Per dire. L’ultimo sondaggio in ordine di tempo, quello realizzato dal Cfi group per In Onda-La7 solo sabato scorso (un campione di 800 persone) forniva un responso-choc. Il Pd è oggi, secondo questa ricerca, al 22.6% dei consensi con un dato (per farsi un’idea) ai livelli toccati dal solo Pds nel 1996. Per tutti gli altri istituti, una settimana prima, il partito oscillava comunque tra il 24 e 25%. Per Walter Veltroni, che ha attaccato la segreteria di Pierluigi Bersani, il partito è al 24.6%. Dati che fanno paura se confrontati con il 33.1 raccolto dall’ex sindaco alle elezioni politiche.
Concorrenza a sinistra. Difficile capire dove si fermi esattamente il boccino, oggi, di fronte a un elettorato che a sinistra si muove con grande emotività: sale Beppe Grillo, ormai stabile intorno al 2% con il suo movimento Cinque stelle; esplodono Nichi Vendola e Sinistra e libertà (secondo il Cfi al 6.2%, secondo Mannehimer al 5.5%), tiene l’Italia dei valori (tra il 7 e l’8% a seconda degli istituti). Insomma, la situazione di emergenza nell’emorragia di consensi è innegabile. Il Pd era, dopo le politiche, l’architrave della nuova possibile coalizione: ora è l’anello debole dell’opposizione. Se si cerca una spiegazione, la risposta è semplice: dall’Afghanistan (dove Piero Fassino prima chiede i bombardamenti, e poi si corregge), alla Fiat (dove il partito sostiene posizioni equidistanti fra Marchionne e gli operai), al rapporto con Berlusconi e la giustizia, alle primarie le poche prese di posizione note all’opinione pubblica sono di segno moderato, se non “di destra” (per stare alle categorie politologiche). La lotta fra le correnti imperversa a base di lettere astruse e documenti criptati, l’emorragia di dirigenti verso le formazioni centriste è forte: dopo l’addìo, di Francesco Rutelli, Enzo Carra e Paola Binetti, persino un capocorrente come Giuseppe Fioroni minaccia strappi.
Contropiede mediatico. I timori per questa situazione trasparivano nell’intervista difensiva di Bersani, domenica scorsa a Che tempo che fa: “Non sono per fare l’autolesionismo – ha detto – però il Pd non è la salmeria di nessuno”. Ma forse per capire le sue difficoltà bisogna ricostruire l’analisi del leader prima e dopo il congresso. Bersani, infatti, vince contro Dario Franceschini proponendosi come ritorno alla normalità e al buonsenso: ripete in tutte le salse: “Non farò il candidato premier”. Spiega che vuole ricostruire la coalizione, archiviare la “vocazione maggioritaria” Di Veltroni, che aveva portato il partito ad un risultato elettorale deludente, ma non drammatico: e che però aveva sterminato gli alleati condannando il centrosinistra alla minorità.
Voltafaccia. Dopo aver battuto Franceschini, però, Bersani stravolge la linea. Il primo ad aprire le danze, nei rapporti con il centrodestra è il vice, Enrico Letta (“C’è n’è uno di sinistra – secondo una nota battuta di Vendola – è quello che sta a Palazzo Chigi”). Letta stupisce tutti con una intervista a Il Corriere della sera. Berlusconi – sosteneva “Ha diritto a difendersi nel processo e dal processo”. Due giorni dopo (sempre al Corsera), D’Alema va oltre: “Se per evitare il suo processo (di Silvio Berlusconi, ndr) devono liberare centinaia di imputati di gravi reati, e’ quasi meglio se facciamo una leggina ad personam per limitare il danno”. Due aperture molto forti, il tentativo di “pacificare” il conflitto e recuperare “lo spirito della Bicamerale”. E’ il moderatismo la bussola del nuovo gruppo dirigente. A far saltare l’intesa è la radicalizzazione di Berlusconi, che ignora le profferte del Pd. Non può più accettarle: Fini lo sta attaccando proprio sulla legalità.
Il caso Puglia. Bersani e D’Alema sbagliano totalmente la partita in Puglia, il secondo errore strategico. Puntano su un candidato centrista (Boccia) e sulla deposizione di Vendola. Ottengono il risultato opposto. Poi scommettono sulla sconfitta alle elezioni. E invece Vendola è l’unico presidente di sinistra che vince fuori dalle regioni rosse. Vendola si candida all primarie nazionali. Bersani dice che “E’ prematuro”. Ieri cambia idea. La Bidi e Letta dicono: “Il candidato è lui”. Però scende in campo anche Sergio Chiamparino. Scoppia la guerra del referendum a Pomigliano? La Cgil si schiera contro la Fiom che difende il contratto, Bersani dice: “ Gli operai sanno cosa votare” (cioè sì). Il responsabile industria, Matteo Colaninno aggiunge: “Ha torto la Fiom: Marchionne sbaglia, ma non si può dire di no alla Fiat”. Mentre Fini chiede diritti per gli immigrati, a Veltroni propone un permesso di soggiorno restrittivo “a punti”. La Russa chiede i bombardieri? L’ex segretario si illumina: “Parliamone”. Poi, dopo un coro di insulti fa retromarcia. L’altro nodo strategico: “il terzo polo”. Su cui scommette, ancora una volta, Enrico Letta: “Se noi ci alleassimo con Fini e Casini, separandoci da Di Pietro e da Vendola potremmo vincere”. Bersani deve corregge il tiro anche lì, forse troppo tardi. Torna attuale una storica battuta di D’Alema. A Fernando Adornato, che aveva scritto un saggio intitolato Oltre la sinistra, disse: “Nando, ricordati che oltre la sinistra c’è solo la destra”. Capito Pierluigi?
di Luca Telese
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