Sereno, disincantato, ironico. Anzi, autoironico: “La formaggiera non c'era….”. La formaggiera sarebbe volata in una rissa stile cavalleria rusticana tra lui e Guido Bertolaso al ristorante la Fiorentina, prima delle elezioni. Massimiliano Fuksas ti accoglie in uno dei manieri del suo regno (il meraviglioso studio di Roma che occupa un intero palazzo d'epoca a piazza del monte di Pietà) e sospira: “Sto cercando di diventare un saggio. Può scrivere quello che vuole, ma non mi faccia apparire come uno che cerca polemiche, per carità…”. Vai a tgrovare Massimiliano Fuksas, per provare a disegnare un ritratto del padre della nuvola dell'Eur, dell'architetto più famoso partorito dal sessantotto italiano. Lui ti racconta che la cosa che più gli sta a cuore è riuscire a terminare l'opera più importante della sua carriera: “Capisci – dice passando senza cerimonie al tu – io ho sessantasei anni e non avevo mai costruito nulla nella mia città, a Roma. In Francia un progetto si chiude in 24 mesi, in Italia non bastano dodici anni di cantiere! Se devi raccontare il disastro del nostro paese basta questo”.
Fuxsas è inseguito pariteticamente dai successi del suo talento e da una fama di grande polemista. In seguito al suo pirotecnico intervento in una puntata di Santoro – dopo le politiche – è stato querelato da Gianfranco Fini. Il Corriere della sera ha dedicato paginate all'episodio della Fiorentina. Si è trovato a polemizzare con sindaci, ministri, colleghi. Si è visto cancellare da Gianni Alemanno un progetto per il lungomare di Ostia. E ora, ricostruendo il filo di tutte queste storie, allarga le braccia: “Il mio amico Renzo Piano mi dice: lascia perdere la politica, pensa solo al tuo lavoro…. Ma come faccio? Io ci sono nato nel dibattito, è parte della mia vita”. Adesso siamo nello studio del maestro. Ultimo piano, ci si arriva con ascensori interni senza pareti, incastonati nel cristallo. Agli angoli della stanza troneggiano due plastici della Nuvola. Una parete è occupata da un enorme quadro, schizzato con stile naive e coloratissimo (suo anche quello). In un'altra c'è uno scaffale pieno di agendine Molesine istoriate e piene di schizzi, appunti, disegni. Sul tavolo lucidi con schizzi di grattacieli, una bottiglia di vino bianco fresco e i piatti di una colazione di lavoro “Mangi quello con noi?”. Arrivano due tozzetti al prosciutto: “Divini, no?”. Declino l'atto di accusa.
Massimiliano Fuksas, quando l'attaccano l'accusano di essere un radical chic.
(Sorriso radioso) “Chi io? Una panzana colossale”.
Ricco, celebre, di sinistra, sofisticato….
“Sono orfano. Ho perso mio padre a otto anni. Mia madre viveva con 28 mila lire al mese. Sono cresciuto a Roma, quartiere Monteverde, nel dopoguerra, eravano tutti poveri. Non sanno di chi parlano”.
Detto così sembra il libro Cuore.
“Al contrario, eravamo felicissimi. Era poverissimo anche Giorgio Caproni, che ho avuto come maestro alla Francesco Crispi, alle elementari”.
Frequenti ristoranti chic…
“Ma dove? Mi piace mangiare per le strade di Roma, nelle trattorie… Non c'è nouvelle cuisine che tenga do fronte a un piatto di paccheri”.
Hai più di dieci milioni di euro sul conto, qui in Italia si finisce snella classifica dei paperoni.
“Sì. Però solo per mantenere lo studio di Roma spendo un milione di euro l'anno. Pago le tasse fino all'ultimo centesimo, vivo nel benessere. Ma la ricchezza è sempre relativa, ed è un'altra cosa”.
Quale?
“Poter essere committenti di se stessi, per esempio. Per un architetto è complicato”.
E' vero che tra te e Renzo Piano c'è una storica rivalità?
“Ma dove? A Parigi abbiamo la casa nello stesso palazzo a place des Vosges”.
Questa non è una prova.
“Ma non c'è conflitto tra noi! Siamo due generazioni diverse. E poi io sono un pittore divenuto casualmente architetto. Mentre lui è il genio della costruzione incarnato”.
Solo un pazzo o un pittore poteva immaginare un centro congressi dentro una nuvola.
(si illumina, si avvicina al plastico) “Per me è stata una visione. Un parallelepipedo di cristallo, con dentro una sala auditorium asimmetrica e gassosa. Solo tre sostegni, quasi invisibili, due grandi piazze, una moderna agorà”.
E' quasi un esercizio di stile….
“Un simbolo di tutta la storia di una città: il razionalismo dell'Eur che contiene nel suo cuore la sinuosità del Barocco”.
E ci vorranno ancora tre anni.
“Stiamo andando come treni. Io certe notti vado a visitare il cantiere. Il metronotte ci si è abituato, ma dev'essere convinto che io sia pazzo”.
Feticismo architettonico?
“Bisogno fisico. Devi sentire il cantiere che respira. Per il resto del giorno mi accontento di sorvegliarla con la web cam”.
E il sindaco che dice?
(guarda la planimetria con sezioni orizzontali) “E' venuto qui. Gli è piaciuta. Alla fine Alemanno è uno normale”.
Com'è diplomatico. Appena insediato le ha bocciato il progetto dei grattacieli sul litorale.
“Un Equivoco. Era un progetto che volevo regalare – gratis – alla città per ricostruire le vecchie dune di sabbia. E i grattacieli non ce li avevo messi io. Ci siamo chiariti”.
Adesso tutti gridano compagno Fini.
“Queste sono le mode radical chic che detesto. E' quello che ha fatto la legge sull'immigrazione. E mi ha chiesto un milione di euro”.
Lei cosa gli aveva detto.
(Sorride) “Ho definito, sia lui che Bossi, due mentecatti”.
Meno male che vuole allontanarsi dalle polemiche.
“Però Bossi non ha detto nulla, un gran signore. Io mi difenderò evocando libretti d'opera, la Traviata. Se ritirasse gradirei”.
La passione per la politica.
“L'avevo, ora non capisco più nulla”.
Sei pentito?
“Per nulla. Quello che volevo da ragazzo era la rivoluzione. Abbiamo fallito. Ma per fortuna sono riuscito ad arrivare alla creazione”.
Perché avete perso?
“Perchè nessuno riesce più a pensare i grandi ideali, finisce il senso della comunità, tornano le guerre etniche e le tribù. Ecco spiegato il senso della Lega”.
Sei uno dei pochi intellettuali italiano che ha combattuto la legge sull'immigrazione.
“E ne sono orgoglioso. Una follia”.
Dicono che i flussi aiutano.
“Come no. Volevamo portare qui, nello studio di Roma assumendoli, tre geni. Uno di Yale, uno di Harward, un mago dei disegni in 3 D, Su Chu”.
E non ci siete riusciti?
“Era im-pos-si-bi-le. E' impossibile. Il prefetto non ci voleva credere, ha mandato qui una collaboratrice per aiutarci, non abbiamo trovato il bamdolo. Sai com'è finita?”.
Come?
“Questo talento coreano ci è stato scippato da uno studio concorrente olandese, Van Barkel. E poi ci raccontano dei cercelli in fuga”.
L'Italia è sempre stata così?
“No, era meglio. Vedi, provo a dirtelo con l'occhio dell'architetto. Fanfani è un gigante, e ha lasciato il piano casa, il più grande progetto di edilizia popolare. Miterrand è stato un sovrano, e ha lasciato la sua piramide. Berlusconi non ha architettura”.
Ecco, la sinistra atibelrusconiana.
“Ma davvero! Ti rendi conto? Da un lato la pyramide, dall'altro Milano due…. è ridicolo. Cos'è accaduto a questo paese me l'ha spiegato Calvino”.
Di persona?
“No, nel meraviglioso racconto del re che si siede sul trono e non si muove più perchè ha paura di essere spodestato. Sente voci dalla strada, la vita, ma rimane imbullontato e impotente. La nostra politica è così, non può concepire la dimensione del progetto”.
Perché?
“Perchè tutti, a partire dal mio amico Bertinotti, appena si siedono su una poltrona, anzichè pensare a cosa fare si mettono a immaginare come arrivare alla prossima poltorna”.
Sarà contento, Fausto.
“Abbiamo rotto, non ci parliamo da tre anni”.
Perché?
“Perchè scrissi sul Corriere della sera: se vuole andare alla parata militare ci vada, e nessuno lo criticherà. Ma se ci va con la spilleta diventa ridicolo”.
E lui?
“Non ci sentiamo da allora”.
E Bersani?
“Secondo me è un ottimo amministratore. Una persona perbene. Ma è vecchio, e si vede. Vecchio come me”.
Vendola?
“Mi pare uno attrezzato per vivere nell'era post industriale: quelo che è accaduto in Puglia dimostra che la democraiza internautica può battere le lobbies e gli apparati, esattamente come è accadfuto in America per Obama”.
E la formaggiera cotnro Bertolaso l'ha tirata o no?
(grande risata) “No, Bertolaso era sotto il tavolo”.
E che ci faceva?
“Non lo so. Tutta questa storia è una leggenda metropolitana. E' andata così. Ero alla Fiorentina, avevamo ordinato una pizza. Scherzavamo. A un certo punto arriva un energumeno e si mette a gridare contro di me qualcosa del tipo: “Fuxsas, brutto comunista di merda”.
Lo conoscevi?
“No. Ho scoperto poi che era uno, condannato per alcune speculazioni. Ho ricostruito che era di destra, pensava che ridessimo di lui”.
Nessun lancio di oggetti?
“Non c'erano”.
Nessuna rissa?
“Beh, le mani avanti lui le ha messe, e io pure. Te l'ho detto, son cresciuto in strada. Poi sono uscito, ho chiamato la polizia. Bertolaso era addirittura in un'altra sala, chi l'ha visto mi ha detto che si è acquattato”.
Di cos'hai bisogno per essere felice?
“Di mia moglie. Dei miei figli. Di una penna e di un taccuino moleskine per disegnare. Il resto arriva di conseguenza”.
di Luca Telese
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