Cento giorni, due stagioni, tre mesi. Ma politicamente è come se oggi compiesse un secolo di storia “l’Isola dei Cassintegrati”, la protesta degli operai della Vynils che hanno occupato l’Asinara per resistere alla chiusura del loro stabilimento. Cento giorni, due stagioni, tre mesi di protesta creativa e brillante, di incredibile risonanza mediatica, a partire dall’occupazione della torre Moresca per arrivare all’autoreclusione volontaria.
Trattativa ibernata. Cento giorni, certo: ma, politicamente, la trattativa di cui il governo avrebbe dovuto farsi mediatore è sospesa, congelata, ibernata. Nel giorno decisivo in cui la Ramco avrebbe dovuto chiudere l’accordo, il ministro Scajola si dimetteva. E oggi l’interim del cosiddetto ministero dello Sviluppo economico e nelle mani di Silvio Berlusconi, che dopo aver promesso mari e monti (Telefono io a Puntin…” Telefono io a Obama…”) sembra essersi dimenticato della Sardegna. Cento giorni, due stagioni, tre mesi due libri. Chissà quale sarà l’umore degli operai questa sera, a Porto Torres (Centro Culturale sala Filippo Canu, ore 19.30) alla presentazione del libro di Tino Tellini, uno dei leader della protesta. “L’isola dei cassintegrati” è solo il primo racconto che esce (il secondo – in uscita a giorni – lo sta preparando Silvia Sanna, una giovane scrittrice che si è quasi trasferita sull’Isola) ma è una fotografia importante, piena di retroscena e di spunti sulla storia del gruppo di operai che hanno simbolicamente sfidato l’Italia dei reality.
Murare una banca. Tino racconta che all'inizio i cassintegrati volevano murare una banca. Non era l'arresto che li spaventava, e nemmeno le conseguenze. Ci ha spiegato, quasi con una ostentata noncuranza, che gli operai della Vynils non hanno trovato tra di loro un buon muratore capace di stare nei tempi della ronda della polizia. Altrimenti, si deduce da queste pagine, lo avrebbero fatto di sicuro. Non ne dubito. Subito dopo Tino ci spiega che a partire da quel momento, come se fosse saltato un freno inibitorio, gli operai si sono messi a fantasticare e a immaginare a ruota libera sulle possibili forme di lotta da adottare: occupazioni, recite, rappresentazioni simboliche, beffe mediatiche. Persino dell'elezione metaforica di un operaio alla testa dell'Ente parco, la loro prima performance creativa che – una volta attuata – ha trovato grande eco sui giornali.
Sulla torre. Questo è stato l'anno della grande crisi: nel silenzio sonnolento dei dirigenti della sinistra istituzionale, l'Italia del non lavoro è salita sui tetti, e loro hanno occupato l'antica Torre Aragonese di Porto Torres popolandola di bandiere. Ancora una volta hanno fatto centro: le foto del bastione impavesato sono entrate nel circuito primario dell'informazione, le agenzie fotografiche. Era già tanto, ma per loro non era ancora abbastanza. Dietro una grande idea che buca, ci sono sempre tante piccole idee dimenticate, un tragitto immaginifico che porta in modo non lineare fino alla meta. Solo alla fine di questo percorso, in una rincorsa senza freno, e dopo di un brain storming collettivo di cui nessuno di loro – giustamente – ha rivelato ancora una paternità esclusiva, gli operai della Vynils hanno avuto l'idea delle idee. La lampadina che si accende, come nelle storie di Walt Disney: “E se occupassimo l'Asinara?”.
Come un film. Pensate: gli operai, privati del loro lavoro, che si autorecludono per protesta. E che contemporaneamente fanno la parodia al più noto dei format televisivi: “l'Isola dei cassintegrati” contro “l'Isola dei famosi”, il reale contro il futile, la verità che riprende il sopravvento sulla virtualità. Anche se un produttore televisivo avesse riunito in unico seminario un sinedrio con i migliori autori e i più prestigiosi intellettuali italiani, gente esperta in imprese creative, nessuno sarebbe riuscito ad immaginare tanto. Per poter pensare l'impresa dell'isola “vera” che sfida l'isola “finta” bisogna mettere insieme un cocktail micidiale di elementi diversi, che in questa storia si sono riuniti apparentemente per caso: la conoscenza del territorio, la capacità istintiva di cortocircuitare i simboli, il coraggio personale, la messa a dura prova dei legami e degli affetti privati, il senso della sardità nella sua forma più estrema e immaginifica, il tempo, e – soprattutto – la fantasia. Ho una certezza: in America su una storia ci avrebbero già girato un film. E avrebbero fatto bene. Perché chiunque legga il libro di Tino Tellini o si appassioni alla storia dell' “unico reality vero, purtroppo” (lo slogan è loro) non potrà che restare incantato dal ritmo incalzante del racconto, dalla successione drammaturgica degli eventi, dal tono antiretorico, dallo spirito di commedia che aleggia in queste pagine e che poi a tratti si fa improvvisamente dramma. Ma ora, però, solo la politica può scrivere un finale degno di un paese civile a questa storia.
Luca Telese
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