Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

La politica nel tempo del mediterranèe

I grandi luoghi della prima repubblica, avevano sempre un che di seminariale: arrivavi alla scuola quadri del Pci delle Frattocchie e ti pareva di chiuderti in un piccolo seminario rosso, bussavi alle porte della scuola democristiana della Camilluccia, ed era come murarsi in un piccolo e serioso monastero fatto di lezioni austere e seriose. Anche la Cgil aveva la sua skolè, che pareva ricalcata sul modello di quella del Pci (e gli era pure geograficamente vicina) nella più ridente Ariccia che fu teatro di epici caminetti riconciliativi durante la Svolta della Bolognina. Claustralità. Anche la più secolarizzata e prosaica delle correnti democristiane – quella dorotea – prendeva il nome dal convento di Santa Dorotea che le aveva dato i natali. E Todo Modo, capolavoro inarrivabile della letteratura sciasciana, metteva in scena un riconoscibile Aldo Moro che (ben prima del martirio brigatista) era tratteggiato con umori isterici e deformazioni maniacali, chiuso nella claustralità dell’”eremo di Zafer”. La piazza della sinistra comunista, in ogni caso era la piazza dei Santi per eccellenza (San Giovanni) e quella della destra era piazza del Popolo. Il centrosinistra del 1964 nacque con due storici convegni a San Pellegrino, che alludevano già alla rinascita battesimale. Vacanzierismo. Se provi invece ad indagare sui ritrovi della nuova politica, scopri che oggi la mondanità prevale sulla seminarialità,  che il gorgo dell’opinione politica si agita sempre intorno ai santuari vacanzieri. Un tempo la politica inseguiva una aspirazione di assoluto, adesso si accontenta delle locazioni turistiche. Enrico Letta, solo tre anni fa, ambientò la sua campagna per le primarie “sulle spiagge del Tirreno”. Il rito del Midas. Il primo rito di passaggio però, a ben vedere, è un evento politico che fa da cardine fra due stagioni importanti: il Midas fino ad allora era stato un hotel dedito alla convegnistica minore, che divenne d’imperio simbolo della consacrazione del craxismo, il topònimo delle congiure correntizie che aspirano alla presa del potere. Non per caso, da allora,  l’albergone e i suoi sterminati sotterranei ospitarono tutti i riti congressuali della nuova politica, con particolare preferenza per quelli di osservanza radicale, e quelli dell vecchia An di Gianfranco Fini. E persino con qualche cortocircuito paradossale, come quando le assisi pannelliane si sovrapposero a quelle che incoronavano la leadership di Massimo D’Alema. Era un passaggio di stagione evidente, quello del Midas,  che segnava la transizione dalla fase monastica della politica a quella alberghiera. Supermercati, riti termali. La metamorfosi anagrafica fra la vecchia e la nuova destra, forse non a caso, si celebrò in un luogo quasi alieno, un supermercato,  quello storico di  Casalecchio del Reno, dove Silvio Berlusconi (tempi lontani) invitava a votare un leader ex missino. Del resto anche Gianfranco Fini trovò un nomina loci che evocava già in sè il lavacro purificatore di una purificazione termale: Fiuggi. E dopo di allora, nulla fu come prima. Nella seconda Repubblica capitava che luoghi minuscoli assumessero, per contrapasso, importanza macroscopica. Clemente Mastella risollevò la fama di un altro luogo termale decaduto (potete capire quanto mi stesse a cuore) quella Telese Terme, che per tre anni fu la residenza privilegiata dell’Unione. Solo Romano Prodi, controtendenza, provò a designare come sede dell’Ulivismo un castello (come Gargonza) e un eremo (come Camaldoli). Mentre Giorgio Napolitano, con coerenza adamantina co le sue pasisoni europeiste, lo invitò a far risorgere l’Ulivo a Ventotene (in omaggio alla bella storia di Altiero Spinelli). Ma il tempo era cambiato, e l’ulivismo cedette ai nuovi tempi insieme alle sue residenze medievalistiche. Enrico Cisnetto si appropriò con successo dell’estate di Cortina, portando sul palco nuovi eroi a cavallo fra politica e finanza: in terra veneta presero piede le comiziate applauditissime di Vittorio Feltri, le firma copie di Magdi Allam e le passeggiate dolomitiche di Gianni Alemanno. Ai piedi delle alpi mise le tende Enrico Letta, ribattezzando Drò, in Ve-drò. Zolle in vendita. E il pratone verde un tempo periferico di Pontida fu rivestito dalla Lega di aure epico-celtiche, insieme alle baite di Ponte di legno. Una palingenesi così brusca che gli ettari di terra anonimi venivano riscattati, zolla per zolla, con una inventiva forma di azionariato popolare. A Lorenzago Giulio Tremonti ha portato saggi costituzionali in pantaloncini di velluto e bevute nordiste. La più antica delle feste politiche stanziali rimasta in piedi, quella di Mirabello, è oggi teatro di una contesa che è anche simbolica. a Mirabello Fini fu battezzato “Delfino” da Giorgio Almirante e a Mirabello Silvio Berlusconi e le (per ora presunte) armate di Michela Brambilla vorrebbero inchiodarlo alla prova di fuoco di una contestazione organizzata. A Mirabello vedremo sfilare anche il messo di Libero che vuole consegnare al presidente della Camera le firme che lo contestano. I riti del seminario si estinguono di fronte a quelli della teatralità, le conventicole iniziatiche lasciano il passo alle adunate oceaniche. L’evento funziona ancora meglio se oltre ad avvincere intrattiene, se oltre al relatore allieta anche la famiglia. O addirittura la corte, come nel caso della Certosa, un vero parco a tema sul berlusconismo, con tanto di vulcani, menestrelli e finte eruzioni. La politica si  adatta al tempo del Mediterranèe. Le feste Democratiche. Di fronte all’insorgenza di queste nuove forme rappresentative della politica spettacolo, prevalgono il luogo di culto e il ritiro iniziatico. E paradossalmente perdono di identità le feste democratiche che sono per definizione itineranti. Sempre straordinariamente redditizie, ma sempre politicamente più periferiche (vedi polemica sulla presenza di Roberto Cota) perché l’avversario veste i panni del nemico, e sceglie di non contaminarsi nel confronto. A Genova Lino Paganelli si giocò la presenza dei ministri berlusconiani per una battuta che nell’estate di Noemi fece scuola: “Questa è una festa, non un festino”. Parigi, a volte, val bene una messa.

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Una risposta a “La politica nel tempo del mediterranèe”

  1. Avatar Marco Lazzaroni

    Ciao Luca, sarebbe meglio rileggerlo: stemrianti, dell’a, corroccircuito paradollale, metamofosi…

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