Pensateci un attimo, il mondiale come una metafora del nostro paese e come una lezione per la nostra politica (a partire dal centrosinistra). Pensateci solo un secondo: il campionato italiano quest’anno perderà il carisma polemico e sfavillante di Josè Mourinho, l'uomo del respiro cosmopolita e del merito, e si ritroverà ancora una volta, all’ombra del tricolore, la cupezza mediocre e silente di Claudio Lippi, l'uomo del demerito, il profeta del nonnismo e dell'antimeritocrazia.
Fa piacere che dopo il secondo, disastroso pareggio, con la Nuova Zelanda, i giornali finalmente si accorgano che qualcosa a casa azzurri non vada. Forse, pero', si poteva scrivere anche prima. Perche' non sono i risultati, quello che non funziona a lippilandia, ma il metodo. Non va bene che qualcuno teorizzi l'idea che i campioni posano essere lasciati a casa, che vadano premiate le rendite posizione e non il coraggio, che si possa far perno sul blocco storico (ma ormai sarebbe il caso di dire cadaverico) della Juventus e non su quello di chi in campo ha vinto e macinato punti. Se ci pensate, anche la politica italiana, e in particolar modo la sinistra, sono afflitte dalla stessa malattia. Il parlamento dei cooptati cancella i talenti, e il grigiore anticarismatico di Pierluigi Bersani assomiglia molto a quello del cittì, così come il dispotismo crepuscolare di Berlusconi fa apparire come dei giganti gli uomini del suo vecchio governo, rimpiazzati da una pletora di yesmen, frequentatori di cricche e compratori di case a loro insaputa. Ci sono in giro dei talenti, a sinistra, a partire da Vendola per arrivare fino a Renzi, ma sono tutti quelli che si formano contro la committenza, contro le loro classi dirigenti, contro la cooptazione. C’è un leader che ha prodotto pensiero, a destra, ma nel Pdl Gianfranco Fini è murato e trincerato in un sei per cento, che fa assomigliare i suoi uomini a degli eorici vietcong.
Eppure, una nazionale che lascia a casa Balotelli, non si priva solo di un fuoriclasse, ma di un racconto della sua realtà. Una squadra che dice di non aver bisogno di Cassano, nega il valore della fantasia, come cifra del caratere nazionale. Un allenatore che rimanda a casa Cossu, è un presuntuoso che pensa di poter fare a meno di quel serbatoio enorme che è la provincia italiana. Siamo fermi all’oriundismo trasformista e furbetto di Camoranesi (lo straniero che si finge italiano) e non riusciamo a portare in azzurro Supermario, l’italiano vero di seconda generazione, il “negrazzurro” che dice – anche solo con la sua storia – molto più di dieci convegni sull’immigrazione di Fare futuro.
Pensate che cosa rappresenta l’immagine triste di Enrico Letta che candida Pierluigi Bersani a leader centrosinistra. Il sottopanza che indica come principe il suo principale. La negazione del merito che pretende farsi eccellenza. Ci sarebbe bisogno di far esplodere tutte le panchine, in questo paese, quelle della politica, quelle dell’informazione e quelle dello sport. Non arriveremo in finale, credo che sia certo. Ma domani firma Mentana, il giornlaista che veniva tenuto lontano dallo schermo dalla finta concorrenza di Raiset: speriamo almeno che Mentana alla Sette possa fare come Cassano alla Samp: mettere in discussione il monopolio delle vecchie signore della televisione italiana.
di Luca Telese
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