Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Napolitano faccia una ‘rivoluzione’ e poi lasci il Colle

E se Giorgio Napolitano abbandonasse il Quirinale? Se il presidente si cimentasse in una piccola grande rivoluzione, inscenando un addio simile a quello drammatico e regale dell´ultimo imperatore della Cina, Pu Yi che lasciò i privilegi, i benefici e il potere simbolico della città proibita? Probabilmente, se a chiedere una tale drastica spoliazione fosse qualche sacerdote francescano, un ribelle no-global o qualche intellettuale radical con la passione per le provocazioni estreme, non ci sarebbe nulla da stupirsi. Ma siccome a fare la proposta in un intrigante e provocatorio saggio ("Rivoluzione Quirinale", Gaffi 10.50) è un signore compassato, un giornalista, diciamo pure un grand commis come Giuseppe Sangiorgi (pre-esistenza democristianissima nella prima repubblica uomo comunicazione dello scudo crociato, una seconda vita da commissario all’Autorità per le comunicazioni), la curiosità invece che scemare di fronte all’eccesso, cresce di fronte al dubbio.
Sangiorgi scrive con il piglio audace di un pamphlettista francese, ma con il gusto per il dettaglio e la conoscenza minuziosa delle leggi e dei retroscena di chi ha vissuto una vita nel Palazzo. Inizia ripercorrendo a salti la storia del Quirinale con godibili squarci aneddotici, profanando – senza enfasi – l’unico tabù che i critici della Casta, nella loro sterminata produzione pubblicistica non avevano ancora toccato: il ruolo e l’utilità del Colle più alto della politica italiana. E lo fa a partire da tre domande apparentemente semplici: come spende i 240 milioni del suo bilancio la presidenza della Repubblica? In che cosa li spende? Ed è davvero necessario che si occupi di così tante cose, dalle spiagge dei nudisti che prosperano ai piedi di Castel Porziano fino alla manutenzione di una piccola sopraintendenza di Palazzo con ville, pinacoteche e tenute? Quesiti che potrebbero avere risposte convincenti – probabilmente – ma che nessuno aveva mai posto con tanto provocatorio scetticismo.
Interrogativi demagogici o populisti? Mica tanto. Se non altro perché Sangiorgi, al pari di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, ha buon gioco a ricordare che una istituzione che si concede un tenore non certo frugale come la corona britannica, spende ogni anno poco più di cento milioni di euro. Mentre il Quirinale alimenta un personale qualificatissimo che però – fra civili e militari – supera i duemila dipendenti. La spesa prevista per il 2010 solo in beni e servizi è di 22.6 milioni di euro (!). Alcune pennellate del saggetto sono gustose.
Ad esempio quando Sangiorgi ricorda che per finanziare la prima ristrutturazione del palazzo, nella Roma papalina, fu introdotta la licenza per il gioco del lotto. Però corredata di una limitazione decisamente antisemita, dal momento che "ai giudei" era impedito di giocare combinazioni con numeri alti, per limitare la possibilità delle vincite. Altro dettaglio decisivo: durante i lavori della Costituente la legge 1077 che definiva senza vincoli le spese della presidenza (non erano previsti rendiconti e obblighi di presentazione di bilancio) prevedeva una successiva regolamentazione: fu invece abrogata, nel 1959, lasciando agli undici presidenti della repubblica e ai "mandarini" del palazzo amplissimi margini di discrezionalità nella gestione delle dotazioni economiche. Scrive Sangiorgi con un’altra pennellata di racconto sull’origine dei Palazzi del potere romano: "Montecitorio, Palazzo Madama e Palazzo Chigi hanno il comune denominatore di essere sempre stati luoghi del potere e del dominio. È un vissuto che si fa sentire".
Un genius loci, aggiunge l’autore. Il Quirinale era la fortezza della controriforma, costruita da Gregorio XIII "il papa della riscossa cattolica contro lo scisma di Lutero". E dev’essere quindi con uno slancio neoriformatore che Sangiorgi – dopo aver tratteggiato vividamente il degrado, gli sprechi e gli splafonamenti di ogni bilancio di questi anni – partorisce la sua provocazione: "Il presidente della Repubblica lasci il Quirinale. Compia questa rivoluzione dall’alto, in un paese che non riesce a farne dal basso. A un’emergenza morale si risponde con una rivoluzione morale". È una richiesta impossibile, si dirà. Ma come sarebbe bello se l’inquilino del Colle dedicasse uno dei suoi discorsi a spiegare perché è giusto spenderli, questi 240 milioni di euro di democrazia, invece di lasciar cadere la proposta nel vuoto, e nel prevedibile silenzio (a questo punto è lecito dire "costoso") delle istituzioni.

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Una risposta a “Napolitano faccia una ‘rivoluzione’ e poi lasci il Colle”

  1. Avatar aghost

    Luca, fosse solo il Quirinale… Luis Durnwalder, il presidente della provincia di Bolzano (500 mila abitanti), guadagna più di Barack Obama, presidente degli Stati Uniti.
    Può funzionare seriamente un paese così?

    E con che faccia ci vengono a dire che dobbiamo fare sacrifici, e che “le tasse sono bellissime”? Per quanto dovranno ancora sprofondare gli italiani, per prendere finalmente i forconi e assaltare il palazzo?

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