E dopo il big bang di Montecitorio, anche la carta stampata si prepara a un nuovo clamoroso terremoto. Dopo aver lanciato diversi segnali (pubblici e non) e dopo aver spiegato i motivi del suo dissenso dalla linea tenuta da il Giornale negli ultimi mesi, Vittorio Feltri ha consumato in queste ore il suo divorzio definitivo dalla coppia di guida Alessandro Sallusti e Daniela Santanché (nel ruolo di amministratrice della concessionaria della pubblicità, Visibilia).
Una separazione consumata senza rancori, nel rispetto personale e reciproco, ma con molta determinazione. Però l'addio imminente di Feltri dal quotidiano di via Negri non è un forfait definitivo, e prepara un altro non meno clamoroso colpo di scena. Un ricongiungimento con Maurizio Belpietro e un approdo a Libero.
Non per entrare nei ranghi dell'attuale assetto editoriale, però, ma per realizzare un vecchio sogno: quello di farsi editore di se stesso e rifondare l'attuale modello proprietario del quotidiano. In un primo momento l'idea era quella di fondarne uno nuovo. Poi si è aperta un'altra possibilità.
La soluzione a cui la rinata coppia Belpietro-Feltri sta lavorando, anche in queste ore è una piccola rivoluzione proprietaria. I due direttori, infatti, stanno trattando con l'editore Angelucci (vecchia volpe della professione, attuale parlamentare del Pdl, ex finiano rimasto al fianco del Cavaliere), l'acquisto di quote numericamente decisive della società editoriale che attualmente pubblica il quotidiano.
In fondo, la storia di questi anni, è stata una lunga e tormentata rincorsa verso questo obiettivo. Feltri fondò Libero per farne il suo giornale in piena autonomia, poi – dopo aver raggiunto il traguardo delle prime 40 mila copie – si cercò un primo editore per gestire la fase di espansione, infine si "sposò" con gli Angelucci, portando in dote ai suoi nuovi editori la formula del finanziamento pubblico, che arrivava grazie all'inglobamento di Opinioni nuove, un foglio semiclandestino, fantomatico organo del movimento monarchico, che però aveva maturato – nel tempo delle vacche grasse – "il diritto soggettivo" ai finanziamenti dell'editoria erogati dalla presidenza del consiglio.
Lo scorso anno sono stati quasi sei milioni di euro, i fondi percepiti dal quotidiano diretto (da ormai un anno da Maurizio Belpietro). E sempre un anno fa, proprio l'addio di Feltri – passato al Giornale – sembrava aver messo in discussione la sopravvivenza di Libero. Ancora più rocambolesca, poi, è la storia dell'"amicizia concorrenziale" fra Feltri e Belepietro, un intreccio degno di un film americano, un drammone alla Wall street.
Fase uno: Feltri e Belpy prendono in mano l'Europeo e ne fanno una corazzata. Poi rifondano L'Indipendente. Meditano di comprare case insieme. Poi scalano il Giornale. Poi Feltri lo lascia e Belpietro lo eredita (riuscendo a consolidarlo). Tra i due corrono scintille, anche qualche fendente sotto la cintura, ma il rapporto non si interrompe mai.
Quando Belpietro prende in mano Libero lo comunica a Feltri nel consueto pranzetto milanese. Quando crescono le divergenze tra Feltri e Sallusti, si riannodano e si cementano i fili di un rapporto che era sopravvissuto sottotraccia. Quando Feltri lancia la provocazione: "Facciamo un nuovo quotidiano?". Belpietro stupisce con la sua risposta: "Vittorio, l'idea non mi dispiace affatto". Poi i due si mettono a lavorare sui costi, sui soldi, sul modello industriale.
Alla fine si scopre che Angelucci sarebbe entusiasta di un ritorno di Feltri, che spianerebbe le praterie di fronte al quotidiano della famiglia. Allora gli imprenditori delle cliniche chiedono di poter partecipare al progetto, e se possibile di agevolarlo. Si arriva così all'idea che prende corpo in queste ore, Una "United Artists" (modello Frank Capra) dei due direttorissimi di centrodestra.
Una prospettiva che spaventa terribilmente Berlusconi sia sul piano politico sia su quello industriale. Dopo il primo strappo, infatti, Sallusti era riuscito a celebrare Feltri come un grande eroe del quotidiano di via Negri riservandogli una pagina di lettere al giorno, dopo la sentenza dell'Ordine (sospeso tre mesi). Adesso il compromesso fragile e cavalleresco non resiste più e i due cavalieri di carta se ne vanno, ognuno per la sua strada.
Luca Telese
Rispondi