“Il giallo del ricevimento al Quirinale” inizia di prima mattina. Non è il titolo del libro di qualcuno dei tanti “Anonimi” che hanno scalato le classifiche della prima repubblica. Ma il dubbio che prende corpo nella redazione de Il Fatto, quando si scopre che questo nostro piccolo giornale è l’unico quotidiano che non vede il suo direttore fra gli invitati del tradizionale ricevimento ufficiale per la festa del 2 giugno. Che si tratti di una svista? Di un errore? Di una dimenticanza? Oppure di una reazione (legittima, per carità) alle critiche che in diversi momenti Il Fatto e alcuni suoi editorialisti hanno rivolto al presidente della Repubblica? Trattandosi di una delle istituzioni più efficienti della Repubblica, le ipotesi di errore accidentale vengono deppennate di prima mattina. Quella di una “rappresaglia”, però, ci sembra ugualmente inverosimile.
Il ricordo corre alla cerimonia di augurio di fine anno, sempre al Quirinale. Antonio Padellaro, in quell’occasione, ricette un invito con stemma presidenziale spolverato d’oro zecchino, un cartoncino per eventuale accompagnatore, e persino un ambito ticket per parcheggiare la sua macchina su piazza del Quirinale. La domanda sorge spontanea: il nostro piccolo quotidiano è stato forse declassato? E se si per quale motivo? Chi scrive viene incaricato di chiamare il portavoce del presidente, Pasquale Cascella, vecchia conoscenza di una corposa pattuglia di questo quotidiano (e del suo direttore) per i comuni trascorsi a L’Unità. In ufficio mi risponde, cortesissima, la sua segretaria: “Il dottor Cascella è già nei giardini, sa, c’è la cerimonia…”. Ovviamente lo sappiamo, proprio per quello avevamo chiamato. Volevamo solo sapere se c’era stato un errore materiale, o un depennaggio intenzionale dalla lista degli inviti. La segretaria del portavoce, con grande cortesia, mi rimanda al collaboratore del portavoce, di cui mi gira il telefonino. Lo chiamiamo. Lui chiede: “Vuole sapere se il direttore de Il Fatto è nella lista degli invitati?”. Proprio così: “Sa, io non posso risponderle, perché adesso sono ai giardini (pure lui, ndr.). Se vuole posso controllare se c’è l’accredito per lei”. Anche lui è molto cortese, ringraziamo per la gentilezza e la disponibilità, ma spieghiamo: vorremo capire se l’invito per il direttore del giornale è stato smarrito. “Sinceramente non so posso dire – risponde – una parte degli inviti sono gestiti direttamente dal Cerimoniale del Quirinale, se vuole la richiamo entro le 16.30 per farle sapere”. Fino alle 17.00 non arriva risposta. Alle 17.30 il cronista si presento all’ingresso del Quirinale, dove trova un accredito stampa. Ma ovviamente il dubbio resta, anche perché, pochi minuti dopo, l’informatissimo Dagospia batte in tempo reale uno dei suoi dispacci che suona così: “Tutti (o quasi) i direttori di quotidiani nazionali sono stati oggi gentilmente pregati di festeggiare la festa della Repubblica deambulando lungo i giardini del Quirinale. Tutti – scrive Dagospia – eccetto il direttore de "Il Fatto", Antonio Padellaro. Domani ne leggeremo della belle”. Negli splendidi giardini, fra una chiacchiera e l’altra, andiamo a caccia degli uomini dell’ufficio stampa. A questo punto, “il giallo” è diventato pubblica notizia, esige una risposta. Davanti al tavolo degli affettati appare il vice. Gli chiediamo se è riuscito a scigliere l’enigma. Risponde imbarazzato: “No, non ho avuto modo…. Ma lo scopriremo”. Poco dopo le sei, in redazione chiama il direttore di Medusa, Carlo Rossella. Anche lui, dopo tanti anni di Colle, quest’anno è stato depennato. Trattandosi di uno degli uomini più vicini a Berlusconi la cosa ci conforta: quindi non può essere stata una esclusione politica. Pochi istanti dopo, dietro la sagoma discreta dello stilista Renato Balestra, uno degli invitati d’onre, ecco un altro esponente dello staff presidenziale. Forse sa qualcosa? Risponde con una punta di imbarazzo: “Sa, quest’anno ci sono stati molti tagli”. Non solo alla finanziaria, dunque, ma anche agli inviti. E’ quasi sera. Il cronista sta per tornare in redazione con il cuore rinfrancato, quando scorge il portavoce del presidente. Cascella si libera di un interlocutore, e improvvisamente offre la soluzione dell’Enigma: “Volete sapere perché Padellaro non è nella lista?”. Sembra emozionato, quasi turbato: “Io l’ho depennato! Sono stato io, diglielo pure”. Attimi di stupore. E’ un fiume in piena: “In tanti anni di lavoro non mi era mai capitato di essere pubblicamente insultato, con un editoriale contro di me, sulla prima pagina di un quotidiano! Solo Padellaro lo ha fatto”. Di quale editoriale si parla? L’insulto era tale da comportare depennamento. Ancora Cascella: “Padellaro scrive non vuole avere rapporti con il Quirinale? Bene, è stato accontentato”. Sembra dispiaciuto: “Sono stato offeso due volte: come persona e come professionista. E’ incredibile. Nemmeno i giornali della destra l’hanno mai fatto”. Di nuovo in redazione. Recuperiamo il fondo incriminato:””Avevamo scritto – osservava Padellaro il 25 marzo – che Napolitano sarebbe sicuramente intervenuto a difesa del potere giudiziario… Pensavamo di avere bene interpretato, oltre l’opinione dei nostri lettori, gli intendimenti del capo dello Stato. Purtroppo non era così. Un’aspra reprimenda di un autorevole consigliere del Quirinale ci è piovuta addosso. Non è paciuto il titolo ‘Napolitano dice’ e neppure l’appello, pur rispttosamente rivolto”. Non sembravano parole tanto offensive. Anzi, la conoscenza e la stima che a Il Fatto si nutre per Cascella è tale, da convincerci che non sia lui, il colpevole, malgrado la confessione spontanea. Leale e fedele come sempre, Cascella ha impugnato la pistola fumante, addossandosi la colpa, per proteggere le più alte istituzioni.
di Luca Telese
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