Se chiami Alberto Ronchi, l’ultimo dei martiri della realpolitik, l’uomo di cui tutta la sinistra bolognese discute, l’assessore alla cultura stimato da tutti, ma silurato per un accordo sulle poltrone nel passaggio dalla seconda giuta Errani, non trovi un uomo afflitto, anzi. Ha appena finito di leggere un saggio su Cèline ("Maledetto Céline, un manuale del caos", di Stefano Lanuzza, Manifestolibri) prepara una conferenza stampa per il 12 in cui si preannuncia qualche sorpresa, non serba rancori.
L’uomo anti-telefonino. Ronchi è un personaggio che non può passare inosservato. Ha 48 anni, si è laureato in filosofia. Non usa telefonino perché – spiega – "Se non sei il capo della protezione civile puoi vivere anche senza". Non vuole usare carte di credito (e non ne possiede una) "perché ancora non si è capito quanto paghi e per cosa". Non si fa accreditare lo stipendio in banca, e appena nominato assessore fu protagonista di una piccola battaglia perché il suo stipendio fosse liquidato ogni mese in contanti: "E’ vero! Adesso una parte la verso sul conto, e l’altra in un libretto di risparmio postale". Perché? "Mi pare paradossale che siamo noi a prestare denaro alle banche, che ci guadagnano sopra, e non il contrario".
Patti Smith & nastri. E la macchina? Ronchi ti previene con un sorriso: "La uso, la uso, non sono un fondamentalista. Però, se la diverte, sto cercando di convincere mio padre a cedermi una sua vecchia Uno. E sa perché?". Perchè? "Perché ha ancora il mangiacassette. Io, nel tempo del digitale, uso ancora il piatto del vinile e mi registro i nastri con le mie compilation". (Ronchi ascolta di tutto ma il suo primo amore sono il punk e il post punk dai Sex Pistols a Patti Smith).
La polemica in città. Ronchi è stato difeso dalla voce autorevole di Goffredo Fofi su L’Unità, dopo essere stato sacrificato sull’altare della ragion di coalizione. Bisognava fare posto perpermettere l’ingresso di Massimo Mezzetti (Sinistra e libertà non aveva assessori), si è scelto di sacrificare proprio lui, il meno protetto dai partiti. Ma è stato vittima anche del suo stesso partito, che gli ha impedito di accedere alla candidatura: "Quelli di Sel, con cui abbiamo fatto la lista, dicevano – racconta lui stesso serafico e senza rancori – che non potevo correre a Bologna, e i Verdi sostenevano che ero troppo poco ambientalista". La prima obiezione, a voler prendere le parti del diavolo, può trovare un fondamento nel fatto che effettivamente Ronchi proviene da Ferrara (anche se ovviamente è radicatissimo anche nel capoluogo). Ma la seconda? Ancora una volta è l’assessore antibanche che stupisce: "Oh beh…In realtà è vero che io non ho mai accettato il punto di vista dei Verdi puristi per cui essere Verdi dovrebbe voler dire occuparsi solo di ambiente. Io penso esattamente l’opposto, evidentemente a qualcuno non va bene".
Lotta fratricida. In realtà l’argomentazione aveva una utilità nella lotta politica interna di cui Ronchi è stato vittima. La segretaria regionale del Sole che ride, infatti, ha ottenuto il posto garantito nel listino. E lui: "Non ce l’ho con il mio partito, anche perché non tutti erano d’accordo con queste scelte. Detto questo, mentre in Inghilterra si conquista il primo seggio della storia, e in Germania si toccano le due cifre, se in Italia i Verdi sono in via di estinzione si può intuire qualche ragione".
Politica spettacolo. Si è rassegnato a lasciare l’assessorato, e anche da questa vicenda ha tratto una lezione: "Ormai in Italia ha vinto la politica spettacolo. Berlusconi l’ha imposta al paese e tutti si sono adeguati. L’unico partito che parla una lingua diversa – anche se io lo combatto – è la Lega. Si può dire tutto del partito di Bossi, ma è l’unico che non è culturalmente subalterno al berlusconismo". E i valori della sinistra: "Son tutti sovrastruttura: si parla tanto di merito, ma poi si pratica molta lottizzazione: ho la netta impressione che una volta spartite le poltrone non gliene freghi nulla a nessuno. La mia storia ne è un esempio: era stato fatto un accordo di partito? Tutto il resto diventava accessorio". Cosa farà, adesso l’ex assessore? "Mi sto guardando intorno". Ovviamente anche in una legislatura qualche traccia indeledible l’ha lasciata. Ad esempio con quella abitudine di richiamare lui personalmente chiunque si rivolgesse al suo ufficio per un appuntamento: "Avevo delle ottime segretarie che mi hanno semplificato enormemente il lavoro, sia chiaro – spiega – ma questo piccolo dettaglio per me era una questione simbolica: il modo per ricordare che io ero un dipendente della comunità che mi ha eletto e non il contrario".
Intellettuali mobilitati. Si è laureato a Bologna, nei primi anni ottanta. Il primo voto lo ha dato a Democrazia Proletaria, dal 1991 vota verde. Per lui sono scesi in campo Paolo Fresu, Francesco Guccini, Carlo Lucarelli, Giuseppe Bertolucci. Ronchi vanta nel suo curriculum la fondazione di un cineclub e di un cinema ("La sala Baldini – ricorda con una punta di orgoglio – esiste ancora") e racconta di essersi dimesso dall’Arci, una volta eletto e nominato in giunta "perchè al conflitto di interessi ci credo ancora". Fuma come un turco, e detesta la politica "che si mette a compilare programmi elettorali di 500 pagine che poi non leggerà nessuno". Poi per concludere la chiacchierata fa una preghiera: "Non faccio casi personali. Anzi, ci terrei che scrivesse che faccio al mio successore, Mezzetti, i migliori auguri di buon lavoro. Lo farà?". Auguri a Massimo. E ad Alberto.
Luca Telese
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