"Il voto anticipato è un’eventualità che vogliamo scongiurare", dice Silvio Berlusconi. Che poi è l’esatto contrario di quello che ha sognato e prospettato nelle ultime ore: scaricare Gianfranco Fini, andare al voto, espellerlo dall’alleanza e massacrarlo politicamente come ha già fatto con Follini ai tempi del Berlusconi bis. E così l’ufficio di presidenza del Pdl produce come documento un temino ameno in cui le parole chiave sono "incomprensione" e "fiducia". Balle, ovviamente. Ma anche i finiani hanno rallentato la corsa verso l’irreversibile. Ieri dicevano che i nuovi gruppi autonomi dovevano nascere entro 24 ore. Adesso c’è tempo fino a giovedì. E il tempo è un’arma a doppio taglio: perdi l’effetto sorpresa, ti esponi al fuoco della contraerea. In realtà, il Cavaliere ha chiarito il suo pensiero: dietro le posizioni di Fini non ci sarebbero ragioni politiche, ma "motivi personali e pretestuosi". E ha dato il suo altolà: "Mi aspetto una risposta positiva, ma se fa i gruppi la scissione è inevitabile". Ribadendo la minaccia che già aveva tirato fuori e che era poi stata smentita dai suoi: "Se fa dei gruppi suoi, non può continuare ad essere il presidente della Camera".
Ma ci sono anche le colombe come Gianni Alemanno, quelle che spuntano come funghi dopo la pioggia: "Come sempre – dice il sindaco di Roma – ribadisco che il Pdl deve rimanere unito, rispettando i ruoli, quello di Berlusconi e quello di Fini".
Alemanno esprime il disagio degli ex aennini che hanno scelto di abbandonare il loro leader. Una eventuale spaccatura renderebbe impossibile restare nell’ambiguità, e costringerebbe tutti a dichiararsi. Sono molti quelli che hanno più di un debito con il presidente della Camera (a cominciare dai ministri) che soffrono solo all’idea di dover ufficializzare l’abiura del loro leader. Ma la verità è che anche tra i finiani c’è qualche divergenza strategica. Le posizioni si possono riassumere così. Ci sono i radicali come Filippo Rossi – demiurgo di FareFuturo – che non hanno poltrone da difendere, e che credono in un nuovo partito, convinti che fra gli elettori il consenso di Fini "Non sia inferiore al 30%" (e sognano un governo di "salvezza nazionale"). Poi ci sono i parlamentari "vietcong" come Flavia Perina abituati alla guerriglia fin dai tempi dei campi Hobbit, che seguono la linea di Fini con entusiasmo (dopo averla prefigurata). C’è chi come Italo Bocchino ha un piglio pragmatico, e vede la formazione dei gruppi autonomi come un modo per aumentare il peso contrattuale in ogni caso, anche se si resta nella coalizione. Ma c’è anche – ad esempio Alessandro Campi – è più prudente e pensa che la cosa migliore da fare sia aspettare nel Pdl il momento propizio. Ecco perché le parole di Bocchino, ieri fotografavano la situazione: "Ci siamo limitati a porre alcune questioni politiche al premier attendiamo risposta e invochiamo discontinuità".
Certo a Palazzo Grazioli, in queste ore, è riapparso lo spettro del 1995. Ai tempi del ribaltone, infatti, la Lega riuscì a costruire una pattuglia di ribelli, e a permettere la nascita del governo Dini. La parola d’ordine "Al voto al voto", disinnescata da un anno di governo che poi preparò la vittoria di Prodi. Ecco perché, dopo il primo istinto Berlusconi ha accettato di prendere tempo. E’ stato Gianni Letta il più risoluto nel sostenere che, prima di qualsiasi passo irreversibile, bisogna capire quale sia la reale entità del gruppo che potrebbe formarsi: se sono davvero 48, come ripetono in queste ore i finiani bisognerebbe procedere con grande cautela; se fossero intorno alla soglia di sopravvivenza dei venti deputati (il numero minimo che serve per fare un gruppo) si potrebbe procedere più spediti. Ma è anche vero, che lo strappo di Fini coglie anche l’ala forzista in un momento di grande malessere: anche tra chi non ha la minima intenzione di seguire Fini (ad esempio i deputati azzurri del nord) ci sono molti che sono preoccupati per il successo della Lega: dai 30 ai quaranta deputati, al nord, potrebbero passare al Carroccio. Quindi anche la minaccia del voto anticipato non riscuote entusiasmi fra le fila dei berlusconiani. Certo, il Cavaliere vuole continuare a tenere il punto.
E infatti, ieri, mentre svolazzavano tutte le colombe, continuava a minacciare l’inquilino di Montecitorio. Gli chiedono se la poltrona di presidente della Camera sia compatibile con la nascita di nuovi gruppi parlamentari. E lui: "No, francamente no". Un modo per tenere sulle braci Fini. Ma Berlusconi si è spinto più avanti, e ha fatto una rivelazione che potrebbe aumentare la zizzania fra gli ex An: "Fini mi ha chiesto di togliere Gasparri da capogruppo al Senato. Ma Gasparri è stato eletto dai senatori, non lo posso certamente togliere. Questa è democrazia". Poi, con malizia ancora più raffinata: "Gianfranco si vuole tornare ad occupare del partito? Bene, c’è la poltrona di La Russa a disposizione". Che è un modo per scatenare il dispetto degli ex finiani, anche per ribattere all’accusa di non democraticità nella gestione del Pdl.
Anche ieri, per giunta, il presidente del Senato Schifani ripeteva: "Se la maggioranza dovesse dividersi verrebbe violato il patto elettorale". Un modo per forzare la mano a Napolitano e tornare a prefigurare (lo fa ogni giorno) il voto anticipato. Su tutto incombono le scadenze decisive della prossima settimana: martedì la riunione dei parlamentari ex di An con Fini. E giovedì la riunione del partito. Dopodiché, rien ne va plus.
Luca Telese
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