Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Il governo ferma il nucleare (per un anno)

L’ultima paroletta della neolingua di governo è: “Moratoria nucleare”. Oppure, secondo le frasi del ministro Paolo Romani: “Serve una pausa di riflessione”.
Ma occorre aguzzare l’ingegno. Come capita con questo centrodestra, quello che viene detto (sempre più spesso) è il contrario di quello che viene fatto. Ovvero: non volendo prendere una decisione che in queste ore appare a dir poco impopolare (Stefania Prestigiacomo dixit: “Non facciamo cazzate! Così perdiamo le elezioni…”) il governo sceglie di non scegliere: e annuncia per oggi l’approvazione di una moratoria di un anno che in linea teorica dovrebbe comportare la sospensione del nuovo programma nucleare. Ma che, in realtà, sembra una decisione molto tattica, un modo per temporeggiare in attesa che passi la tempesta del dopo Fukushima nell’opinione pubblica. Anche perché, questo gesto, ha un obiettivo dichiarato: far saltare il referendum già convocato per giugno.
Le intenzionidell’esecutivo
La vera intenzione della maggioranza, però, traspare dal controcanto che ieri l’ex ministro Claudio Scajola – l’uomo che più si è battuto per il ritorno dell’atomo in Italia – ha messo in campo per spiegare che a suo parere non c’è, e non ci può essere. nessun vero stop: “Di fronte alle notizie che giungono dal Giappone e alle conseguenti pressioni a riconsiderare il programma di ritorno al nucleare in Italia, la prudenza è doverosa. Ma prudenza, tuttavia – aggiunge Scajola – non significa tornare indietro: è necessario analizzare i problemi che l’emergenza giapponese ha evidenziato, sfruttando al meglio gli elementi di sempre maggiore sicurezza che la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico ci mettono a disposizione”.
Parole che non sono certo casuali: proprio il piano Scajola prevedeva che in Italia venissero realizzate in un decennio almeno quattro centrali, con un costo di sette miliardi di euro l’una. Spiega Adolfo Urso, l’uomo che da viceministro ha giocato una partita decisiva nell’elaborazione del progetto: “Il nostro era una sorta di piano regolatore. Decide dove si deve costruire e con quali standard. E poi lascia l’iniziativa finale ai privati”. In questo spazio fra ciò che è previsto dalla legge delega (quella che ha deciso il programma) e il decreto legislativo (quello che ne definisce le modalità), potrebbe persino riaprirsi una partita sul modello prescelto (con l’introduzione dei cosiddetti “Mini reattori”, di cui ha parlato Umberto Veronesi e che sono prodotti dal consorzio Iris, che unisce gli americani di Westhinghouse e l’Ansaldo).
A parte la partita di Risiko interno al fronte nuclearista, il vero nodo è l’obiettivo, coltivato dal governo, di disinnescare il quesito referendario grazie alla moratoria. Ed è questa ipotesi che fa letteralmente insorgere il comitato promotore per il sì all’abrogazione del programma nucleare e il presidente del Verdi Angelo Bonelli: “Quello a cui stiamo assistendo in queste ore è una vera e propria farsa, un trucco di bassa lega”. Infatti il leader del Sole che ride aggiunge: “Esiste una specifica sentenza della Corte costituzionale, la 68/78, che prescrive in modo chiaro un principio sacrosanto: non si possono fare decreti legge durante una fase referendaria. Se non altro perchè – attacca Bonelli – la moratoria non sospende l’efficacia del’atto”. Quindi, dicono quelli del comitato referendario, l’unico modo per evitare il referendum, potrebbe essere una legge abrogativa che cancelli non solo il decreto legislativo, ma anche la legge delega.
Ma non è certo questo l’obiettivo del governo, se è vero che il decreto legislativo è stato votato solo la settimana scorsa in commissione a Montecitorio, con un altro paradosso. Mentre gli esponenti del centrodestra e il sottosegretario Stefano Saglia sostevnevano “non sarà costruito nessun reattore senza il consenso delle popolazioni dove dovrebbe essere realizzata la nuova centrale” (sic!), proprio il testo varato in Commissione prescriveva, (all’articolo 4): “Il parere delle regioni, di carattere obbligatorio ma non vincolante viene espresso entro novanta giorni”. Cosa significa? Che per recepire una sentenza costituzionale le regioni sono obbligate a dare il loro parere sull’ubicazione dei siti, ma il governo (almeno secondo quel testo) non sarebbe obbligato a tenerne conto.
Un bel pasticciaccio, in cui, ancora una volta, sono chiarissime le parole di Scajola: “Il fine della moratoria è quello di rendere ancora più sicure le centrali affinché si arrivi a una maggiore indipendenza energetica”. Il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani, ha parlato a Bruxelles, e il suo discorso sembra tutto centrato su un profilo diplomatico, e su un tono rassicurante: “L’obiettivo del governo italiano è quindi che i cittadini sappiano tutto quel che devono sapere sul nucleare, incluso cosa significhi avere centrali sul proprio territorio, anche se – ricorda Romani – non sono solo le regioni a decidere in merito”. Come va interpretata, dunque la moratoria, secondo il ministro? “É una responsabile pausa di riflessione, come fatta da altri paesi europei”. Ma il comitato promotore non si ferma. “Non può esserci moratoria che tenga – dice il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro – e che possa fermare il referendum perché delle due l’una: o il governo cancella la norma che consente la costruzione di centrali nucleari sul territorio italiano o la mantiene, ma la moratoria di un anno è un chiaro raggiro che serve a scavallare la data del referendum”. Insomma, ha insistito, “l’unico vero scopo del governo è quello di fermare il temuto verdetto dei cittadini. L’Italia dei Valori, promotrice del quesito referendario, andrà avanti con la sua battaglia contro quest’energia obsoleta, dannosa per la salute e per il territorio che riempie solo le tasche delle solite lobby economiche”.
Insomma, in questo clima incandescente, fatto di dichiarazioni a effetto, negoziazioni, e strategie comunicative, solo la riunione del Consiglio dei ministri di questa mattina permetterà di capire il testo definitivo del nuovo decreto, e quindi il futuro del quesito referendario.

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