L’attacco non è diretto, certo. Ma forse proprio per questo, provoca una reazione fortissima del Quirinale, addirittura una nota ufficiale che finisce per diventare una sottolineatura. Così la notizia non può passare inosservata: per ben due giorni, in spazi totalmente diversi del giornale, Repubblica ha punzecchiato, ammonito, velatamente (nemmeno troppo) criticato il Quirinale.
La rivelazione di Scalfari. Il primo episodio è quello che raccontiamo nel fumetto di Manolo Fucecchi ed è a suo modo uno scoop. Di più: una rivelazione che un ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi consegna alla penna autorevolissima di Eugenio Scalfari.
Nel suo imprescindibile fondo della domenica, infatti, il fondatore del quotidiano di Largo Fochetti rivela ben due episodi di conflitto (che fino a ieri erano rimasti segreti) fra Silvio Berlusconi e l’allora inquilino del Colle. Dettaglio curioso. Malgrado il contenuto esplosivo dell’articolo: il titolo era su un film, "Good night e good luck". Citazione cinephile o garbato occultamento della polemica con il Quirinale? Giudicate voi stessi, a partire dall’incipit solenne del Fondatore: "Il presidente Ciampi mi perdonerà se oggi ne faccio cenno, poiché la riservatezza che finora ho rispettato non ha più ragion d’essere al punto in cui è arrivata la situazione politica italiana".
Dopo questo rullo di tamburi arrivano anche i botti: "L’episodio concernente la nomina dei tre giudici della Consulta nella quota che la Costituzione riserva al presidente della Repubblica, avvenne nella sala della Vetrata del Quirinale. Erano presenti il segretario generale del Quirinale, Gifuni e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. I temi da discutere erano due: i rapporti con la Commissione europea di Bruxelles dove il premier doveva recarsi per risolvere alcuni importanti problemi e la nomina dei tre giudici. Esaurito il primo argomento – racconta Scalfari – Ciampi estrasse da una cartella i tre provvedimenti di nomina e comunicò a Berlusconi i nomi da lui prescelti. Berlusconi obiettò che voleva pensarci e chiese tempo per riflettere e formulare una rosa di nomi alternativa. Ciampi gli rispose che la scelta, a termini di Costituzione, era di sua esclusiva spettanza e che la firma del premier era un atto dovuto che serviva semplicemente a certificare in forma notarile che la firma del capo dello Stato fosse autentica e avvenuta in sua presenza. Ciò detto e senza ulteriori indugi Ciampi prese la penna e firmò passando i tre documenti a Berlusconi per la controfirma".
Giudici Costituzionali. A questo punto che succede? Il racconto prosegue: "Il premier si alzò e con tono infuriato disse che non avrebbe mai firmato non perché avesse antipatia per i nomi dei giudici ma perché nessuno poteva obbligarlo a sottoporsi a una scelta che non derivava da lui, fonte unica di sovranità perché derivante dal popolo sovrano. La risposta di Ciampi – riferisce ancora Scalfari – fu gelida: "I documenti ti verranno trasmessi tra un’ora a Palazzo Chigi. Li ho firmati in tua presenza e in presenza di due testimoni qualificati. Se non li riavrò immediatamente indietro da te controfirmati sarò costretto a sollevare un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale". "Ti saluto" rispose altrettanto gelido Berlusconi e uscì dalla vetrata seguito da Letta. In serata i tre atti di nomina tornarono a Ciampi debitamente controfirmati".
La legge Gasparri. Al lettore non può sfuggire (e infatti l’articolo di Scalfari viene copiato e incollato in tutta la Rete) che questo aneddoto viene raccontato proprio in tempi in cui c’è polemica accesa sulle controfirme di Napolitano. Insomma, pare che Scalfari racconti di Ciampi, per mandare un messaggio a Napolitano. Ma se a qualcuno sorgessero dei dubbi, ecco il secondo anedotto ciampiano (Sempre de relato dal fondatore di Repubblica) che taglia la testa al toro: "Avvenne – racconta ancora Scalfari – nel corso di una colazione al Quirinale, sempre alla presenza di Gifuni e di Letta. Il Parlamento aveva votato la legge Gasparri e l’aveva trasmessa a Ciampi per la firma di promulgazione. Presentava, agli occhi del capo dello Stato, svariati e seri motivi di incostituzionalità e mortificava quel pluralismo dell’informazione che è un requisito essenziale in una democrazia e sul quale, appena qualche mese prima, Ciampi aveva inviato al Parlamento un suo messaggio". E cosa succede al Quirinale? Qui il ritratto tratteggiato a quattro mani da Scalfari e da Ciampi resta in equilibrio sospeso fra la farsa e il dramma: "La colazione era da poco iniziata – racconta ancora Scalfari – quando Ciampi informò il suo ospite del suo proposito di rinviare la legge alle Camere, come la Costituzione lo autorizza a fare motivando le ragioni del rinvio e i punti della legge da modificare. Berlusconi non si aspettava quel rinvio. Si alzò con impeto e alzò la voce dicendo che quella era una vera e propria pugnalata alla schiena. Ciampi (così il suo racconto) restò seduto continuando a mangiare ma ripeté che avrebbe rinviato la legge al Parlamento. L’altro gli gridò che la legge sarebbe stata comunque approvata tal quale e rinviata al Quirinale". Le battute del premier sono feroci: "Ti rendi conto che tu stai danneggiando Mediaset e che Mediaset è una cosa mia? Tu stai danneggiando una cosa mia". La risposta di Ciampi non è da meno: "Questo che hai appena detto è molto grave. Stai confessando che Mediaset è cosa tua, cioè stai sottolineando a me un conflitto di interessi plateale. Se avessi avuto un dubbio a rinviare la legge, adesso ne ho addirittura l’obbligo". Conclusione di Berlusconi: "Allora tra noi sarà guerra e sei tu che l’hai voluta. Non metterò più piede in questo Palazzo".
Doppia risposta? Ieri, invece, una algida nota del Quirinale risponde al retroscena di Massimo Giannini secondo cui Napolitano avrebbe voluto respingere il decreto legge sul mercato del lavoro. "Il Quirinale respinge il condizionamento che si vuole esercitare anche attraverso scoop giornalistici". Il Quirinale risponde a Giannini. Ma forse anche a Scalfari. E forse anche a Napolitano. Ma la morale scalfariana è chiara: c’è chi firma. E c’è chi – come direbbe Vasco Rossi – dice no.
Luca Telese
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