Anche in un programma molto bello e molto seguito c´è qualcosa che può avere il suono della moneta falsa, qualcosa che può illudere la sinistra e – alla fine – farle persino male. Anche in una figura bella e nitida come quella di Roberto Saviano può celarsi una illusione dannosa “uno zingaro è un trucco”, cantava Francesco De Gregori, e parlava delle favole nere che scrivono cattivi finali alle belle storie. È difficile accendere una luce critica su un programma che i soliti pretoriani di Berlusconi alla Rai volevano uccidere nella culla, e che per fortuna è andato in onda, segnando un record di ascolto epocale. Ma adesso che la vittoria contro i censori è stata celebrata, vale la pena di riflettere senza reverenza su alcuni dei paradossi di Vieni via con me. Il primo è una innegabile ambiguità di messaggio. Che cosa è esattamente il programma di Fazio e Saviano? È un programma giornalistico? Vedendolo si può dire senza dubbio di no: non c´è il racconto della realtà, non c´è nemmeno “il nemico”, ma solo la sua caricatura, non ci sono le diverse opinioni e nemmeno le storie, c´è la sintesi che ne fanno “i guru”, una collezione di monologhi e invenzioni che starebbero benissimo in un teatro o in un comizio. È forse un programma militante, allora? Nemmeno. Nelle parole di Fazio e Saviano Vieni via con me, non dovrebbe essere una kermesse elettorale, nè la campagna televisiva di lancio di nessuna leadership e di nessuna candidatura. Sta di fatto che, abituati a soffrire per Porta a Porta e le televisioni schiacciate dal tallone di ferro della propaganda azzurrina, i telespettatori progressisti si buttano su questo show come su un bene-rifugio: piangono e si commuovono per la performance di Benigni o per la lectio magistralis di Claudio Abbado in difesa della cultura, che almeno loro al Cavaliere gliele cantano (una volta l´anno). Ma Saviano non è candidato, dice che non si vuole candidare, e malgrado nel gruppo Espresso-Repubblica molti non nascondano il sogno di farlo scendere in campo come primo leader post-politico sostenuto da una corazzata mediatica, finchè questo non accade, la sua consacrazione si celebra sul filo di una ambiguità irrisolta.
Il pubblico viene invitato a celebrarlo come un salvatore della patria, come una scorciatoia per uscire dalla crisi della politica e dalla decomposizione dei mammuth del Pd e di quel che resta del centrosinistra (con l´eccezione di Vendola, recuperato nel programma come caratterista) mentre lui, invece, resta in mezzo al guado. Il secondo problema è qualcosa di più di un sentimento, che attraversa tutto il programma: è la calligrafia “fazista” dei buoni sentimenti, e della bella confezione (la cosa che fra l´altro funziona di più). Sono le immaginette da santuario laico che si preparano a celebrare una bella sconfitta. Il campionario delle icone buoniste fabiofaziosche si apre con dei lampi di luogo comune incredibili, come la suora su campo rosso che declama appassionata: “C´è bisogno di misericordia!”.
Ce n´è di sicuro bisogno, ma cos´è questo Pantheon di immagini e testimonianze che corrono sullo schermo? Se non è una manifestazione politica, se non è la coraggiosa impresa di Raiperunanotte (del tutto autofinanziata e celebrata fuori dalla tv pubbica), che cosa è questa bella calligrafia in prima serata, dove Saviano si mette il tricolore risorgimentale sulla spalla, ripete il giuramento della Giovane Italia e parla male della Lega? Cos´è questo bignamino da wikipedia su Falcone e Borsellino? Dov´è il tocco d´autore? O si fa letteratura o non la si fa. O si fa politica, o non la si fa. E se si fa politica per poi non scendere in campo, si finisce – anche involontariamente – per giocare con i sogni e la sofferenza della gente. Oppure si fa intrattenimento, ma allora bisogna fare intrattenimento: lasciando a casa l´inventiva, l´ammiccamento alle belle bandiere, il corpo a corpo in contumacia con l´avversario. Perché nell´arena di Santoro il contradditorio non manca mai, mentre nella wonderland di Fazio i buoni vincono sempre (se non altro perché giocano da soli). Se tuttavia qualcuno oggi celebra Vieni via con me, perché vuole testare la potenzialità politica di Saviano come possibile leader, sbaglia due volte, e fa un torto persino a lui. La cosa più bella del programma era la spettacolare ingenuità di Roberto, i suoi sorrisi di imbarazzo di fronte ai tentativi di beatificazione in diretta da parte di Benigni e di Fazio, la sua difficoltà a guardare in camera e a leggere sul gobbo, la fatica – a tratti – della sua dizione. C´è qualcosa che non va nella drammaturgia autocelebrativa di un programma in cui gli eroi sono chiamati sul palco come nel coro della tragedia greca, e in cui ogni guerriero che arriva esalta il tasso di eroismo di quello che lo segue per autocertificazione. Così alla fine il trucco della zingara è semplice: o si celebra la bella battaglia, o si fa l´intrattenimento. Ma se si simula la prima per rendere epico il secondo, la poetica feroce del berlusconismo crepuscolare, e persino le ossessioni sessuali del premier, continueranno ad odorare di sangue e di realtà molto più del delizioso e rassicurante circo immaginario di Fabio e Roberto.
Luca Telese
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