Guerra totale tra Il Giornale e Libero, fra Vittorio Feltri e Alessandro Sallusti. È una guerra politica, ma anche una guerra personale. É una questione di feeling, ma anche una questione di marketing. É una sfida a due ma anche un triangolo a tre che ha la base a via Negri e il vertice a palazzo Grazioli. Insomma, un bel pasticcio: anche lui, anche tu, tu quoque, Vittorio, un altro traditore.
Tutto accade in un sabato apparentemente tranquillo con un fulmine a ciel sereno, con un editoriale di Sallusti che apparentemente parla di Giorgio Napolitano e che nelle ultime righe, invece, contiene una rasoiata contro l’ex compagno di mille battaglie. Un passaggio che consente al giornale questo titolo chock: “Napolitano e Feltri cambiano bandiera”. Occorre dunque rileggere riga per riga quel passaggio di Sallusti: “A cambiare bandiera – scrive il direttore de Il Giornale – è anche Vittorio Feltri. Il giornalista, fino a ieri tra i più autorevoli sostenitori del premier, in un incontro pubblico a Cortina, ha detto che Silvio Berlusconi non ha i numeri per candidarsi a capo dello Stato e che sarebbe addirittura meglio che non si ricandidasse neppure a premier. “Fini, Bocchino e Di Pietro – conclude concedendosi l’ultimo sberleffo – possono contare su un nuovo alleato?”.
La beffa consiste nell’accostare il peggiore nemico di Vittorio Feltri al suo nome, e per di più nel ruolo di alleato. Ma dietro l’operazione di Sallusti, clamorosa nello stile e nei toni si celano due retroscena. Il primo è politico ed è la collera – nota anche ai sassi – che Silvio Berlusconi prova verso il suo ex direttore. Il secondo è un calcolo più raffinato di Sallusti. Visto che la criticità di Feltri verso il Cavaliere era rimasta (per ora) confinata nei circuiti degli addetti ai lavori, l’editoriale costringe Libero ad uscire allo scoperto, nella speranza che il concorrente sia costretto ad appiattirai sul suo uomo-simbolo, perdendo i lettori piú berlusconiani, sconcertati per il voltafaccia. La risposta arriva a stretto giro di posta e non é meno dura. Maurizio Belpietro, al telefono é furibondo: “È stata una carognata. Anzi, una vigliaccata. Anzi, una vera e propria infamia, perché commessa contro un uomo che non puó difendersi perché l’ordine gli ha imposto di non scrivere”. E le differenze di linea? Belpietro le nega. Anzi, le riposiziona così: “Noi, che siamo berlusconiani da sempre non abbiamo bisogno di sdraiarci acriticamente sul Cavaliere, e possiamo onestamente dire quello che non ci piace della sua politica, come abbiamo fatto sul caso Tremonti, quando ne ravvisiamo gli estremi. Sallusti – aggiunge caustico Belpietro – forse perché si vuole far perdonare di quando trafficava con le procure per gli avvisi di garanzia a Berlusconi (era capo della redazione del Corriere della Sera che diede quella notizia, ndr) oggi resta ottusamente e acriticamente sdraiato sul Cavaliere”.
Anche Feltri, non potendo scrivere, attacca sia in video che sul suo nuovo quotidiano (oggi) intervistato da Belpietro: “Il direttore Sallusti scrive il falso. Forse è dovuto al fatto che Libero con me ha già guadagnato 10mila copie? Se le ho prese, significa che Il Giornale le ha perse e questo”, sottolinea il direttore, “dà fastidio”. Ma Feltri rincara la dose, bollando il comportamento di Sallusti come “non da gentiluomo” poiché sta sparando “su un uomo disarmato, visto che lo sono perché non posso scrivere”. Il direttore di Libero si mostra poi sorpreso per la retromarcia operata dal su ex quotidiano. “Sono stupito, non capisco il senso. Fino a ieri sul Giornale per me si raccoglievano migliaia di firme di solidarietà, e ora viene tutto cancellato”. Feltri entra poi nel merito delle accuse mosse dal direttore del Giornale. “Basta leggere l’intervista pubblicata oggi su Libero su quanto ho detto a Cortina”, ovvero “esattamente il contrario di quanto Sallusti afferma: io voto ancora Berlusconi, non perché lo considero il migliore ma perché è il meno peggio. Ho detto e ribadisco”, ha continuato Feltri, “che non lo vedo al Quirinale ma più come presidente del Consiglio”.
Il fatto è che “non lo si può ingabbiare” al Colle, “anche perché poi”, prosegue il direttore con una battuta, “lì Silvio come fa con le escort?”. Feltri conclude infine con un parallelismo da storia del giornalismo. “Ma sì, Sallusti tenta di ripetere quanto accaduto a suo tempo con Montanelli, quando lasciò Il Giornale e venne messo sotto protezione dalla sinistra. Pensano di ripetere questa operazione così i lettori rimangono. Ma Sallusti si sbaglia, perché io resto con Berlusconi”. Peró anche Feltri ha la sua nemesi per il paragone che lui stesso ha evocato: nel febbraio 1994, quando Feltri prende il posto di Montanelli messo alla porta da Berlusconi, il suo nuovo Giornale comincia a tambureggiare sulla conversione senile del “compagno Montanelli” al comunismo. Il ritornello feltriano contro il “compagno Indro” riecheggia nel 2001, in campagna elettorale, dopo che Montanelli, in un’intervista a Biagi e in una telefonata a Santoro, ha messo in guardia gli italiani dal pericolo B. Stavolta Feltri spara al grande giornalista dalle colonne del neonato Libero.
Come il 25 marzo 2001. Titolone di prima pagina: “La commedia di Montanelli. Il giornalista e il Cavaliere: ecco chi davvero ha voltato gabbana” (risposta implicita: Montanelli). Svolgimento: “Ecco come sono andate davvero le cose e chi è stato il voltagabbana” (idem come sopra). Feltri tratta Montanelli come un vecchio rimbambito: “Non è elegante né gradevole”, scrive, “polemizzare con un anziano signore che ammiri e stimi. Se necessario, lo fai ma solo un po’. Ti trattieni. E io mi sono rispettosamente trattenuto venerdì sera chez Santoro”. Montanelli è colpevole, ai suoi occhi, di essersi trasformato in uno dei tanti avversari dell’inerme Cavaliere “disposti a qualsiasi abiezione pur di massacrarlo”.
Insomma, un traditore ingrato. La stessa accusa che ora Sallusti rinfaccia a Feltri. Come passano i tempi… Oggi dal compagno Montanelli siamo passati al compagno Feltri.
Luca Telese
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