Come lo racconti questo congresso dell’Italia dei Valori? Come un pentolone in ebollizione. Come un catino di identità, storie, emozioni e carismi che a volte sono persino antitetici tra di loro, ma che si trovano tutti trascinati sotto il calore della stessa fiamma. Tonino Di Pietro ad un tratto si volta a guardare, alle sue spalle, la platea sterminata dei tremila settecento delegati, un hangar pieno di teste e colori, tra il podio con l’arcobaleno della pace e il fondo della sala. Gli chiedi quanti ne conosca. Lui, gigione come sempre, sorride e allarga le braccia: "La maggior parte li ho conosciuti qui per la prima volta".
Il leader dell’Italia dei valori ha usato la metafora della steppa che "si è fatta prato". Ed in parte è vero: ieri mattina l’eroe più acclamato è stato Gioacchino Genchi, che ha sfoggiato un’oratoria insospettabile, costellata di pause teatrali, e di momenti di autentico spettacolo. Come quando si è rivolto a Leoluca Orlando dicendo: "Luca! Mi hanno fatto indagare su di te per cinque anni! E non ho trovato nulla, nulla!". Sorriso compiaciuto dell’"indagato", e standing ovation. La cosa a cui nessuno pensa è che Genchi, improvvisato carisma identitario del partito, non è nemmeno iscritto.
Così come non lo era fino a questa estate Luigi De Magistris, oggi indicato come l´alleato-antagonista di Tonino. Tutto e il contrario di tutto. "Compiamo in questi giorni dieci anni", ha annunciato soddisfatto Di Pietro. Ma se il partito non è più steppa, è vero che sembra ancora un orto botanico popolato di tantissime varietà vegetali. È una giornata strana questa, in cui, nemmeno a farlo apposta, sembra che la parafrasi delle simbologie inquisitorie, a volte anche per autoironia dei protagonisti, diventi il codice del congresso. Il che farà felici gli avversari dei dipietristi. Ma che in realtà spesso è frutto di una volontà precisa. Di Pietro annuncia: "Ho detto a De Luca se vuole venire a rendere dichiarazioni spontanee in questo congresso…Vieni a prendere un impegno davanti all’Italia dei Valori".
E così, ovviamente, arriva Vincenzo De Luca, per un altro grande momento di teatro. Ieri l’ex pm aveva detto che si sarebbe votato su di lui. Alla fine non si è votato, si è semplicemente acclamato. Ma nessuno ha protestato, come se il fattore emozionale del congresso, la sua drammaturgia, prevalesse su tutto il resto. L’Italia dei valori vista in questi giorni a Roma è davvero un calderone che ribolle. Nei corridoi del Marriot trovi gli autoconvocati che organizzano le loro carbonerie, i dirigenti in ascesa, i contestatori che raccolgono voti sui loro ordini del giorno (a tratti non si capisce se si potranno votare o meno) i candidati in pectore che distribuiscono santini, i gesti virtuosi di chi rinuncia al posto di deputato per candidarsi, trovi tutte le anime che convergono nel movimento: ex comunisti, ex verdi, ex socialisti, ex democristiani, popolo viola, girotondini, e poi – fatto anomalo per i partiti di oggi – una miriade di giovani.
E poi Franco Grillini, recentemente adottato anche lui, che strappa altre ovazioni, celebrando il leader, e insieme portando il valore aggiunto della sua storia omosessuale: "Dobbiamo ricordare che se Pierfurby è entrato in Parlamento è grazie a Cuffaro. I motivi per cui non è venuto al congresso, sono quelli per cui io sono qui!".
E giù un’altra salve di applausi. C’è Elio Lannutti, profeta dei consumatori che racconta: "Tonino è uno umanissimo: ci ho litigato, me ne sono andato. Ma poi sono tornato, e lui mi ha fatto eleggere". C’è il signore con la barba con il distintivo dell’Anpi, c’è la pasionaria della legalità Sonia Alfano che fa commuovere, c’è l’ovazione impressionante per Nichi Vendola, acclamato come solo leader del movimento, c’è qualche fischio per Pierluigi Bersani, ma anche tanti applausi e poi l’abbraccio plateale di Di Pietro al segretario del Pd (con cui solo due settimane fa aveva "interrotto i rapporti").
Casini è nemico della platea, ma "possibile alleato" in conferenza stampa. E la freddezza di alcuni verso Bersani è compensata dalla liturgia dell’alleanza che Di Pietro ha voluto celebrare pubblicamente sull’altare della sua tribuna. E poi, ovviamente c’è lui, Tonino. Parla con il suo intervento, parla nelle conferenze stampa, parla durante l’illustrazione delle mozioni, fra l’altro riscrivendole di sana pianta, senza che i presentatori protestino (uno solo si arrabbia). Le mette ai voti (anche queste per acclamazione) e non conta nemmeno favorevoli o contrari.
Favorisce la crescita di un nuovo gruppo dirigente, mette in vetrina i suoi gioielli, dice che toglierà il suo nome dal simbolo. Ma allo stesso tempo spiega che lo terrà negli appuntamenti elettorali: "Non sono mica scemo!". Fa un passo indietro, ma ne fa anche due avanti. C’è l’oppositore amico, Francesco Barbato, che vota contro di lui, ma che pare un alleato. E c’è il delfino De Magistris, che vota a favore di Tonino, ma intanto prenota un posto da erede e si candida alla successione. C’è Orlando che si ritaglia la sua nicchia di carisma, numero due e tessitore. Alla fine, però, il partito che cresce nell’orto botanico dell’Idv, fra mani sollevate in aria come per i concerti rock (le mani pulite), rispecchia i difetti e i pregi di Di Pietro come se fosse generato per partenogenesi dalla sua testa: disordinato, eclettico, passionale, generoso, coraggioso e contraddittorio.
Soprattutto testardo. Se arrivi dalle ultime assemblee pubbliche del Pd, con le conte tra stati maggiori, le battaglie fra le correnti, l’almanacco delle sconfitte, la differenza che ti colpisce di più è l’incredibile capacità di coinvolgimento di questo disordine vitale. E anche di passioni radicalissime e politicamente scorrette. La sala viene letteralmente giù quando Genchi dice che considera una montatura l’aggressione a Berlusconi: "Una pantomima coronata da quell'uscita di quel fazzoletto nero ed enorme che sembrava quello di Silvan dal quale mancava solo che uscisse un coniglio…" (seguono polemiche per tutta la giornata da parte del Pdl e poi la smentita dello stesso Genchi).
Di Pietro si guarda intorno e sospira: “Metterò i giovani nei listini perché vengano eletti. Riuscirò a tenere insieme tutte le anime. Il peggio è passato. Alle politiche del 2001 eravamo morti, senza quorum e con i debiti, alle primarie di Prodi sono risorto e arrivato terzo, adesso, se non mi fermano con altri mezzi, arriveremo alle politiche con un risultato a due cifre". Solo domani scopriremo se nel giardino dell’Italia dei valori riuscirà il miracolo di una pianta che possa crescere anche senza il suo leader.
Luca Telese
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