Berlusconi aveva un racconto, per queste elezioni e il gruppo dirigente del centrosinistra no. Però gli elettori progressisti hanno trovato il modo di riscrivere il finale della storia, mentre il racconto di Berlusconi c’era sì, ma era totalmente sballato: un film in bianco e nero in un mondo a colori, un documentario seppiato nel tempo digitale.
Quella del Cavaliere è stata una campagna elettorale amministrativa anacronistica. Tutta centrata sulle sue ossessioni più o meno recenti: le battute su “la mela che sa di fica” e quelle sui “magistrati brigatisti”, i proclami condonistici, i regali ai signori delle spiagge. Ieri 12 milioni di italiani nelle urne hanno detto: “Voltiamo pagina”. Cambia il vento. Crollano le roccaforti della destra, Cagliari e Milano, vince il centrosinistra a Torino e Bologna. A Napoli il duello rusticano fra le “due sinistre” proietta De Magistris verso una possibile vittoria. Una lunga notte di numeri e passioni che passerà alla storia come la “Breccia di Pisapia” (CopyrightRiccardo Mannelli). “Ci metto la faccia”, aveva gridato spavaldo Berlusconi candidandosi a Milano: ha preso meno voti delle elezioni precedenti.
E così ora Letizia Moratti (“È la mamma di Batman, fa finta di essere Mary Poppins, assomiglia a Crudelia“, ha riassunto icasticamente Nichi Vendola) diventa il capro espiatorio di una nuova Caporetto: “Ha sbagliato nel duello su Sky”, dicono i suoi, “È stata troppo fredda”. Quadretto illuminante. Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello si incrociano nello studio de La 7 mentre arrivano i primi dati della disfatta all’ombra del Duomo: “Hai visto Milano?”, dice il primo. “Adesso scoppierà un casino…”, risponde il secondo. E’ tutto pronto. Diranno che è stata Letizia a perdere: con i suoi milioni di euro sbattuti con arroganza sul tavolo, il suo colpo basso fuori tempo massimo nel duello elettorale. Adesso le veline ufficiali dicono: “Berlusconi non era d’accordo”. Ma la verità è che lo stesso vento soffia – per esempio – anche all’ombra del Castello, dove il giovane Massimo Zedda strappa il ballottaggio con un risultato miracoloso. E cosa unisce i due candidati di opposizione? Non tanto il fatto che fossero entrambi di Sinistra e libertà, quanto che fossero tutti e due figli delle primarie: con la società civile che riscrive le liste predisposte dagli apparatnik e li sospinge al ballottaggio da posizioni di forza. Non riguarda solo Pisapia e Zedda: le primarie hanno rafforzato anche Piero Fassino (facendo emergere la coalizione al centro, con Gariglio, e a sinistra, con Michele Curto) e persino il candidato più debole (Virginio Merola, quello che non sa in che campionato giochi il Bologna!), hanno messo in moto la macchina della mobilitazione. C’erano le piazze piene: 50 mila persone a Milano la sera di Vecchioni; folle imponenti per Vendola in ogni angolo d’Italia (il centrosinistra trionfa, fra l‘altro, in Puglia); c’era un pezzo di società raccolto intorno a De Magistris a Napoli: la tv non aveva raccontato questi fenomeni, e le segreterie non se ne erano accorte. Ma hanno contato.
Sì, Berlusconi aveva un suo racconto. La mattina della vigilia, su tutti i quotidiani, il medesimo retroscena: Il Cavaliere sicuro: “A Milano vinciamo al primo turno, la gente è andata a votare per noi”. Curioso strafalcione, nel giorno in cui ha dovuto ammettere: “Sono amareggiato”. Di notte arriva la nuova velina di Palazzo Grazioli: “Ha vinto la sinistra estrema”. In realtà Berlusconi aveva sottoscritto e coperto i due episodi -simbolo della campagna elettorale, il vero trionfo dell’estremismo: ovvero i manifesti sulle procure brigatiste di Lassini (al punto che il candidato è rimasto in lista ed è salito persino sul pullman del Milan campione), e l’attacco sul processo per furto d’auto a Pisapia.
La verità è che lo stesso tentativo di trasformare le amministrative in un voto politico ed ideologico si è trasformato in un boomerang: successe anche a Massimo D’Alema, nel 2000, ma continuano a caderci tutti (diceva Montale: La storia non è magistra/ di niente che ci riguardi”). Il tracollo di Pdl e Lega a Milano è solo la metafora perfetta di un cataclisma, il racconto del punto della storia in cui cambia il vento: la città in cui è nata Mani pulite, hanno trionfato prima la Lega (ricordate Formentini?) e poi il Berlusconismo (prima con la bella faccia del Borghese Albertini, poi con il ghigno cotonato della plutocrate Moratti) può diventare anche quella in cui risorge la sinistra. Su tutto pesa l’incognita della Lega che annulla la conferenza stampa convocata per le sette di sera, per attendere i risultati dei comuni dove il Carroccio corre contro il Pdl, in comuni come Gallarate, o Rho (dove, per esempio, la Lega va al ballottaggio tagliando fuori il Pdl).
Resta il problema del centrosinistra e del Pd: dove prova a riprodurre le logiche degli apparati senza rispondere al bisogno di cambiamento (vedi il pasticciaccio di Morcone a Napoli) il principale partito di opposizione scompare. Dove accetta i verdetti delle primarie, il Pd acquista un senso e la possibilità di vincere (come già in Puglia e a Firenze). Ma ieri la corretta dichiarazione di Bersani (“Vinciamo noi, perdono loro”) era letta con un tono talmente entusiastico da ispirare una battutaccia a Gepi Cucciari (“Sembrava una partecipazione funeraria”). “Questo voto è uno dei tre uppercut a Berlusconi”, gridava raggiante Antonio Di Pietro. E sarebbe sicuramente vero, se non proseguisse il paradosso di una coalizione che vive praticamente in clandestinità, e che non ha mai visto (nemmeno una sola volta!) i suoi leader salire sullo stesso palco. Questo voto è – a sinistra – la migliore risposta agli azzeccagarbugli e ai dalemoni che hanno l’ossessione del “terzo Polo”: questo strano centrosinistra, vitale tra i suoi elettori, e “clandestino” tra i suoi dirigenti, può vincere anche da solo quando lavora sulla realtà e sui problemi veri. Può vincere anche in Italia, se supererà il calcoli di bottega, e sfrutterà le primarie per scegliere una leadership con cui archiviare l’estremismo in bianco e nero del sovrano di Arcore.
di Luca Telese
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