pregiudizio, perché a nessuno verrebbe in mente di dire la stessa cosa di segno contrario.
A nessuno è venuto in mente di protestare quando Veltroni intitolò un viale a Paolo Di Nella…
Appunto. A me non piace l’amministrazione Alemanno, ma trovo incredibile quello che sta accadendo per pregiudizi insensati e crisalidi ideologiche. C’è qualcuno che crede di guadagnare un po’ di consenso combattendo l’intitolazione di una strada a un ragazzo morto a 17 anni, mentre tornava a casa con sua sorella. Il monumento dovrebbe aiutare a cicatrizzare questa ferita, invece diventa il pretesto per una miserabile battaglia di consenso di quattro contrabbandieri di memoria che purtroppo usano la sigla del Pd di piazza Vescovio.
Non credi che dietro quella lettera ci sia anche il tentativo di riaccreditare la tesi dell’incidente?
Quello che hanno detto li assolve almeno da questa colpa, nel senso che dimostrano di non sapere nulla di quello che è successo. Se non fosse così saremmo di fronte anche a una doppia morale: fanno finta di non sapere nulla e ci contrabbandano le loro storie. Ma la storia non è contestabile: c’è una sentenza, è contro ignoti, ma ha detto che lui è una vittima, che è stato aggredito. Mi rattrista molto che questi del Pd, invece stare lì e applaudire, cerchino di strappare l’applauso maldestro di chi dice “che bello fanno un’iniziativa antifascista”.
Perché c’è sempre questo uso della memoria?
Gli anni di piombo vengono evocati per un uso contundente e parziale. Vediamo quello che ha detto la Moratti di Pisapia. È l’uso più facile e lo fa anche un partito come il Pd, che si dice moderato ma che si trova spesso in crisi di identità. Quando non sai se stai con gli operai o con Marchionne diventa terribilmente facile ricorrere a questo riflesso condizionato, è una specie di rifugio.
In questo clima si può fare il monumento per tutte le vittime della violenza politica proposto da Alemanno?
In “Cuori neri” ho raccontato la cerimonia con cui Alemanno e Veltroni hanno intitolato una strada di Villa Chigi a Paolo Di Nella. È stata una delle cerimonie civili più belle. Semplice, modesta, senza inciucismo, con una diversità nei ruoli e nella memoria e due discorsi bellissimi. Penso che se si continua su quella strada non ci possono essere differenze politiche.
di Annamaria Gravino
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