Silvio apre, chiude, lusinga, insulta, tratta, festeggia, gioisce e spera. Ma se si legge solo la nota politica delle convulsa giornata del presidente del Consiglio, come se fosse un codice criptato (senza chiave), non si capisce nulla di quello che sta accadendo.
Per provare a interpretare cosa sta accadendo bisogna partire dal fatto che i destini del governo, ancora una volta, sono appesi a lei. Cioè alla ragazza che ha in mano il destino dell’inchiesta di Milano, e che potrebbe diventare indifferentemente “la Buscetta dell’Olgettina” (trascinando nella polvere quel che resta del mito berlusconiano) o “la Greganti del Pdl” (rischiando fino a 12 anni di carcere – in caso di condanna – per negare ogni addebito, e per accollarsi sulla propria testa la contabilità complessa delle papi-girls ).
Quel che è certo è che la Minetti ancora non ha scelto. E quel che è ancora più sicuro è che il nodo di Nicole e del suo rapporto con la politica è il tasto dolente. Ieri, un piccolo dettaglio di cronaca diventava una spia del malessere della Lega. Infatti, rispondendo a un’interrogazione di Chiara Cremonesi (consigliera di Sinistra e libertà), il presidente leghi-sta del Consiglio lombardo, Davide Boni rispondeva algido: “La Minetti non ha deleghe ai rapporti internazionali”. Di più: “L'Ufficio di presidenza dell’assemblea lombarda ha invece assegnato a Carlo Spreafico, ma la Minetti nell’ambito del suo ruolo, può incontrare e ricevere rappresentanze istituzionali, tra cui delegazioni di altri Paesi”. Insomma, un ennesimo modo in cui il Carroccio (addirittura correggendo il sacro spartito difensivo della telefonata di Berlusconi da Gad Lerner) minimizza il ruolo della consigliera indagata.
Un altro fotogramma: ieri, nella conferenza stampa di Roberto Formigoni si alza un cronista di Annozero chiedendo un parere sulla consigliera comunale. Formigoni rispondeva indispettito con un singolare invito: “Si lombardizzi!” (sic!). “Qui ci sono delle regole e cerchi di essere cortese e non aggressivo come vostro solito”. Ma il nervosismo si taglia a fette, quando si evoca l’eroina delle feste arcoriane, su cui, a mezza bocca, anche i fedelissimi del Cavaliere sparlano, ad esempio ricordando le cinque operazioni plastiche a cui lei si sarebbe sottoposta, per andare incontro ai gusti del Cavaliere.
Altro elemento importante: mercoledì in commissione inizia l’esame del testo sul federalismo. E quel percorso diventa per Umberto Bossi il problema più delicato. Serve il consenso del Pd per creare un percorso agevolato. Oppure serve la bocciatura del federalismo come casus belli per andare al voto. Quand’è che Umberto deciderà questa partita?
Così, se segui le tortuose evoluzioni della giornata politica, gli appelli al dialogo istituzionale del premier che si aprono con il sorriso e si chiudono con l’insulto, se osservi i carotaggi del Pdl per capire le intenzioni di Marco Pannella (erano abortiti ai tempi della fiducia, ma oggi la tentazione torna a manifestarsi in casa radicale), i sogni di allargamento della maggioranza, e la campagna acquisti sul gruppo dei “responsabili” (a cui potrebbe aggiungersi clamorosamente Luca Barbareschi), bene, se guardi solo questo hai davanti agli occhi una parte importante del quadro, ma non riesci a capire la figura intera.
E invece bisogna partire dal primo dato di fatto. Silvio Berlusconi subito dopo l’esplosione del caso Ruby invocava il lavacro delle elezioni, l’ordalia che lo aiutasse a cancellare i traditori. E adesso invece è il principale nemico delle elezioni anticipate, e per contrastarle si ritrova stretto in una pericolosa tenaglia: quella che si sta stringendo tra Futuro e libertà e la Lega. Non ha dubbi Italo Bocchino, capogruppo dei finiani: “Dicevano che avevamo paura noi. Adesso invece sono terrorizzati dall’idea che si possa andare davvero al voto”.
Anche perché i sondaggi che arrivano a Palazzo Grazioli, forse, stanno ballando più di quanto non appaia consultando le rivelazioni ufficiali diffuse dagli istituti. Spiega ancora Bocchino: “Ostentano sicurezza, ma il calo più grosso è quello registrato dalla Ghisleri, ovvero dalla ricercatrice più vicina al premier”. Un altro istituto, il Cfi group di Alberto Stracuzzi, ha addirittura reso nota questa rilevazione: Due settimane fa il 52% degli italiani dicevano che consideravano “necessarie” le dimissioni del premier. Sabato scorso, con lo stesso campione, la percentuale era salita al 60%. “Sono solo quelli che sono contro Berlusconi”, commentava minimizzando il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti. Suscitando un commento preoccupato di Alessandra Mussolini: “Ti prego no! Se fosse così sarebbe una tragedia”. Insomma, l’idea che il centrodestra sia minoranza e che gli effetti dell’inchiesta stiano sgretolando l’immagine del premier prevale sulla soddisfazione per i buoni effetti dell’offensiva mediatica. Oggi, con il pretesto offerto da un vertice convocato ufficialmente su giustizia e fisco, Berlusconi vede Angelino Alfano (e un Sandro Bondi sempre più provato dal suo calvario mediatico). Mentre l’interrogatorio di Nicole, il più lungo dell’inchiesta è ancora ufficialmente aperto, anche quella diventa una riunione di crisi.
Luca Telese
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