"Le prossime elezioni saranno un test politico nazionale”. Se c’è uno che lo ha capito è Berlusconi. Se c’è qualcuno che sembra ancora non averlo capito sono i gruppi dirigenti dei partiti del centrosinistra, che appaiono non sempre consapevoli della posta in palio – come sui referendum d’altronde –, troppo spesso coalizzati quasi controvoglia, e troppo spesso intenti a martellarsi sugli zebedei. Eppure, mai come oggi le distanze si sono accorciate. Ci sono tre città, che meglio di ogni altro raccontano la croce e la delizia di questo centrosinistra che muove i suoi primi passi incerto tra l’entusiasmo e la rissosità: Milano, Cagliari e Napoli. Ci sono tre città in cui la destra pensava di poter vincere a mani basse, e in cui adesso invece Berlusconi trattiene il respiro, sperando che il Tafazzismo (la peggiore malattia congenita della sinistra italiana) produca il solito effetto harakiri. Ci sono tre città in cui – invece – in queste ore il centrosinistra sta recuperando consensi insperati. La notizia più sorprendente arriva da Milano. Tre mesi fa sembrava sconfitta già scritta, per le opposizioni, fin dal primo turno. A Milano, Albertini era stato rieletto spendendo al secondo mandato, virtuosamente, solo 15 milioni di lire. Alla Moratti forse non basteranno 15 milioni di euro.
Il disastro dell’Expo e le primarie, hanno cambiato le carte in tavola. Perde l’architetto Boeri, vince l’avvocato Pisapia. Quel voto rimette in moto energie: la Moratti si spaventa e butta sul piatto l’argent de poche del marito pur di vincere la campagna elettorale. Allestisce gazebo in tutta la città, affigge grotteschi sei per tre ovunque in cui appare come una specie di santa protettrice, sorridente (e terribilmente incombente) al fianco di incolpevoli pensionati, lavoratori, bambini sorridenti. Spedisce a casa di tutti i milanesi un fotoromanzone dolciastro sul modello della “Storia Italiana” di Berlusconi. Dovrebbe essere un grande lifting di immagine, rischia di essere un boomerang. I biliardini davanti agli sportelli del comitato elettorale spesso sono deserti e i sondaggisti rivelano al centrodestra un dato sorprendente: un pezzo importante di borghesia laica meneghina, che negli anni Ottanta votava Psi, e negli anni Novanta votava Forza Italia, questa volta potrebbe votare il grande avvocato garantista, senza essere spaventato dal suo passato di parlamentare di Rifondazione. Solo illusioni? Mica tanto, se è vero che donna Letizia deve rincorrere in salita, uno per uno (proprio lei che ha il calore incandescente di un iceberg!) i voti popolarissimi dei leghisti riluttanti. Per farlo sale persino sul palco dei giovani padani e si incolla, con piglio di grande annuitrice, alle spalle di Bossi. Non le va benissimo – in platea – se è vero che dal fondo gridano: “Umberto, manda a casa il governo!”. E il leader del Carroccio deve rispondergli: “Va piàn…”.
Secondo quadretto, all’ombra del casteddu. Sorprendendo tutti, un altro candidato di Sinistra e libertà Massimo Zedda (un ragazzo di 35 anni), alle primarie sbaraglia il senatore Antonello Cabras, vecchio volpone del Pd. E dire che per l’occasione si era ricomposta la faida sarda fra soruani e antisoruani. Niente da fare: il grande professionista della politica – dalemiano nuragico – viene battuto con il 46%. Il principale partito del centrosinistra all’inizio non la prende bene. Il segretario regionale vorrebbe persino negare al vincitore l’uso del simbolo del Pd sul manifesto. Ma il candidato non nasconde i dissidi e non fa una piega: “Se c’è una cosa che non dobbiamo fare è mostrarci disuniti agli occhi, occorre quindi accantonare da subito i personalismi per consegnare alla nostra città un nuovo modello di sviluppo”. La campagna stile-Vendola mette in gioco il popolo delle chiavette Internet, suscita entusiasmo. Dieci giorni fa i sondaggi dicono che la vittoria della destra al primo turno è stata disinnescata. E al ballottaggio cambia tutto. Esattamente come a Milano.
Esattamente come a Napoli, dove il pasticcio creato dai dirigenti locali è da Premio Oscar tafazziano: prima si silura l’ottima candidatura di Umberto Ranieri (che aveva raccolto le speranze dei riformisti) con delle primarie taroccate (ancora non si sa quale sia il risultato). Poi Bersani deve spedire un commissario politico, Andrea Orlando, che tira fuori dal cilindro la candidatura di un prefetto. Stavolta, però, non si vota e non si concorda con gli alleati. Così, rifiutando questa logica si candida il grande assente delle primarie, Luigi De Magistris, sostenuto da Idv e Rifondazione. Inizia una guerra civile a sinistra, in cui l’unico partito che fa votare i suoi elettori, Sel, si spacca in due (anche se prevale Morcone). Adesso il paradosso è perfetto: i sondaggi dicono che De Magistris ha più possibilità di vincere al secondo turno, ma la lotta tra le “due sinistre”, avvantaggia lo spento Lettieri, candidato del centrodestra assistito da un consulente di immagine di sinistra (l’ex assessore di Bassolino, Claudio Velardi). Insomma, tre possibili ballottaggi, tre possibilità di vittoria. Chissà cosa potrebbe accadere se a sinistra si finisse di darsi martellate nei coglioni, chissà cosa accadrebbe se cominciassero a copiare la destra, che – come a Milano – marcia sempre divisa, ma colpisce sempre unita.
di Luca Telese
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