Dalla casa di Montecarlo, di cui ormai conosciamo tutto (citofono compreso) alle “Case della Libertà” di cui forse ci siamo dimenticati troppo presto (a partire dagli spensieratissimi proprietari). Ecco perché, se non altro, urge riepilogo che restituisca la giusta dimensione ai flagellatori del presidente della Camera e agli smemorati avvocati difensori del berlusconismo immobiliare.
C’è qualcosa di paradossale e di incredibilmente doppiopesista – infatti – nelle feroce determinazione con cui i media di centrodestra si stanno accanendo sull’appartamento ceduto con qualche leggerezza da Fini, rispetto alla soave leggerezza con cui si sono disinteressati degli scandali che riguardano gli appartamentu acquisiti – quasi sempre con grande disinvoltura nell’interpretazione delle leggi e nel reperimento delle risorse – dagli altri dirigenti del Popolo delle libertà. E dire che l’atto di nascita (ctastale) del berlusconismo non è l’acquisto della residenza di Palazzo Grazioli, e nemmeno la locazione della sede di via dell’Umiltà, quanto la fondazione di una residenza immaginifica, Arcore, che è diventata metafora di una biografia e metonimia di una identità politica. Se non altro va ricordato che questa acquisizione avvenne in circostanze molto più dubbie e inquietanti, se è vero che l’avvocato della famiglia Casati Stampa – un certo Cesare Previti – passò con grande disinvoltura dalla tutela del patrimonio di una minorenne (per di più due orfana per morte violenta) alla tutela dell’acquirente del patrimonio della minorenne (indovinate chi). Dall’ultima erede dei Casati stampa a quello di Silvio Berlusconi, ovviamente per via catastale (trovate in questa stessa pagina la storia di quella vendita).
E se è vero che Libero ebbe il merito di essere il primo giornale di destra a chiedere la testa di Claudio Scajola (in prima pagina, con un corsivo di Filippo Facci) è anche vero che l’ex ministro dell’industria continua a non ricevere domande e a eludere ogni interrogativo giornalistico sull’origine di quei benedetti 900mila euro che arrivarono provvidenzialmente nel giorno del rogito di via Fagutale, meravigliosa casetta con vista su Colosseo, frettolosamente derubricata ad appartamento “semidistrutto” in una palazzina fatiscente che – chissà come mai – era abitata quasi esclusivamente da vip. Scajola, come se nulla fosse, continua la sua ricerca del mascalzone che gli ha comprato la casa a sua insaputa, e ha annunciato – solo due giorni fa – la nascita della sua mini corrente, con tanto di sessanta deputati (evidentemente privi di autostima) che hanno sottoscritto il loro sostegno all’ex ministro.
A riprova che l’immobiliarismo è uno dei caratteri fondanti della casa delle libertà, e dei suoi occupanti pidiellini c’è la grottesca vicenda del domicilio di Guido Bertolaso in via Giulia. Ottenuto in comodato da un monsignore misericordioso (vicino a Propaganda Fide), secondo Bertolaso. Peccato che davanti ai magistrati si sia presentato anche il legittimo proprietario dell’appartamento, che invece testimoniava di averglielo concesso in affitto. E che spiega anche di essere stato pagato ogni mese in nero, non dallo stesso Bertolaso, ma dall’architetto Zampolini, uomo di fiducia dell’imprenditore Anemone, grande appaltatore degli appaltatori (della protezione Civile). Per non farsi mancare nulla, anche nella casa di proprietà in via Bertolaso in via luigi Bellotti Bon riusciva a farsi fare i lavoretti dall’imprenditore amico per 20mila euro. Arrivò a presentare le ricevute dei pagamenti in una dimenticabile conferenza stampa a palazzo Chigi, e lamentò di aver dovuto “sistemare le tapparelle”. Peccato che quando Il Fatto pubblicò le foto di quella residenza, si scoprì che il termine romanesco, che evoca condomini popolari, fatiscenza, cordature malfunzionanti era a dir poco mistificante: nell’elegante villino Liberty di Bertolaso, infatti, non c’era traccia di avvolgibili, solo signorili persiane. Con l’importo totale dei lavoretti, nelle case dei normali cittadini, a malapena ci si ristrutturano una cameretta e una latrina.
Ma il più bello dei casi rimossi, senza ombra di dubbio, è quello di una elegante Palazzina di via dei Prefetti. Proprio ad un passo da Montecitorio, quattro piani, venduta da Propaganda Fide alla Rocksoil di un altro ex ministro, l’ineffabile Pietro Lunardi, quello che quando era ai trasporti pubblici ci ricordava con grande afflato civico che bisognava accordarsi con la mafia. La palazzina di 42 vani fu comprata a 4 milioni di euro, più o meno la metà del suo reale valore immobiliare secondo le quotazioni di mercato appurate dai magistrati. Una inchiesta del nostro Marco Lillo appurò che la società Arcus, sulla quale ha un controllo il ministero delle infrastrutture, ai tempi in cui era diretto da Lunardi aveva concesso 2,5 milioni di euro a Propaganda Fide, nello stesso periodo in cui Lunardi faceva affari privati con la stessa Curia. E, ancora una volta, dispiace per la coincidenza. Ebbene, dopo giorni di silenzio prudente, Lunardi ci regalò momenti di commovente ilarità spiegando, in una intervista a La Repubblica, la sua versione: “Ho avuto dei favori, che male c’è?”. Una faccia di tolla da far impallidire perfino l’intemperanza traffichina e pasticciona del giovane Tulliani. Memorabile l’argomentazione dell’ex ministro: “Diego Anemone nel 2002, o forse 2003, venne a ristrutturarmi una dependànce di 220 metri quadrati. Me l'aveva fatto conoscere Balducci, il migliore dei miei funzionari: Anemone era sveglio e mi doveva un favore. Voleva sdebitarsi". Come mai? "Lo avevo aiutato – spiegava Lunardi – ad acquistare i terreni della Banca di Roma su cui avrebbe edificato il futuro Salaria Sport Village". Concludendo l’intervista così: “"I favori li ho fatti come persona, non come ministro. Io sono una persona corretta". Memorabile. E che qualcosa non vada per il verso giusto anche in altri rappresentanti del governo lo testimonia l’inchiesta condotta da una testa insospettabile come il giornale di Vittorio Feltri. Dei ventidue ministri in carica interpellati dal quotidiano, che chiedeva loro di chiarire dove abitano e a quali condizioni, solo tredici accettarono (chissà perché?) di rispondere. In fondo non è una caso che uno degli atti fondativi di passaggio tra la prima e la seconda repubblica sia stata l’inchiesta di affittopoli. Sono molti coloro che nel mondo della politica si sono divisi fra due opzioni: affittare la casa a prezzo di favore, comprarla a prezzo di favore, o farsela comprare da qualche generoso mecenate (a prezzo di favore). Al grado zero delle idealità, l’immobiliarismo diventa il primo pilastro della politica.
Luca Telese
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