“Ahò questi mi sembrano tanto improvvisatori, maldestri e privi di un buon autore… Riciclano battute archeologiche, scontate, quasi sempre banalissime”. Francesco Pannofino è il volto nuovo della comicità italiana, l’uomo-simbolo del cult Boris, un campione di incassi al botteghino, sia con il lungometraggio tratto dalla serie, sia con il film-sorpresa Rotta su Cuba. Ma, se lo interroghi sul nuovo corso del turpiloquio della vita pubblica sorride: “Sai, non c’è niente di più triste dei politici che pensano di essere divertenti. Non c’è nulla di più malinconico degli statisti che si inventano battute sboccate”.
Perché?
Per almeno due motivi.
Dimmi il primo.
Evidentemente loro pensano che la battuta greve sia una trovata originale e moderna. Bisognerebbe informarli che è il trucco più vecchio del mondo, per darsi un tono.
E poi?
I nostri politici fanno già molto ridere, anzi sono degli esilaranti comici involontari, soprattutto quando cercano di sembrare seri…
Sei perfido!
No, è una semplice constatazione: quando si sforzano di diventare comici diventano inevitabilmente patetici!
Voi comici pensate di avere il monopolio della comicità colorita?
È il nostro mestiere. Sono loro che sconfinano. A me non passa per la mente di andare a Palazzo Chigi…
In “Boris”, però, avete inventato un personaggio che è caratterizzato dai tormentoni grevi…
Sì. Quello è un paradosso nel paradosso. Il personaggio di Massimiliano Mastelloni, in origine, doveva essere la satira dello slang da set: una caricatura del trucidone che campa su due battute fisse: ‘Bucio di culo’ e ‘sti cazzi”.
E poi?
Quel personaggio si è cristallizzato su quelle due battute, e su questo è arrivato al successo. A me mi ferma la gente e mi grida, in omaggio a René: “E daje!”.
E a lui?
Come lo vedono urlano: “Bucio de culoooo!”. Eh, eh, eh…
Non mi hai ancora detto se per te il turpiloquio è il futuro o il passato.
È uno degli ingredienti della comicità. Ma basta eccedere nel dosaggio e si scade nel grottesco. Però…
Cosa?
È curioso constatare che chi sta su un palcoscenico questo lo impara subito. Mentre è chiaro che chi siede in Parlamento, anche studiando la vostra desolante statistica, puó non capirlo mai.
Il politico sboccato è più accattivante?
Secondo me per nulla. Si abbassa di livello. È in una parte che non gli appartiene.
Tu hai usato lo slang?
Preferisco la comicità sofisticata. Però, come dirlo? Quando ce vo’ ce vo’.
Esempio?
Se la battuta è: “Ma che cazzo stai a dì?”, il comico sarebbe ridicolo se dicesse invece: “Ma cosa diamine mi stai dicendo?”. Invece un politico questa battuta sul copione non dovrebbe averla mai.
Eppure si può sconfinare.
Mica tanto. Io posso recitare la parte di un ministro, ma non so fare un piano regolatore. Perché servono dei saperi che io non ho. Un politico che spara cazzate e improperi e insulti ma non ha i tempi comici finisce due volte fuori ruolo.
È il rischio più grande?
No, può accadergli di peggio.
Cosa?
Diventare prevedibile. Allora, in quel caso, invece di ridere si piange.
Quindi questo sconfinamento non è un segno di modernità?
Macché. Solo crisi di idee, direi. Peccato che il rimedio sia peggio del male.
di Luca Telese
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