Curiosamente è una “notte” anche questa. Non quella della Repubblica, che Sergio Zavoli raccontò splendidamente da giornalista del servizio pubblico, dipanando il filo della memoria degli anni di piombo. Ma “la notte della commissione di Vigilanza”, di cui Sergio Zavoli si trova a celebrare il rito, tutto compreso (e forse persino prigioniero) nel suo ruolo di presidente e garante. Un presidente che ci tiene ad apparire super partes, ma che finisce per ritrovarsi costretto dalla maggioranza a vagliare, una dopo l’altra, proposte sempre più liberticide.
Non esordì splendidamente a dire il vero. Appena insediato, nel 2009, spese le prime parole contro Michele Santoro: “Deve dar voce – disse – a istanze diverse. So che lui al dibattito vero e proprio, con la sua preminente ritualità preferisce l’inchiesta costruita sui servizi degli inviati e le testimonianze raccolte sui set qua e là allestiti” (su Vespa non disse nulla).
All’inizio di marzo, poi, il centrodestra ha fatto un primo test censorio, con la meravigliosa proposta formulata del capogruppo del Pdl Alessio Butti: quella di impedire con una direttiva di trattare lo stesso argomento in due talk-show diversi nella stessa settimana. E, contemporaneamente, con la formidabile trovata delle “targhe alterne”. Quella secondo cui i conduttori avrebbero dovuto sospendere il loro programma una settimana sì e l’altra no, per consentire l’alternanza di un giornalista di segno contrario (in pratica si toglie una puntata su due a Ballarò, ad Annozero, a Presa diretta, In mezz’ora e a Report). In quelle ore Butti celebrava l’imparzialità dell’ex presidente della Rai cercando di trascinarlo (senza ricevere smentite) a favore delle sue tesi: “C’è una personalità del calibro di Zavoli, che mi dà atto di aver fatto di tutto per venire incontro alle opposizioni”.
Questo tentativo è stato solo congelato, e pesa tuttora come una spada di Damocle: dovrà essere discusso dopo la par condicio. E non si è ancora capito perché il presidente di Vigilanza abbia sentito il bisogno di mettere all’ordine del giorno un atto di indirizzo che manca dal 2003, e di cui – in queste condizioni – non si sente un impellente bisogno. La vicenda della par condicio è davvero incredibile. È stato lo stesso presidente della Vigilanza, infatti, a preannunciare il nuovo emendamento della maggioranza quando ancora non era stato presentato, due giorni fa, all’uscita dalla direzione del Pd: “È possibile – disse lasciando di sasso i giornalisti – che anche quest’anno i talk-show vengano oscurati. Vediamo cosa farà la maggioranza”.
Se voleva essere un severo monito, non si è capito. Infatti poche ore dopo la maggioranza ha pensato bene di stendere l’emendamento in questione. Così Butti e la Lega ci riprovano, predisponendo un bavaglio che è l’esatta copia di quello che fu sperimentato un anno fa, applicato per ben quattro settimane, e poi disinnescato solo da una provvidenziale sentenza del Tar. Questa volta la discussione in Vigilanza è stata divisa in due interventi, come una partita di calcio. Il secondo tempo comincia alle nove e mezza di sera, una raffica di interventi e il proposito risoluto del dipietrista Pancho Pardi: “Se cercano di farci votare faremo le barricate, faremo ostruzionismo”. È quasi un piccolo dramma quello che si è celebrato nelle belle stanze di San Macuto, fra le mura che custodiscono la biblioteca della Camera e le sedute della Commissione che dovrebbe garantire la libertà di informazione nella Rai, e che invece è diventato il campo di battaglia degli azzeccagarbugli berlusconiani.
Per capire cosa farà, cerco Zavoli in tarda serata al Senato. Il vecchio leone si trincera dietro un muro di silenzio. L’inconfondibile timbro roco e cantilenante, che gli italiani hanno imparato a conoscere in una vita di televisione è molto più flebile e farinosa del solito: “Non ho voce. Non riesco a parlare, e se anche mi riuscisse bene, non lo farei. Non posso esprimermi”. Non è un caso. In queste ore, Zavoli si sente incatenato al suo ruolo di cerimoniere delle regole, così prigioniero della sua funzione da non poter nemmeno anticipare se l’emendamento ammazza talk-show gli piaccia o meno: “Sarebbe assurdo se mi pronunciassi ora: sia cortese, cerchi di capirlo”.
Ed è sicuramente una prudenza dettata dal desiderio di imparzialità, la sua, che però – in ore come queste – assume un sapore quasi ottocentesco. Come se Zavoli pensasse di trovarsi alla Camera dei lord, a discettare di cavilli regolamentari, e non come il garante della libertà dentro la Rai, nel momento in cui – per la seconda volta – gli uomini del centrodestra chiedono di mettere la sordina ai programmi di informazione usando la par condicio come un grimaldello. “Domani parlerò”, dice. E domani è oggi. Speriamo che nella sua nuova notte, Zavoli accolga la richiesta di inammissibiltà dell’emendamento, visto che il Tar lo ha già bocciato una volta. Dovrebbero essere, anche queste, regole da garantire.
di Luca Telese
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