di Walter Veltroni*
Scrivo al mio paese e al mio supplemento satirico preferito perché 14 milioni di italiani hanno messo una croce sul mio nome, 50 deputati veltroniani mi hanno tradito e due bambini mi hanno fatto una pernacchia. Scrivo ai narratori toscani di mezza età che ancora siedono grazie a me nei consigli di amministrazione delle più importanti aziende di Stato; Scrivo ai tanti registi democratici che hanno ispirato la scenografia di Spello e magnificato la gloria del festival capitolini, scrivo ai sacerdoti missionari in africa, ai bambini diversamente abili eppur sorridenti, ai jazzisti depressi ma creativi, a grandi italiani come Pierluigi Diaco, Marianna Madia e Franco Califano, a capolavori del cinema come “Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda” o “Viva la Foca” e a tutte le donne che come mia madre Ivanka, sapevano come, quando e a che titolo parlare. E scrivo pure a Patricio, se almeno sapessi dove abita e chi cazzo è.
Costruire una nuova Italia, parlare al Paese, inventare un nuovo rinascimento italiano: è difficile, è possibile. Certo, ho sofferto in questi mesi, e non lo nego. Ho sofferto per le mille cattiverie gratuite, ma le dimentico in nome della salvaguardia delle Istituzioni e invece di dar retta a De Gregori, non torno in Africa, continuo qui un percorso di speranza. Il leader dello schieramento a noi avverso è sempre quello e quindi scrivo agli italiani che guardano i programmi prime time della tv pubblica, ma anche a quelli che hanno trovato la scheda Mediaset Premium nei fustini del Dixan perché è tempo di far cadere le barriere dell'odio ideologico che hanno diviso il nostro bel paese. E' difficile, certo. Ma è anche possibile.
Chiunque alzi gli occhi al cielo nella cornice incantata dello stadio Olimpico o all'esterno del vecchio folkstudio o ancora contemplando la volta della galleria Alberto Sordi, chiunque calpesti le splendide rive del Villaggio Tognazzi a Torvaianica e abbia respirato l'aria magica di una notte bianca romana, non può non sentire tutto intero l'orgoglio di essere figlio di questo Paese e della sua straordinaria e travagliata storia. Ero deluso. Deluso e stanco. Amareggiato, deluso e anche stanco. Troppi veleni, troppe cattiverie, contro di me, che pure avevo portato il partito Democratico, ma miglior risutalto mai raggiunto da un partito riformista di isprazione juventina nel mondo. Volevo lasciare la politica ma ho pensato che questo meraviglioso paese ha bisogno di coraggio. Sono tentato di candidarmi alle primarie, malgrado tutto. Anzi, muoio dalla voglia: tornare leader, per reinventare una nuova stagione di speranza. E’ difficile, è possibile.
(*testo raccolto in una capanna di Korogocho da Luca Telese e Malcom Pagani)
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