È nato il doppiopesismo industriale. Va bene, non bisogna essere provinciali. D’accordo, ormai lui è l’unto di Obama. Ma quando Sergio Marchionne dice: “L’Italia deve leggere in modo positivo le ultime novità arrivate sull’asse Fiat-Chrysler”, che cosa intende?
Certo, se lo dice l’amministratore delegato del Lingotto c’è da crederci. Marchionne si è intrattenuto con i giornalisti a margine del workshop di Venezia del Consiglio Italia-Usa, dopo lo storico incontro con il presidente degli Usa in un impianto Chrylser a Toledo. Toccava il cielo con un dito: “Se è possibile farlo là, è possibile anche qui”, dice. Già, ma fare cosa? Perché in America la Chrysler aumenta la produzione, mentre in Italia la Fiat la taglia (vedi la chiusura delle linee Y). Il numero uno del Lingotto aggiunge: “In Italia è necessario cambiare atteggiamento”. Dice: “Adesso niente più insulti” (come li chiama lui) ma solo applausi (come accade negli Usa). Unica differenza: l’interesse del manager italo-canadese per Detroit non è pari a quello per Torino, Melfi, Pomigliano. In America parla la lingua del futuro e mette sul tavolo soldi. In Italia rimprovera il peso della zavorra e fa sparire gli investimenti promessi. A Obama spiega con orgoglio di aver difeso l’occupazione a Detroit (ne siamo contenti, bravo) in Italia dice a Che tempo che fa che “Se si potesse scorporare l’Italia dai conti Fiat, questi sarebbero nettamente migliori”. La Fiat guarda agli Stati Uniti non solo per la scalata Chrysler (sale al 54 per cento entro l’estate) ma anche perché programma di stabilire lì la sede del gruppo (anche se continua a giurare che “la testa” rimarrà al Lingotto). E ora il suo “orgoglio americano”, Marchionne lo esibisce: il 24 maggio portava una spilletta rosso-bianco-blu con la scritta Paid, “pagato” (cioè rimborsato i prestiti Chrysler).
Da tempo l’intera strategia di comunicazione di Marchionne punta a rassicurare il pubblico americano in vista dell’entrata di Chrysler a Wall Street. Perché i cittadini statunitensi andranno convinti a comprare le azioni della società, mentre gli italiani servono meno: dovrebbero comprare auto (molte, come l’ultimo arrivo, il Freemont, “Made in Detroit”), ma questo è più difficile: la Fiat investe poco nel prodotto e nei modelli da quando Marchionnne fa “l’americano”. Se Sergio facesse davvero in Italia come a Detroit saremmo più contenti di lui. Paid. D’accordo. Ma paghi anche qui.
di Luca Telese
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