Andate per un attimo su Google. Digitate “Bersani”, “Video” e Maniche”. Vi ritrovate davanti – fresco fresco – l’ultimo incredibile prodotto del dipartimento comunicazione del Pd: “Rimbocchiamoci le maniche”. Un video così intitolato, con una colonna sonora di Ligabue, con un tormentone fisso, quello di dirigenti noti, e militanti semplici che si arrotolano sorridenti le estremità della camicia per andare in battaglia. Vedere per credere. Si passa da una battagliera Rosy Bindi a un flemmatico Massimo D’Alema (va detto, un po’ stitico, visto che si tira su solo la manica della giacca), al bimbetto di due anni, con le manicucce arrotolate da un padre premuroso.
Segretario sei per tre. “Arrotoliamoci le maniche è anche un sei per tre, ed è anche una campagna affissioni che è partita dalle stazioni. Ma se poi vai all’osso delle cose – visto che non ci sono in agenda appuntamenti elettorali – il lancio multimediale in grande stile, è anche una vera notizia politica, che emerge dal grande marasma della lotta interna nel Pd. Waiting for Walter. Mentre Walter Veltroni prepara la sua svolta di Orvieto, infatti (con una dirompente intervista a Gioia in cui dice che “lavorerà dentro e fuori” il partito), mentre Matteo Renzi sostiene la tesi della rottamazione dei sessantenni, mentre Sergio Chiamparino già corre (anche con un libro einaudiano di sostegno) per le primarie, il segretario del Pd scende in campo con una linea comunicativa che ha molti messaggi in codice. Il primo è rappresentato dalla stessa fotografia di Bersani. Per la prima volta con la pelata non celata dal taglio dell’inquadratura, con lo sguardo in camera puntato sul lettore, con uno studiato sorriso popular, un look scamiciato in bianco, seduto su una specie di sgabello. Gli slogan sono leggermente contorti, in quel bersanese che Sabrina Ferilli – che pure è una fan del leader piddino! – ha splendidamente riassunto così: “Lui dice: Bisciogna fare quescta coscia qui, per andare in quel poscto lì, perché fascendo coscgì… Gli manca un po’ di chiarezza, ecco”. Ecco. Gli slogan dei sei per tre, distesi su tre righe, suonano così: “I soldi per l’istruzione sono diminuiti – la pazienza è finita – per giorni migliori rimbocchiamoci le maniche”. Tutto chiaro e sintetico, no? Per nulla. Ma a prescindere dai giudizi di merito, il nodo di questa complessa campagna (per recitare lo slogan bisogna andare in apnea) è che Bersani fa il verso al Silvio Berlusconi degli storici chiodi elettorali (ve lo ricordate lo storico “Più pensioni per tutti”?). Di più: diventa l’unico filo conduttore di una serie di cartelloni sui temi diversi: dalla scuola alla disoccupazione, alle tasse. L’altra notizia è che se Bersani “berlusconizza” la comunicazione del suo partito – gestita e coordinata dal fedelissimo Stefano Di Traglia – mettendo in primo piano se stesso, è perché sta entrando ufficiosamente nella campagna delle primarie. I sondaggi di ogni istituto e indirizzo , in questi giorni, sono stati disastrosi. Il Pd è al palo o in calo, e il suo leader è in fondo a tutti gli indici di gradimento. Sondaggi giù. L’ultima goccia è stata la ricerca illustrata da Il-vo Diamanti su Repubblica, dove il segretario è scavalcato non solo da Nichi Vendola (45.6%, il leader più amato a sinistra, secondo quei dati) ma anche da Sergio Chiamparino (44.6%), da Walter Veltroni (37.1%), e anche da Antonio Di Pietro (33.5%) e da Beppe Grillo (31.2%). E volendo essere cattivi persino da Gianfranco Fini, che secondo Demos&Pi è solidamente attestato 40% malgrado le campagne di stampa che lo hanno colpito. Quindi, in termini comunicativi, “berlusconizzare” e personalizzare le campagne di Bersani, significa in primo luogo provare a risalire la china degli indici di gradimento. Non è un mistero che un pezzo della maggioranza bersaniana avesse in mente un arrocco. Cambiare lo statuto (che obbliga il Pd a scendere in campo per Palazzo Chigi il proprio segretario) e costruire consensi intorno al “volto nuovo” di Nicola Zingaretti: emergente, presidente della Provincia di Roma, per fare barriera contro l’offensiva di Vendola, Chiamparino e degli assai insidiosi concorrenti interni. Arrocco difensivo. Insomma, l’arrocco sarebbe un gesto reso necessario dal rischio concreto che, per la prima volta, un outsider (non bisogna dimenticare che potrebbe esserci anche Luigi De Magistris) possa strappare lo scettro a un uomo del partito. È per questo che nel Pd si aspetta con inquietudine il discorso di Veltroni a Orvieto. L’ex segretario ieri ha attaccato duramente: “Contro di me vigliaccherie e ingiustizie”. E ha nella manica due carte che potrebbero complicare la corsa di Bersani. Potrebbe scendere in campo lui stesso, o convergere su Chiamparino (che a Orvieto potrebbe uscire, per non dover sottostare alle gerarchie interne). Tutto chiaro? Ovviamente no. Ma la complessità è l’unica chiave per spiegare cosa accade nei vertici della principale forza di opposizione. Anche perché di fronte all’idea di far fare un passo indietro al segretario per trovare un candidato più fresco, la vecchia guardia – con in testa Piero Fassino – ha fatto muro: “Mi sono rotto i coglioni di Veltroni”, avrebbe gridato il leader sabaudo nel caminetto di ieri. Su una cosa Bersani ha ragione. Bisogna rimboccarsi le maniche. L’ho dovuto fare anche io, per scrivere questo articolo.
Luca Telese
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