Intorno al cosiddetto “telo di Sabaudia” si è costruito un incredibile apparato mistificatorio: credenze, misticismo, leggende metropolitane. Uscita dalla sua dimensione catacombale, dopo secoli di oppressione dalemiana, la Chiesa di Veltroni cerca oggi, a posteriori, un fondamento di fede nella presunta resurrezione del leader del Pd che sarebbe provata dalla reliquia. Ma molti sono gli elementi di sospetto di fronte a questo singolare reperto: come giustamente hanno osservato gli esperti della commissione d’inchiesta presieduta dal professor Latorre il telo risale ai primi dieci anni del terzo millennio, un periodo in cui Veltroni si era già autoescluso da qualunque attività politica, viveva nella sua casetta di New York e scriveva romanzi rosa per le casalinghe americane sotto lo pseudonimo di Sidney Sheldon. E’molto strumentale opporre ragionamenti di comodo come le testimonianze del tutto inattendibili dei suoi apostoli diminutivi, Franceschini, Verini e Tonini. Le analisi sulla fattura del reperto e sul tessuto provano scientificamente che la Marianna (Madìa), avendo già tradito da anni il credo del suo maestro per avvicinarsi a Massimo D’Alema, non poteva trovarsi in prossimità del sepolcro a piangere il corpo deposto del profeta. Quindi il tentativo di immaginarla a Sabaudia al momento della resurrezione è un evidente falso storico. Inoltre le ferite al costato e i grumi di sangue rappresi intorno al volto non corrispondono in alcun modo alle modalità del supplizio inflitto all’ex leader da Velardi e Rondolino.
Intendiamo quindi confutare con vigore scevro da preconcetti o ipotesi fantascientifiche la validità storica della reliquia. Si tratta solo di un ennesimo, triste falso che però, siamo sicuri, troverà asilo in contesti mistici resurrezionali di questo martoriato paese facile a bersi tutto.
(* testo raccolto per intuizione da RobCor)
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