A quanto pare avevamo capito male. Vittorio Feltri aveva detto: “Potrei fondare un nuovo quotidiano”. E il modello? Il direttore de Il Giornale aveva risposto senza esitazioni: “Mi avete aperto gli occhi voi: Il Fatto. Pochi redattori, opinioni forti, servizi esclusivi, libertà”. Ovvero: nessun padrone, e controllo del prodotto in mano a giornalisti e lettori. Una operazione diversa ma speculare, che avrebbe dovuto differenziarsi da Il Giornale sul nodo della proprietà. Evidentemente non eravamo gli unici ad aver capito questo, se è vero che il TgLa7 diretto da Enrico Mentana aveva raccontato l’impresa così: “Nasce un Fatto di destra?”.
Non a caso, dunque, anche l’idea iniziale di Vittorio Feltri era quella di costituire una società ex novo. Evidentemente non deve esserci riuscito, perché l’impostazione iniziale si è successivamente corretta con l’ipotesi di prendere la maggioranza del capitale di Libero. E adesso si parla di un’altra prospettiva, del tutto diversa: ovvero che i due “superdirettori” entrino in possesso del 20% del quotidiano, con la quota di maggioranza saldamente in mano alla famiglia Angelucci.
Mosse ben ponderate – per carità – molto redditizie, e sicuramente oculate. Un potere contrattuale molto forte. Ma il dubbio resta. Come si può fare un giornale di destra, svincolato dalle appartenenze politiche e corsaro, avendo come editore maggioritario e sostanziale un parlamentare del Pdl leale con Berlusconi come Angelucci senior? E questo non è l’unico problema. L’altro gettito forte del quotidiano sono i fondi del finanziamento pubblico della Presidenza del Consiglio. Quest’anno i fondi erano stati erogati ma congelati per via del procedimento in corso sulla Tosinvest da parte dell’Authority. Adesso cosa accadrà con il nuovo assetto? Sarà considerato diverso da quello che aveva prodotto l’intervento dell’Agcom? I due superdirettori, per aggirare l’intervento devono costituire una elaborata alchimia societaria: da un lato fare in modo che il quotidiano resti nelle mani della Fondazione San Raffaele (che attualmente lo detiene, con l’escamotage formale di “affittare” la testata dagli Angelucci). Dall’altro creare un patto di sindacatura che garantisca a Feltri e Belpietro – malgrado posseggano una quota di minoranza – il controllo della fondazione o della società editrice. Come si vede si tratta di un congegno proprietario molto delicato, e – per forza di cose – condizionato da diversi attori ed equilibri.
Ma a parte questo problema, l’operazione è già partita, e procede aprendo la guerra a Il Giornale, con un altro paradosso incrociato. Ad agosto dell’anno scorso Feltri lasciava Libero con l’effetto di condannarlo a una possibile morte per svuotamento. Il Giornale del neodirettore aprì la campagna acquisti, portandosi subito dietro firme come quella di Marcello Veneziani (e Libero, come è noto, fu salvato solo dall’intervento di Belpietro). Adesso il gioco si ribalta esattamente. Feltri va a Libero portandosi dietro (di nuovo!) Veneziani, e strappando al giornale di via Negri un pezzo forte come Massimo De Manzoni è notizia di ieri – che nel nuovo supergiornale diventerà condirettore. L’interessato si trova in una condizione che lo accomuna a molti colleghi: ha lavorato sia con Feltri che con Belpietro ed è in ottimi rapporti con entrambi. Come nello scorso passaggio, ogni redattore strappato al concorrente ha un doppio effetto: arricchire le proprie pagine e indebolire quelle altrui. L’altro obiettivo di calciomercato messo nel mirino è “Il segugio” Gian Marco Chiocci, inchiestista di stanza a Roma, che ieri glissava: “Non confermo nulla”. E Sallusti? Conosce troppo bene i suoi polli per cedere alla logica del rilancio indiscriminato (che fa alzare i costi). Per ora tace e medita – dicono i bene informati – un colpo a sorpresa per spiazzare tutti.
Luca Telese
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