Andiamo subito all’osso del problema. Considero molto grave un pericoloso riflesso condizionato che vedo scattare in una parte della sinistra alla notizia dell’attentato a Maurizio Belpietro. Di fronte ai prevedibili e ridicoli sciacallaggi di chi specula miseramente su una possibile sciagura, andando subito a caccia di presunti “cattivi maestri” fra gli oppositori – riemergono, come un antico tic, strane domande: ma allora stai a vedere che l’attentato non è un vero attentato; ma allora stai a vedere che il caposcorta è un tipo un po’ strano; ma allora pensa tu, è curioso che non si sia preso questo attentatore; ma allora, scusate, come possibile che la pistola abbia fatto cilecca? Anziché essere felici che quella pistola abbia fatto cilecca, si pensa che se non avesse fatto cilecca, perlomeno, non ci sarebbe il dubbio. Il che è semplicemente infame. Ma questo è un cattivo sentimento che purtroppo galleggia nei pensieri di qualcuno e nei blog, in cui si scrivono sotto nickname le peggiori nefandezze, come nei cessi degli autogrill.
Il problema esiste ed è serio. Soprattutto perché, in un paese avvelenato dalla faziosità, i piccoli rigurgiti farseschi degli apprendisti stregoni degli anni di piombo vengono subito cavalcati da una parte per mettere fuori gioco l’altra. Oppure affrontati con strumenti sostanzialmente “negazionistici” dagli “aggrediti” fazione per salvarsi l’anima. Se fosse capitato a uno “dei nostri” saremmo tutti in piazza, ma siccome l’agguato è contro il perfido Belpietro bisogna subito chiedersi: “Sì, d’accordo, ma sarà vero?”. Conosco benequesto riflesso condizionato perché l’ho già incontrato in passato: e so bene che gli stessi che si esercitano con zelo nel dubbio cartesiano, se nel mirino c’è un giornalista “non amico”, sarebbero in prima linea a chiedere uno sciopero generale e a vergare lacrimevoli comunicati se si trattasse di un’altra persona.
Devo dire una cosa molto chiara e netta. Quando ho scritto “Cuori neri”, raccontando le vittime di destra degli anni di piombo, ho trovato nelle emeroteche centinaia di pagine di giornali, cosiddetti “democratici”, che erano tutte segnate da due stereotipi riccorrenti e ossessivi. Se a morire era un ragazzo di destra, ci si chiedeva sempre: “Sarà vero?”. E subito dopo: “Se è vero vuol dire che si sono sparati da soli”. Siccome la mistificazione è il primo passo verso la legittimazione della violenza, nulla è più grave che ricadere in questi due errori fatali: minimizzazione e negazionismo. Ha ragione Filippo Facci, oggi su Libero a fare le pulci a tutti i giornalisti sbadati. La violenza è violenza, sempre. E io sono solidale con Maurizio Belpietro non perché lo conosco, e non perché penso alle sue incantevoli bimbe: ma perché è vittima di una infamia. Non ci possono essere errori di percezione se la violenza viene praticata contro uno che non è simpatico, o magari appartiene ad uno schieramento opposto. E nemmeno tentazioni mimimizzanti se il colpo non è andato a bersaglio. I praticanti terroristi, finché non uccidono la prima volta – anche in questo la storia si può ripetere – sono sempre goffi e maldestri. Però subito dopo diventano killer spietati e ineffabili perché il tabù della morte è difficilissimo da infrangere – anche questa è una lezione degli anni di piombo – ma quando lo abbatti non ti fermi più. Le cosiddette nuove Br erano una banda di sprovveduti e zombie. Ma si sono portate tre cadaveri nelle bare, meno di dieci anni fa.
Ho letto con attenzione l’editoriale di Belpietro su Libero. L’ho trovato serio, misurato, privo di qualsiasi sbavatura. Persino auto-ironico: “Quando entrai per la prima volta in una redazione mi spiegarono che l’unico rischio da scongiurare era il buco in pagina, non il buco in testa”. Ho letto anche queste righe: “Quando si sostiene che un giornalista è un servo, un cane, una prostituta, un leccaculo, uno che sguazza nella merda e opera nella fogna non c’è da stupirsi se c’è chi mette in pratica il proposito di levare di mezzo un personaggio tanto sgradevole”.
Ecco, questo è il passaggio più delicato. Ripenso a quello che ho detto e scritto in questi mesi. Non ho risparmiato nessun giudizio duro, per esempio, sulle campagne di stampa condotte sotto la cintura, ma non ho mai derogato ai miei principi. Ho scritto e detto che considero ottimi giornalisti gli inchiestisti del Giornale: li conosco bene, e da anni, è innegabile. Ma so anche che il loro giornalismo è spesso unilaterale e viene piegato alle regole della faziosità. Lo sanno anche loro. So che questo inchiestismo si accanisce da due mesi su Gianfranco Fini e la casa di Montecarlo, e che si dimentica del tutto – come ho avuto modo di ricordare a Gianluigi Paragone nel suo programma – delle intercettazioni con Gomorra cancellate a Cosentino da un voto di auto-assoluzione del parlamento che grida vendetta; si scorda di Scajola e della sua caccia al tesoro; sorvola dell’improponibile Bertolaso, che per la vergogna è scomparso, ma che è ancora al suo posto di sottosegretario, malgrado tutto quello che è stato accertato su di lui in questi mesi. Non dovevo farlo? Sfido chiunque a dirlo. Lo sfido – è questo il punto – a sventolare questo attentato infame per silenziare il diritto di critica. Penso al giornalista che considero più lontano da me, in questo momento. Augusto Minzolini. Al contrario di altri giornalisti di destra di cui non condivido nulla – ma che fanno il loro mestiere – lui non si può più considerare un giornalista. Non è un discorso sui contenuti, ma sulla funzione. Se uno invece di dirigere il Tg1 fa l’ufficio stampa di Palazzo Chigi, se uno con il soldi del servizio pubblico attacca ogni giorno la metà di quelli che gli pagano il canone, se uno si inventa eleganti perifrasi per nascondere le notizie, smette di fare il giornalista e diventa un alter ego del presidente del consiglio. Il che è una scelta possibile, ma è un altro mestiere. So che è una critica durissima e che a Minzolini non piacerà affatto. Ma sfido chiunque a dire che scriverlo voglia dire calarsi nei panni del “cattivo maestro”. Non so se avrei detto a Berlusconi le cose che Di Pietro ha detto nel dibattito parlamentare sulla fiducia. Trovo però osceno che qualcuno cerchi di dimostrare che ha armato la mano di un pazzo o di un aspirante attentatore. Qualcuno dovrà pur dire, a destra, che c’è solo un atteggiamento che è sciacallesco quanto il negazionismo, ed è la strumentalizzazione. Ma posso dire tutto questo – e con il cuore sereno – solo se non ho dubbi: prima di qualsiasi altra verità che possa emergere dall’inchiesta, i fatti per quel che sappiamo sono questi: c’è stato un attentato infame. Contro Belpietro. E chiunque abbia a cuore la libertà oggi in Italia – anche se non ama quello che scrive – deve essere solidale con lui.
Luca
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