Alessandro Sallusti all’attacco di “Ilda la rossa” con la baionetta fra i denti. Ovvero: la saga del giornalismo vendicativo 6.0, l’ennesimo capitolo del “trattamento Boffo” (Stracquadanio dixit) che il direttore più fedele al Cavaliere ama riservare ai suoi nemici. “Amori privati della Boccassini”, strillava Il Giornale ieri in prima, come se avesse sorpreso la pm della Procura di Milano in qualche lupanaio, o in una macchina oscurata dai fogli di giornale. Peccato che solo passando a pagina due e tre, si scopra di quale enorme e ridicola bolla di sapone si tratti, e si può intuire con quale imbarazzo due importanti firme del quotidiano di via Negri si siano ritrovati a rimestare bufale di terza mano.
Già, perché il crimine denunciato dal giornale è questo. “Nel 1982 la Boccassini venne sorpresa in atteggiamenti amorosi con un giornalista di Lotta continua. Davanti al Csm si difese come un paladina della privacy”.
Bisogna invece addentrarsi nella giungla di piombo delle due lenzuolate dedicate al caso per scoprire la prima verità che i titolisti si sono sforzati di occultare. Ovvero: la Boccassini a Palazzo de’ Marescialli venne assolta. E subito dopo, che la motivazione della sentenza non lasciava adito a dubbi: la prima sessione del Csm ritiene che il comportamento della dottoressa Boccassini non abbia determinato alcuna “eco negativa” né all’interno, né all’esterno degli uffici giudiziari, come provano le attestazioni dei colleghi della procura.
La terza verità, tanto per non lasciare margini all’ambiguità, la possiamo raccontare noi. L’altro protagonista delle “effusioni amorose” non era un animatore di serate Bunga Bunga, ma il ragazzo con cui all’epoca la giovane magistrata (oggi ha 62 anni) era ufficialmente fidanzata. E quel giornalista ora lavora al Sole 24 Ore. E basta leggere le stesse carte presentate come prove del misfatto da Gian Marco Chiocci per rendersi conto che tutta l’accusa sembra tratta da qualche commedia di costume della commedia all’italiana: rapporti di marescialli, maldicenze, un pezzo di bacchettonismo del paese bigotto che negli anni Settanta era ancora presente nella Pubblica amministrazione.
Ma allora perché un boomerang di queste proporzioni?
Non certo per una mossa sprovveduta, ma piuttosto per un calcolo scaltro, che prescinde anche dall’ondata di solidarietà corale che si è sollevata in difesa della magistrata. In difesa della Boccassini, infatti, ieri c’è stata una difesa fortissima. Luca Palamara ha commentato: ''Il metodo 'Mesiano' non ci intimidisce e non ci intimidirà: come Anm esprimiamo solidarietà ai colleghi di Milano e alla Boccassini che ha ricevuto un attacco di inaudita gravità da Il Giornale per la sola 'colpa di applicare la legge come prevede la Costituzione”. E il Procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati – il procuratore della Repubblica di Milano ha espresso “pieno sostegno e apprezzamento nei confronti dei colleghi coassegnatari del procedimento”. E ha fatto sapere di aver assunto la “piena responsabilità dell’inchiesta”, denunciando “le campagne di denigrazione e l'attacco personale si qualificano da soli”.
MA IL PRIMO postulato del giornalismo vendicativo è: mascariate, mascariate, qualcosa resterà. Bisogna prima di tutto colpire, e spiegare agli avversari del premier che nulla verrà loro risparmiato. E poi bisogna sollevare una nuvola di polvere grande, perché comunque può confondere le acque. E così dopo le bastonate al direttore di Avvenire Boffo, dopo le bastonate a Fini, dopo le riflessioni sui calzini del giudice Mesiano, dopo quelle a Italo Bocchino e alla sua compagna Gabriella Buontempo, dopo le stilettate a Di Pietro (per una vicenda poi archiviata), a Veronica Lario (la famosa prima pagina “Velina ingrata” e lo “scoop” del bodyguard), dopo la foto di due soli giorni fa per sputtanare Nichi Vendola (nientemeno che la foto – udite udite! – un bacio sulla guancia ricevuto da un gay con la barbetta al gay pride!) è arrivata l’ultima stoccata. Notizie spesso dopate, o vecchie, o addirittura non notizie. Ma che tutte insieme puntano a costituire una cornice, un clima, un ammonimento, un rumore di fondo: “Sono tutti uguali e pretendono di fare la morale a Berlusconi”.
Ebbene, per sfortuna di Sallusti, sarà difficile trovare fra gli avversari di Berlusconi, qualcuno che sia sfortunato quanto lui, circondato di mantenute e di finti-amici parassiti come lui.
E per sfortuna del Giornale, anche la carriera della Boccassini male si presta a mascariazioni, ingiurie e quadri a tinte fosche. Se non altro perché i giornalisti del quotidiano di via Negri in questo caso sono sfortunati.
Solo quattro anni fa, infatti, nel febbraio del 2007, proprio la stessa Pm, oggi accusata di faziosità o di immoralità, fece arrestare (insieme a uno dei migliori giudici italiani, Guido Salvini) un commando di quindici brigatisti che stava organizzando attentati.
Contro chi? Contro la sede di Libero, giornale all’epoca diretto da Sallusti e da Vittorio Feltri. E quale era l’altro obiettivo nel mirino? Botteghe Oscure? Macché, la sede di Mediaset. Feltri, che aveva vergato pagine e pagine per dire che “Con la Boccassini non salirei nemmeno in ascensore!”, fu costretto a un repentino voltafaccia: “Il merito della magistratura italiana, nelle persone della Boccassini e Salvini, permette un brindisi al posto di qualche funerale”.
Questo non impedì ai quotidiani di centrodestra di archiviare rapidamente tanta commossa riconoscenza: “È come la Fiom”, “È una ammazza-sentenze”, “Conduce abusivamente l’inchiesta”.
Ha commentato Marco Travaglio su L’espresso: “Ma non era bravissima? Appunto. Ha messo d’accordo le Brigate rosse e quelle azzurre”.
Luca Telese
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