E dire che nulla era preventivato. Si incontrano al funerale degli alpini, quasi per caso, a un tratto si ritrovano fianco a fianco. Non erano certo un idillio, fino a ieri i rapporti tra Nichi Vendola a Pier Luigi Bersani. Il governatore della Puglia si era candidato alle primarie, questa estate e il segretario del Pd aveva risposto gelido: “È una scelta prematura”. Da allora pochi confronti diretti, tanti scambi di fendenti a distanza, e persino qualche malinteso. Poi, ieri, quello scambio di sguardi severi, un sorriso che scappa a entrambi. E una battuta che rompe il ghiaccio: “Che dici, ci parliamo?”.
S. Teodoro a sorpresa. All’ora di pranzo, finite le esequie, i due leader si ritrovano a tavola insieme. Con Vendola c’è Ciccio Ferrara, ex deputato di Rifondazione, organizzatore e demiurgo di Sinistra e libertà. La notizia viene battuta in tempo reale da Dagospia e i cronisti che accorrono davanti al locale non appena leggono: “In questo momento Nikita Vendola e Culatello Bersani sono attovagliati al ristorante San Teodoro…”. All’uscita, di fronte a un folla di taccuini i due improvvisano una conferenza stampa volante non programmata e il segretario del Pd conferma la notizia bomba: “Faremo le primarie”. Ma prima di sviscerare i tanti contenuti politici del pranzo, va raccontato qualcosa di più. La mossa di Bersani ha spiazzato, per primi, i maggiorenti del suo partito.
Maggiorenti spiazzati. Alla Camera, quando Walter Veltroni incontra Vendola e viene informato del pranzo resta quasi di sale (forse non se lo aspettava). E Piero Fassino deve incassare la frasi durissime del segretario contro l’ipotesi dei bombardamenti in Afghanistan (così nette che sembrano una sconfessione). D’Alema dovrà mandare giù l’apertura di un rapporto preferenziale con la sua bestia nera. Insomma, mentre a prima vista è Vendola che incassa il successo politico delle consultazioni per la leadership che nessuno considerava possibili solo tre mesi fa (arriva al congresso del suo partito potendo vantare il trofeo delle primarie), anche il segretario del Pd mette a segno un colpo importante: ritorna dominus del Pd, principale candidato, fa sponda con il leader di Sinistra e libertà per tagliare le gambe all’ipotesi del “papa straniero” che secondo i suoi uomini è (da Roberto Saviano a Alessandro Profumo) il principale obiettivo dei veltroniani. Alla fine del pranzo di San Teodoro si annuncia – addirittura – un patto di “reciproca consultazione”, termini da vocabolario diplomatico nell’Europa della grandi potenze. Non a caso.
Governissimo no. Ma cosa c’è sul tavolo del possibile accordo tra Sel e Pd? “Se facciamo un governo non posso avere qualcuno che da sinistra mi spara contro tutti i giorni”, dice Bersani. “Se si fa un governo – ribatte Vendola – non può avere un obiettivo diverso e più largo dalla riforma della legge elettorale, altrimenti la gente si arrabbia. E, soprattutto, il governo non può avere una durata indefinita”. Come lo chiamiamo, allora? “Un governo di scopo”. Ovvero, come spiega Vendola, un “governo che fa la legge elettorale, solo quello e se ne va subito a casa”. Poi si passa al tema centrale, l’alleanza. Il segretario del Pd parte dall’analisi della situazione di difficoltà del governo Berlusconi: “È una crisi democratica – convengono i due – ma anche una crisi sociale”. Spiega Bersani: “È possibile che si voti già a marzo, bisogna mettere subito in campo un telaio intorno a cui costruire la coalizione”. Vendola annuisce: “Sono d’accordo, è la stessa cosa che voglio io”. Bersani: “Ma se è così non si possono mettere veti al centro”. Vendola: “Non si possono mettere veti, ma nemmeno subirli”. Si parla di Fini: il leader di Sinistra e libertà spiega che secondo lui non conviene né al centrosinistra, né a Futuro e libertà una alleanza elettorale. Bersani non dice un no drastico, ma fa capire che è d’accordo. Il che è un colpo per i “terzopolisti” come Enrico Letta, che non facevano mistero di avere in mente una strategia molto netta: allearsi con Udc e finiani e scaricare dipietristi e Sel. Vendola invece dice: “Non possiamo ripetere nulla che faccia pensare al passato, o ai riti di coalizione tradizionali. Dobbiamo inserire la società civile, le forze fresche che ci sono”. In serata, interrogato da Enrico Mentana, Bersani si sbilancia su questo nodo delicatissimo. “Quali sono – chiede il direttore del Tg de La7 – le colonne d’Ercole dell’alleanza che state per costruire? Vendola e Di Pietro a sinistra del Pd?”. Bersani sorride: “Sì, è così”. Il leader del Pd poi è più netto ancora: “Con Ferrero e Diliberto ci siamo già detti le cose in modo chiaro: dal punto di vista di governo – dice Bersani – abbiamo già dato”.
La mossa del cavallo. Insomma, in un momento in cui i sondaggi davano il Pd in caduta libera, il partito parlava con mille voci, Bersani stupisce tutti con una mossa del cavallo che spiazza i suoi rivali, ma lo ricolloca, indubbiamente, al centro della scena. Costruendo un patto di ferro con quello che fino a ieri era considerato il principale nemico, Bersani costringe i suoi antagonisti nel Pd a uscire allo scoperto o ad allinearsi. Punta tutte le sue carte sulla nuova coalizione (che adesso prende forma) e sulle primarie. Il sottointeso del pranzo con Vendola è questo: i due principali sfidanti saranno loro due. E chi vince, di fatto, appoggerà l’altro. Il che, però ha una conseguenza politica enorme nel dibattito che in queste ore correva sottotraccia nelle fila dell’opposizione: le primarie tagliano le gambe all’ipotesi del “papa straniero”, che certo non è attrezzato per una competizione nazionale, dura e capillare, come un voto di tutti gli elettori del centrosinistra in tutta Italia. Questa scelta, poi pone un vincolo anche all’Udc. Se Casini vuole stare nella nuova coalizione, deve accettare che la sinistra e il Pd possano assumerne la leadership. "Quello che io chiamo Nuovo Ulivo – spiega ancora Bersani da Mentana – deve rivolgersi all’Udc e vedere se ci sono le condizioni per un patto di governo”.
La strategia di Sel. Anche per Vendola, ovviamente, questa giornata cambia la prospettiva: a Firenze il suo discorso di apertura sarà il primo vero intervento da possibile premier. Non più da governatore della Puglia, non più da outsider, come questa estate, a Bari. Solo alle europee il suo partito era al 3.3%. Adesso tutti i sondaggi lo danno fra il 5 e il 6%. Da mesi il leader di Sinistra e libertà ha dato dei ritocchi impercettibili, ma sensibili alla sua immagine. Ha girato tutti i principali programmi politici (la prossima tappa è Exit). Ha spiegato che il grillismo “è un patrimonio”, ma che “non può affidarsi al vocabolario dell’ingiuria e del massimalismo”. Ha difeso la sua giunta dalle critiche sulle pale eoliche e sugli inceneritori che gli arrivano da posizioni ecologiste integrali: “Sono diventato il primo produttore di energie rinnovabili!”. Sempre più lontano da qualsiasi cliché antagonista, sempre più un leader radicale (e) riformista. Solo i prossimi giorni diranno come si muoveranno gli altri attori che contano sulla scena: a sinistra Antonio Di Pietro. Nel Pd D’Alema e Veltroni. Dice Vendola: “Non entro nel Nuovo Ulivo, le formule mi interessano poco ma dobbiamo mettere da parte polemiche amplificate in modo malizioso e impegnarci per salvare l’Italia”. Conclude Bersani: “Non ci siamo detti che ci candideremo, non mettiamo il carro davanti ai buoi, dopo il governo tecnico si andrà rapidamente al voto e allora con le primarie i cittadini diranno chi meglio può sconfiggere Berlusconi”. Per ora incassano entrambi. Alla fine vincerà uno solo.
Luca Telese
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