di LUCA TELESE
Prologo. Roma, via Puccini, 30 agosto 1970. L’avvocato Cesare Previti 36 anni, ciuffo corvino, occhiali, mascella dentata ben serrata e grande senso del piazzamento, arriva sulla scena del triplice omicidio con la polizia. Tre cadaveri scomposti e sfigurati, chiusi nel perimetro di sangue di una stanza sigillata a chiave, non un bello spettacolo. Due uomini e una donna: qualcuno sarebbe rimasto colpito dalla spettacolo del sangue bruno, che si raggrumava. Qualcuno dai frammenti di cartilagine e tessuto osseo, proiettati qua e là: il fucile da caccia, da certe distanze, è peggio di un tritacarne.
Ma lui no: gli uomini che presagiscono il futuro vedono quello che gli altri non vedono. Tre corpi, tre vite: un viveur, una arrampicatrice sociale, un miliardario, tre storie avvitate l’una all’altra, strette intorno ad un unico asse patrimoniale. L’avvocato vide le traiettorie ereditarie che correvano lungo i binari del destino, come vagoni sulle rotaie. A decidere dove, la medicina legale. L’avvocato Cesare Previti, 36 anni, ciuffo corvino e mascella dentata, capì che dietro quella locomotiva era agganciata una delle più grandi collezioni di beni della storia d’Italia: l’eredità Casati Stampa. Prese un respiro, chiuse gli occhi, immaginò come dovevano incrociarsi i decessi, sui referti, perché il fiume del denaro arrivasse nella stazione che preferiva.
Primo Capitolo
E POI, alla fine, dopo quindici minuti di chiacchiere che giravano in tondo senza chiudere il cerchio, dopo brontolii, digressioni, argomenti attinenti all’omicidio e altri che non c’entravano nulla, anche il questore aveva estratto dal turbine dei suoi pudori la curiosità che lo attanagliava. Si schiarì la voce con un colpo di tosse di fluidificazione – ahemm, come per passare a un tono più informale, confidenziale – e fece al commissario Valerio Gianfrancesco (che come capo della squadra mobile era entrato tra i primi nell’appartamento), la domanda che gli bruciava sulla punta della lingua.
“Commissario, mi scusi, ma c’è un particolare, tra le voci che sono arrivate dagli agenti…”
-“Dica, signor questore, dica”.
-“….C’è questo particolare strano”. Non so se sia vero, mi pare piuttosto inverosimile”.
-“In questa storia nulla è…. Inverosimile”. Osservò il commissario mentre gli passavano davanti agli occhi, come fotogrammi, le immagini del lembo di orecchio sanguinolento andato a incollarsi sul quadro dopo essere stato tranciato dallo sparo, la donna dal petto squarciato, il ragazzo trapassato dai pallettoni e riverso di schiena sul pavimento dopo il colpo di grazia ricevuto alla nuca. Il fucile da caccia era rimasto vicino al cadavere del marchese (cranio scarnificato) come un cane resta al fianco del padrone anche dopo la morte. Intanto il suo superiore stava faticosamente arrivando al punto.
-“….E’ vero, la marchesa era prosperosa..Un bel pezzo di femmina, ma….”. Il questore, per una riserva pudica, non focalizzava la parola più appropriata. Gianfrancesco aveva capito la difficoltà, ma per sfizio non andava incontro al suo superiore.
-“A cosa si riferisce?”. -“Insomma, mi hanno detto che…. Secondo uno degli agenti entrato con lei, persino dal cadavere…. Nel punto in cui la signora era stata colpita, tra le mammelle, Aehemm, dicono che colava siero di latte, è vero?”. Gianfrancesco sorrise, di uno di quei sorrisi partenopei che vogliono dire molte cose, e rispose netto:
-“No, non è vero”.
-“Ah…”, rispose il questore. Sembrava deluso. Il commissario si prese il gusto di costringerlo ad esporsi.
-“….Non era siero di latte. Il latte non cola fuori dalle scollature delle signore colpite con pallettoni da caccia”, aggiunse.
-“Gesù, e se non era latte cos’era, allora?”. Il questore sembrava ormai sulla brace. Non pensava più alla telefonata del prefetto, all’intervento discreto del ministro, alle lamentele del deputato liberale che era provvisorio tutore della figlioletta del Marchese. Giornali pieni di foto di una marchesa di quarant’anni nuda, inquadrature ginecologiche, solo ipocritamente pecettate di nero. Quell’omicidio era diventato una catastrofe per il suo ufficio, motivo di assedio permanente. Ma il questore pensava solo al rivolo biancastro e denso che – gli avevano detto – colava fuori dal decolleté della marchesa. E moriva, davvero moriva, dalla voglia di sapere che cosa fosse.
CI PENSAVA perché sempre i dettagli si caricano di significati: in una storia in cui non si capisce se un marchese abbia ucciso sua mogliee un giovane amante a fucilate, o se sia accaduto il contrario, come mai tutti e tre sono morti? in una storia così incredibile e confusa, quel filo di liquido sembrava la prova di una umanità diversa,anomala, segreta e misteriosa: l’unica cosa da capire per dare un senso al resto, la chiave di partenza per decrittare tutto il mosaico di un caso fuori dall’ordinario e insieme appagare la curiosità personale. Il commissario continuò a centellinare la sua verità. Seguiva il filo dei pensieri. E continuò a raccontare:
-“…Questo è il bello! Non riuscivamo a capire cosa fosse. Lei era sulla poltrona come se fosse stata stroncata dalla fucilata a metà discorso. Lui – prosegui Gianfrancesco senza prendere fiato – deve averle sparato a sorpresa e a bruciapelo, imprimendole per sempre quella maschera di stupore sul viso”. Pausa. “Era bella davvero, sa?”. Il commissario pensò alla bellezza, che a volte resta adagiata sui cadaveri come un biglietto da visita su un cuscino di velluto.
-“E…”, fece solo in tempo a dire il Questore
-“E… secondo me”, aggiunse il commissario “anche il biglietto che il marchese ha scritto prima di morire, dice che la carneficina non era stata premeditata. Tutto è precipitato quando i tre si sono visti per quell’ultimo, tragico chiarimento…”. Stavolta Gianfrancesco si era veramente infilato nel rivolo delle ipotesi, nel cuore del suo caso, mentre l’immaginazione del questore era sempre appesa alla stilla di liquido biancastro che dalla poltrona colava densa sulla trama del tappeto settecentesco rosso fuoco, sul pavimento di marmo dell’appartamento di via Puccini. I pensieri dei due avevano traiettorie opposte e divergenti: nell’impossibilità di un incontro, la gerarchia tornò ad imporsi sulla fantasia.
-“Commissario, per l’amor di Dio! Lei mi stava parlando della scena del delitto, non si perda in teorie, vada al punto”. Il commissario,ovviamente, aveva capito ma preferì continuare a far sgocciolare ancora la curiosità del Questore. Un po’ tenerlo sulla brace lo divertiva. Un po’ gli era utile ripercorrere la sua pista di indizi in modo diverso, irregolare, usando il suo superiore come un pugile può usare uno sparring partner. Il commissario era convinto che quella scena del delitto fosse un rompicapo a cui non mancavano tessere. Tre cadaveri, un fucile, due vittime e un solo assassino. Bastava ricomporre i frammenti nel modo giusto per completare il mosaico.
DECISE di andare incontro alla curiosità del questore: “Ah, a proposito della scena… Beh, mentre la marchesa è rimasta fulminata in poltrona, il giovane ha fatto appena in tempo a improvvisare una reazione. Il ragazzo, lo abbiamo accertato, era un militante del Msi. Ma la politica, signor questore, non c’entra….”
-“Che cosa, secondo lei…”, fece il questore fingendosi paziente.
-“….Secondo me Minorenti, il ragazzo, ha preso il tavolino per tirarlo contro il marchese,piuttosto che per ripararsi… Non gli è riuscita né la prima né la seconda cosa. Non so se mi sto spiegando, il calibro era tale…” Il questore adesso scalpitava, espose nuovamente la sua curiosità. Così ricapitolò, calcando per bene sulle sillabe:
-“Scu-si mi sta-va di-cen-do che…. In principio nemmeno lei aveva capito di che fluido si trattasse, quella benedetta sostanza che colava….”. Il commissario accettò il cambio di campo. “Infatti. Un liquido viscoso, inodore, quasi opalescente: a prima vista pareva grasso. Ma era anche di natura chiaramente sintetica, non umano e non animale, insomma. Ho dovuto chiedere al perito”.
-“E cosa le ha detto, il perito?”.
-“Ha identificato subito la sostanza”. Il questore a quel punto non stava più nella pelle.
-“Droga?”. -“No, silicone”.
-“Silicone? Gesù, che c’entra ora il silicone con la Marchesa?”.
-“Era lì a riempire una protesi”. Il Questore era interdetto. Nel 1970 i chirurghi plastici non erano ancora autorità morali della nazione: “Che protesi?”. Gianfrancesco proseguì informato: “Una maggiorazione al seno. Per quanto sembri strano, in America non è raro, si fa regolarmente da quasi cinque anni. Il progresso ormai… La marchesa ha traversato l’oceano ed è ricorsa ad un chirurgo di Hollywood . Sa,il suo seno faceva letteralmente impazzire Camillino”. -“Chi?”. Il Marchese. Camillo Casati stampa, detto ‘Camillino’”. Lui stesso ha annotato ogni cosa nel diario di pelle verde che era nella scrivania con centinaia di foto….”. Il diario e le foto: gli altri bocconi succulenti della storia, ma il questore non si era ancora ripreso.
-“Si-li-co-ne, oh Gesù… Silicone”, biascicava, per abituarsi all’idea. “Siamo nel 1970”, sentenziò il commissario divertito. -“Quel bel seno prosperoso….”, sussurrò il questore come se un sogno evaporasse.
-“…Frutto di una operazione. Ma la Fallarino era dotata anche da ragazza: aveva fatto cinema, una partecipazione a Totò tarzan. Senta, signor questore: il diario erotico del marchese….”.
-“Era una parte importante?”. -“No, solo poche pose. Le dicevo del diario….”.
-“Che diario?”. -“Il diario erotico…”.
-“Ma in che senso erotico?”.
-“Il diario del marchese. Quello di pelle verde! Io sono preoccupato. Il contenuto è davvero scabroso”. Al che il questore riuscì a dimenticare il rivolo di silicone opalescente che lo aveva ottenebrato nei suoi riflessi primari. “Contenuto scabroso?”. “E’ una sorta di diario erotico dei contatti fra il marchese, la marchesa e…. tutti gli altri estranei coinvolti nel corso del tempo, nel loro rapporto”. “Estranei? Più d’uno!!?” “A onor del vero, decine”. La voce del questore esplose stridula per lo stupore: “DECINE?”. Il commissario lesse uno dei brani trascritti sul suo taccuino: “…. ‘Oggi Anna ha fatto l’amore con un ragazzo in modo così efficace che anche io, da lontano, ho partecipato della sua gioia’”. “O Gesù!”, esclamò il questore arrossendo solo nell’ascoltare. “E quest’altra: ‘Stavamo sul litorale di Fiumicino, in molti la guardavano. Abbiamo scelto un giovane. E’ stato appagante. Lo abbiamo ricompensato con trentamila lire”. “Ma questa è depravazione!”. sbottò il questore.
-“E’ una delle annotazioni più caste”, corresse il commissario, consapevole dell’effetto. “Dov’è il diario adesso?”. “Qui, nelle mie mani”. Ma alcune frasi circolano già nelle redazioni. Qualcuno ne ha fatto una copia”. L’atteggiamento del questore era di nuovo quella di un pubblico ufficiale.
-“Lei vi faccia riferimento solo per l’indispensabile! Annoti tutto quello che le serve, solo lei, non condivida nulla con nessuno, lo sigilli in una busta e lo spedisca al giudice istruttore”.
-“Lo consideri già fatto”.
-“Commissario?”.
-“Dica, signor questore, dica”.
-“Questo delitto ci rovinerà. Se ne parlerà per mesi. Solleverà pettegolezzi e di maldicenze inenarrabili… Lei deve chiudere l’inchiesta entro la settimana. Spiegare le responsabilità: c’è la questione dell’eredità!”.
IL COMMISSARIO , allora, calò la carta rimasta coperta, mentre il questore inseguiva lo sgocciolìo al silicone dei propri pensieri. Signore, mi ero dimenticato di dirle che nell’agenda verde ho trovato tutti gli elementi che servivano a chiarire”.
-“Cioè?”. Il questore non capiva. Il capo della mobile questa volta fece una deroga alla sua flemma ai tempi dell’ironia, e calò il suo asso, raggiante, come per un piccolo coup de theatre.
-“Signor questore,forse non mi sono spiegato… Per quel che mi riguarda il caso è già risolto”.
(Continua…)
Rispondi