Se ci pensate, anche solo un attimo, scoprirete che c’è solo una categoria professionale che si è trovata più lontana da quella dei politici nella previsione del risultato di queste elezioni: i sondaggisti. Se ci pensate, anche solo un attimo, potremmo suggerire ai politici di buttare nel cestino l’analisi dei flussi che oggi sarà cucinata dagli stessi sondaggisti che in questi mesi avevano sbagliato tutti i pronostici. Andrebbe invece analizzata con cura la lunga onda carsica che ha preparato questo risultato. L’onda delle vituperate piazze, che sono fatte di carne e sangue, contro l’onda dei numeri, che sono fatti di carta, inchiostro e trucchi da chiromante. Se si voleva cercare un segnale premonitore della slavina che ha visto franare Letizia “Crudelia” Moratti a Milano (e il Pdl in tutto il resto d’Italia), in fondo, bastava compulsare le foto di tre piazze negli ultimi dieci giorni di campagna elettorale. 15 mila persone per il comizio di Giuliano Pisapia e Nichi Vendola, per esempio. E solo poche centinaia di militanti per la parata dei ministri per Berlusconi. I gruppetti di agit prop (più il sospetto di integrazione di pattuglie di figuranti Mediaset) davanti ai tribunali per le udienze incendiarie del premier.
E poi il grande bagno di folla – 40 mila? – per il concerto di Roberto Vecchioni in piazza del Duomo, Chiamami ancora Milano. Le facce e i volti – in fondo – erano lì, davanti agli occhi di tutti, si potevano toccare e contare: ma negli stati maggiori del centrosinistra, in questi anni è passato il virus dell’“agorafobia indotta”. Quella per cui il sondaggista sarebbe un sacerdote della democrazia elettorale, e la piazza l’altare su cui si celebra il rito della demagogia e del populismo (a meno che non sia convocata da Giuliano Ferrara). Ma in fondo la “claustralizzazione” del centrodestra, nel capoluogo meneghino è iniziata proprio con lo show orgoglioso e crepuscolare del Teatro Del Verme, quando gli ultras si sono contati nella trincea della radicalità. Quante parafrasi togliattiane a sproposito, in questi giorni: “Piazze vuote, urne piene” (in realtà il Migliore lo disse solo parlando del 18 aprile 1948, e poi per tutta la vita cercò di riempirle, le piazze) come per dire che se la gente si mobilitava era quasi sicuramente un segnale annunciatore di probabile sconfitta.
Invece, in questa stagione rocambolesca e neoclassica, si stanno ribaltando i postulati della Seconda Repubblica: se riesci a coinvolgere le persone, puoi vincere sfide proibitive, se oltre che in tv riesci a farti ascoltare nella società, puoi ribaltare pronostici considerati irrevocabili. In fondo, la traiettoria opposta e speculare delle piazze del centrosinistra e di destra, ha prodotto un ennesimo “chiasmo”: ovvero un curioso gioco di ribaltamento che racconta il crepuscolo del miracolo berlusconiano. La piazza di Campo de’ Fiori, alle amministrative, la piazza dei “gladiatori furibondi” per l’annullamento della lista del Pdl (quel giorno Renata Polverini arrivò persino a cantare!), fu il segnale di ripartenza della mobilitazione del centrodestra. La piazza di San Giovanni (quella in cui Gianfranco Fini non volle andare), fu l’annuncio che il Lazio poteva essere vinto dalla destra, l’ultima grandiosa coreografia del berlusconismo prima dell’ingresso nel crepuscolo.
Il centrosinistra fino a ieri diffidava della piazza e infatti, in un anno di grandi manifestazioni, solo una volta piazza del Popolo ha visto i suoi leader convergere sullo stesso palco (e solo in una manifestazione non convocata da loro!). Poi, però, seguendo questa traiettoria rovesciata, come in un gioco di clessidra, in cui i granelli filtrano da un estremo all’altro, man mano che le piazze di centrodestra si svuotavano (e il lassinismo estremista diventava la cifra morattiana nella sua fase recriminatoria e senile) le piazze dell’opposizione sono tornate a riempirsi, a partire dal clamoroso successo di pubblico della manifestazione delle donne, subito dopo il caso Ruby. Si è detto: ma quello sforzo organizzativo fu sostenuto, anche economicamente, dalla Cgil. È vero. Ma i sindacati e la politica, in questa stagione, hanno messo il catering, mentre le piazze venivano riempite da contenuti prodotti da altri. È vero, il palco di San Giovanni, nel No B. Day fu pagato da Antonio DI Pietro. Ma a far traboccare la piazza fu il tam tam “internautico” del Popolo Viola, la sua incredibile struttura a rete. È vero, è stata la Camusso a pagare il palco della manifestazione delle donne (ottenendo anche di intervenire), ma poi, in piazza, si è riversato un movimento di opinione incredibile, se è vero che un inviato di In Onda, David Parenzo, a Milano ha scovato e intervistato un plotone di suore antiberlusconiane (povero Cavaliere!) che ripetevano: “Questa volta non potevamo mancare”. E che dire di Raiperunanotte , la trionfale kermesse promossa da Michele Santoro? E del Palasharp di Giustizia e libertà? Mentre il centrodestra si trincerava nel palazzo, il popolo della sinistra si mobilitava. A Milano si confrontavano i biliardini vuoti davanti ai sontuosi gazebo di donna Letizia, e le riunioni di quartiere vecchia scuola di Pisapia. La Fiom riusciva a costruire sempre a San Giovannni una delle più imponenti manifestazioni della propria storia. E al Tendastrisce di Roma faceva il tutto esaurito Nichi Vendola per la prima manifestazione nazionale di Sel, mentre la Capitale veniva attraversata – solo pochi giorni dopo! – da un imponente corteo a difesa della scuola prima, e da un significativo corteo di precari poi.
Anche a Napoli il centrosinistra non ha mai convocato nessuna piazza, ma il 21 maggio scorso lo stesso Vendola e De Magistris si immersero in un bagno di folla (di cui però non tennero conto i dirigenti campani di Sel).
Curiosamente, invece, un partito strutturato come il Pd non ha deciso cortei o comizi di chiusura. Però i suoi elettori lo hanno fatto. Piazze piene, centrodestra svuotato. In fondo, questa vittoria, è stata anche questo: una Piazza idea immaginata da gente che è riuscita a pensare controvento.
di Luca Telese
Rispondi