Non tutti sanno che Ignazio La Russa, all’anagrafe, si chiama “Ignazio Benito”. Questo va ricordato solo per due motivi: perché le tracce della storia scavano solchi così profondi che incidono anche le biografie e i certificati anagrafici. Ma anche perché il giorno dopo il suo “corpo a corpo” con il perturbatore, nonché “giornalista free lance” Rocco Carlomagno, la cosa più banale e scontata per raccontare questa epica sfida in mondovisione fra il ministro e il contestatore, sarebbe ricorre al cliché del neofascismo, evocare “un rigurgito squadrista”, come si dice con una frasetta trita e invecchiata nel lessico del politichese ideologico. La questione in realtà è molto più complessa, e può essere sviscerata in un modo diverso.
Battezzato nella nostalgia del ventennio, Ignazio La Russa nasce politicamente nella Milano degli anni di piombo, nel fuoco degli scontri di piazza, nella palestra infuocata del Fronte della gioventù meneghino, ovvero stretto fra la guerriglia con gli autonomi e la radicalità nichilista ed estrema dei sanbabilini.
Per i primi La Russa era “un picchiatore”, per i secondi “un venduto”. Di questo periodo restano due tracce documentarie meravigliose.
La prima è uno spezzone di film che Marco Bellocchio pone in apertura del suo Sbatti il mostro in prima pagina. Sul palco, davanti a una platea impavesata di tricolori con lo stemma dei Savoia c’è un giovane che parla con gli occhi di brace, la voce appassionata e roca, i capelli lunghi fino alle spalle, un impermeabile bianco su una maglia nera. Ovviamente è il giovane Ignazio: “Gli italiani che non hanno rinungiato all’appellativo di uomini – gridava già in “larussese” malgrado corresse l’anno 1972 – si uniscano, al di là delle fazioni, al di sopra dei partiti, al di sopra delle divisioni interessate e volute, al di sopra dell’ormai in disuso e troppo a lungo sfruttato fascismo-antifascismo, si uniscano per dire sì alla libertà nell’ordineee!” (Meraviglioso). “Questa manifestazione – proseguiva il giovane missino – vuole dimostrare che è possibile battere il comunismoooo! Che è possibile battere i nemici dell’Italia, e insieme lo faremoooo!!!”.
Il secondo reperto d’epoca è un fotogramma consegnato dalla penna raffinata di Tommaso Staiti di Cuddia, nel suo Confessioni di un fazioso (Mursia) : “Arrivava in corso Monforte con un doppiopetto quattro taglie più grandi, sotto braccio della fidanzata Marika, e con al guinzaglio il suo più prezioso amico. Il cane lupo”. Staiti – i due non si amano – oggi è ironico: “Che dire? Non aveva ancora scoperto Caraceni”. Eppure, chiunque conosca la Russa, sa che questa adolescenza cresciuta fra gli estremi, fra bombaroli (quelli della Fenice che avevano tirato le Sam e che il capo del partito, Francesco Servello fu costretto a denunciare) cuori neri e moderati bempensanti della “maggioranza silenziosa” fu per La Russa una palestra molto formativa.
Il futuro ministro della Difesa vide morire uno dei suoi migliori amici, Sergio Ramelli, 17enne ucciso a colpi di chiave inglese dai criminali del servizio d’ordine di Avanguardia Operaia. E fece in quei giorni la sua prima riflessione sulla violenza: “Mi sono vaccinato per sempre”.
Da avvocato fu avvocato nel processo ai killer. E in aula diede vita ad un epico duello con l’avvocato Gaetano Pecorella, che prima di scoprire Silvio Berlusconi era un nume tutelare di Soccorso rosso. Pecorella si affannava a spiegare ai giudici che i venti chili della Hazet 36 non potevano essere considerati un’arma impropria. E La Russa, con una delle trovate geniali che hanno costruito il suo personaggio, sfoderò dalla toga una Hazet lunga 50 centimetri sbattendola platealmente sul bancone: “Sta parlando di questa arma impropria – sdeng! – avvocato Pecorella?”.
Nel processo fu lui – insieme ad un altro avvocato della difesa, Giuliano Pisapia – a costruire un compromesso civile: la pena per gli assassini di Ramelli poteva essere persino ridotta, purché venissero riconosciuti colpevoli di “omicidio”. Il giovane La Russa nel Msi diventa tatarelliano, persino tentato dalla scissione della moderata Democrazia Nazionale nel 1976. Ma sul giudizio sui militari della Repubblica sociale solo l’anno scorso sfidò le polemiche anche da ministro. Mi chiedevo perché rischiare tanto, senza sfumature. Lo scoprii l’estate successiva, quando mi capitò di seguire un viaggio di Napolitano ad El Alamein. La Russa, sulla scalinata del mausoleo, passò dal sorriso alle lacrime mentre raccontava ai cronisti: “Mio padre ha combattuto qui, come direbbe De Gregori, dalla parte sbagliata”, e giù un singhiozzo mal trattenuto.
Malgrado tutto questo, a cavallo di Mani pulite, La Russa diventa leader di primo piano, un’icona popolare. Grande elettore di Fini, grande sostenitore del pool (lui e De Corato con le maglie “Forza Di Pietro!”) e poi ospite fisso del talk show, pupillo di Fiorello che lo consacra al pop con la celebre imitazione del “Digiamolo!”. E poi con la parafrasi del Gioca jouer di Cecchetto: “Autoblindo!!”. La Russa univa la seriosa educazione del collegio svizzero che aveva frequentato all’autoironia sul cane (un altro) che: “Quando sente la voce di Fiorello corre ad abbaiare pensando che sia io”. E poi quei retaggi post-missini come l’idea di dare ai figli i nomi dei capi apache, Geronimo e Kocis.
La Russa a Milano faceva tutto dal volantino al manifesto, dallo slogan agli organigranmi. Si esaltava nell’epica del deputato militante, ma non disdegnava le amicizie con i potenti alla Salvatore Ligresti. Il vero nodo è il rapporto con Berlusconi. Lui e Gasparri sono l’antefatto del discorso del predellino, per tutti “i berluscones”. E quando c’è da scegliere fra il loro vecchio leader, Fini, e il nuovo, Berlusconi, non hanno dubbi.
“A Gianfranco ormai gli tremano le mani…” disse intercettato da un giornalista alla caffetteria discutendo con i colonnelli. Il leader di An lo degradò. Poi lo riabilitò. Ma nulla fu mai più come prima. L’ira contro Rocco Carlomagno, dunque, non è una remiscenza degli anni di piombo, ma un eccesso di zelo da neofita del culto di Arcore. Gasparri è un neoberlusconiano entusiasta senza complessi. ‘Gnazio è intelligente, ci soffre. Sempre con un po’ di mal di pancia e qualche tic scomposto. Come quello di ieri.
di Luca Telese
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