Nichi e gli altri. Ora che Sinistra e libertà “Va un po’ di moda” (ipse dixit) molti si chiedono: chi c’è al fianco di Vendola? Per rispondere a questa domanda bisogna iniziare con un paradosso ricordando alcune storie recentissime (ma dimenticate). La fortuna del leader di Sinistra e libertà – infatti – ha voluto che fossero le sue sconfitte di ieri, a selezionare la classe dirigente del suo partito, e le vittorie di oggi a restituirgli credibilità. Ovvero: visto che fino alle ultime regionali Sel non poteva garantire carriere ed elezioni certe, è rimasto intorno al governatore solo chi credeva davvero al suo progetto. Di più: tre diverse scissioni dei movimenti che hanno dato vita al partito di Vendola hanno drenato altrove ogni residuo di apparato e personale politico.
Non è un nodo da poco, se è vero che tutto il congresso di Firenze è stato percorso da interventi (come la giornalista de Il Manifesto Giuliana Sgrena) preoccupati che possano arrivare (ora) “Aspiranti carrieristi”. Il primo filtro di selezione, per esempio, è il congresso di Rifondazione in cui nel 2008 Vendola corre per la segreteria e viene sconfitto. Il governatore contava sul 47%. Ma per tenerlo fuori si uniscono contro di lui, in un solo schieramento, tutte le mozioni ideologiche: ex demoproletari, ex cossuttiani, ex trotskisti.
Il finanziamento pubblico il patrimonio immobiliare e il giornale restano al partito che elegge come leader Paolo Ferrero. Morale della favola: lo segue solo chi crede in lui. L’ex segretario Franco Giordano (che generosamente annuncia le dimissioni volontarie “Per fare spazio a Nichi”), giovani come Gennaro Migliore, ex femministe come Elettra Deiana, un dirigente come Ciccio Ferrara (persino Fausto Bertinotti, a Firenze in platea, all’inizio non aderisce).
Il secondo pilastro fondante di Sel è Sinistra Democratica, il movimento che – guidato da Fabio Mussi – era uscito dai Ds (proprio a Firenze). Anche in quel caso, dirigenti che abbandonavano carriere certe: Claudio Fava, eurodeputato con 100 mila preferenze nella Quercia (che infatti non è tornato a Bruxelles) o ex parlamentari come Gloria Buffo e Marco Fumagalli che ripartono da zero (distribuendo volantini da “militanti semplici”). Giovani come il campano Arturo Scotto (nel 2006 era l’eletto più giovane a Montecitorio) o come l’attuale capoufficio stampa del movimento (Paolo Fedeli) che lascia un stipendio sicuro al gruppo parlamentare. Lo stesso Mussi (caso raro nella sua generazione) si dimette da coordinatore “per far posto a dirigenti più giovani” (e cede la sua guida a Fava).
Ma anche nella gamba “Verde”, la selezione della battaglia politica porta a Vendola “spose senza dote”. La corrente di Paolo Cento, Loredana De Petris e Monica Frassoni, infatti, entra nel congresso di Roma sconfitto dall’ala “identitaria” di Angelo Bonelli che vince a sorpresa un congresso predestinato (a lui restano simbolo, sedi, e finanziamento pubblico). Stesso discorso per l’astronauta Umberto Guidoni (via dal Pdci senza un euro in tasca).
Altro “investimento” non programmato: quello di Maurizio Landini. Quando abbandona i Ds con Mussi è “solo” un dirigente sindacale, ora è leader di uno dei sindacati più forti (la Fiom) e una star della tv.
Ancora più paradossale il caso dei Socialisti di Riccardo Nencini. Il Partito socialista se ne va volontariamente da Sinistra e libertà per una (dichiarata!) questione di poltrone. Nencini, infatti, prevedendo che con lo sbarramento elettorale Sel avrebbe faticato a eleggere consiglieri nella sua regione (la Toscana) indica una strana linea: accordi nel resto d’Italia (a macchia di leopardo); accordo in Toscana (con il Pd).
Risultato finale? Il suo partito se ne va esercitando addirittura il potere di veto sul simbolo (che, infatti, per motivi legali deve essere cambiato). Arrivano un pugno di intellettuali come l’attore Moni Ovadia, il disegnatore Milo Manara e Sergio Staino (il papà di Bobo).
Così, per una curiosa eterogenesi dei fini, Vendola si ritrova alla vigilia delle regionali con un simbolo nuovo, e l’unico partito che abbia fatto un ricambio generazionale di classe dirigente (volontario). Con una classe dirigente giovanissima, con una struttura movimentista come quella delle “Fabbriche” (che nasce in Puglia) totalmente autofinanziata. Non solo: non potendo contare su fondi pubblici e rimborsi elettorali (i primi 700 mila euro arrivano solo dopo la vittoria delle regionali) il partito si proietta su tecnologie moderne e povere, come internet (la curatrice, Sonia Pellizzari, vince l’oscar della rete per il sito del governatore). Nascono campagne di autofinanziamento spartane (anche con prodotti di riciclo come le borse) e torna il volontariato totale: tutto il partito ha solo 4 funzionari e una quindicina di rimborsi spese. Non per virtù, ma per necessità, perché soldi non ce ne sono. La campagna in Puglia costa 500 mila euro (contro i 5 milioni del Pdl).
Insomma, con Vendola non c’è una club di frati francescani, ma un movimenti che per due anni ha traversato il deserto dietro. Giovani come Nicola Fratoianni, 30enne astro nascente del vendolismo, assessore in Puglia e spin doctor e coordinatore delle sue campagne. Alle Europee il partito era inchiodato al 3.3%. Dopo la vittoria in Puglia e dopo l’autocandidatura alle primarie di Vendola i sondaggi lo danno fra il 4.4% e il 6.5%. Il che vuol dire che per la prima volta Sel sarebbe in grado di leggere un gruppo di 30-40 parlamentari anche senza apparentamenti. Paradossalmente i problemi iniziano ora che “il partito va di moda”.
Luca Telese
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