Si potrebbe andare tutti alla riunione dell’Area democratica… vengo anch’io! no tu no! Ennesima puntata della telenovela sulla scissione della minoranza nel Pd (con retroscena elettorale). Tenetevi forte perché è difficile anche solo provare a spiegarla a chiunque non sia calato nelle faide del gruppo dirigente del partito. A mezzogiorno di ieri nel Pd – infatti – esplode l’ultima polemica di giornata. Già, perché ieri Dario Franceschini dirama gli inviti per convocare l’assemblea dell’Area democratica (la vecchia componente dell’opposizione a Bersani costituita da lui e Veltroni). E – ovviamente – omette di convocare i firmatari del documento dei 75, fedeli all’ex sindaco di Roma. Così, fin dal primo pomeriggio le agenzie sono intasate di polemiche surreali. Veltroniani all’attacco e franceschiniani in difesa, alè. Polemiche surreali, a dire il vero, perché i 75 si considerano già separati dai loro ex compagni, ma denunciano ugualmente l’affronto, come se fosse un’offesa mortale: “Franceschini non può considerarsi Area democratica, ma solo una parte”, grida il senatore veltroniano Stefano Ceccanti.
Il problema è che Franceschini, che ieri mattina si era incontrato alla Camera, con quelli che sono rimasti al suo fianco – Piero Fassino, Luigi Zanda, Pierluigi Castagnetti, David Sassoli e Deborah Serracchiani – sa già che la componente è di fatto finita, e che per i suoi inizia un percorso nuovo, dentro la maggioranza. Ma fa di tutto per fingere che non sia così: non si può concedere agli ex amici il monopolio della componente, e appiccicarsi sulle spalle l’etichetta dei traditori.
Ma adesso fate attenzione, perché solo a provare di dipanare il filo di quello che accade si finisce nello scioglilingua. Esempio: Beppe Fioroni, grande azionista della maggioranza della minoranza (quella che non segue il capogruppo del Pd nell’abbraccio con Pier Luigi Bersani) spiega: “Nessuna separazione! Noi siamo la maggioranza che resta: loro sono la minoranza che se ne va. Non possiamo essere noi a separarci, se sono loro che se ne vanno”. Ci avete capito qualcosa? Ovviamente no.
E allora bisogna provare a ricostruire cosa è successo davvero. L’antefatto è il documento dei giovani turchi contro Veltroni. Attaccano l’ex segretario, convocano un convegno a Orvieto contro di lui. Poi, per non arrivare alla battaglia finale, lo ritirano. I “giovani turchi” sono gli uomini più vicini a Bersani, i quarantenni della sua segreteria, a partire dal braccio destro del leader, Stefano Di Traglia. Poi arriva “il documento dei 75”, quello dei veltroniani che all’inizio della settimana apre le danze. Un attacco durissimo alla segreteria, che diventa il casus belli per sancire la divisione definitiva – già nell’aria fin dalle polemiche per le primarie in Umbria – tra Franceschini e Veltroni. Il documento conteneva addirittura un’affermazione che viene rimossa: “Il partito è rimasto senza bussola”. Fatto curioso. La battuta viene tolta, ma Bersani risponde comunque con un ruggito d’orgoglio: “La bussola c’è!”.
Sembra che si debba arrivare al cataclisma, alla frattura definitiva nel partito, si parla di iniziative dentro-e-fuori, si dice che Veltroni già pensa al Papa straniero. Alla fine, anche stavolta non succede nulla, e la montagna partorisce il topolino: i veltroniani si astengono, per non arrivare alla rottura definitiva. E così nasce una ridicola polemica sui voti in direzione. “Gli oppositori si sono dimezzati!”, dicono cantando vittoria i bersaniani. “Macché, non avete contato i presenti!”, ribattono i veltroniani.
Bene, tutto questo non si può spiegare se non con l’unico vero retroscena possibile. Ovvero: il merito c’entra poco. E nessuno ha ancora capito su cosa si dividano le due fazioni che si danno battaglia. Non sulle primarie, per esempio, che tutti dicono di volere, ma sui cui nessuno ha chiesto un voto. Non sul governissimo, o sulle alleanze, su cui esistono tutte le posizioni possibili in entrambi gli schieramenti. La verità che nessuno può raccontare è che l’imminenza delle elezioni anticipate ha prodotto una fibrillazione per le liste elettorali. I franceschiniani che entrano in maggioranza conquistano un posto a capotavola nella spartizione dei seggi, e una quota protetta per la loro mossa politica. Hanno rafforzato la posizione di Bersani nel momento dell’assedio e ora verranno premiati. Ieri Franceschini spiegava: “Alle primarie voterei Bersani, il mio segretario” (curioso per uno che lo aveva sfidato meno di un anno fa, ma è il bipolarismo all’italiana).
Ma anche i veltroniani e i fioroniani – per paradosso – conquistano peso e visibilità: si sono guadagnati uno status di minoranza, con una quota di posti garantita proprio in virtù di questo. Quindi, l’effetto collaterale colpisce la maggioranza. È Bersani che dovrà dividere la sua torta in porzioni più piccole per accontentare tutte le bocche.
Se provi a calarti in questa logica di algebrica correntizia riesci a capire qualcosa. La guerra di carta fatta di lettere ai giornali e documenti per gli addetti ai lavori. Ma se invece sei un elettore del partito che assiste dall’esterno non capisci nulla. Nel Pd c’è stata una grande battaglia di uomini, di correnti e di idee. E alla fine non sono rimasti né gli uomini, né le correnti, e nemmeno idee.
Luca Telese
Rispondi