Luca Telese

Il sito web ufficiale del giornalista Luca Telese

Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

I vent’anni di Blob

Fine di un altro decennio epocale, la solita ora, il solito canale, Raitre. La voce è quella di Ronald Lee Ermey, attore ed ex marine che in Full Metal Jacket, recitò un raggelante monologo (scritto da sé medesimo). In sovrimpressione, mentre il fuoco (ma che fuoco, è quello di Farheneith 451 di Truffaut) arde ciò che rimane della minaccia culturale, scorrono gli ovali annuenti dei ministri berlusconiani colti nella messa ultraortodossa di Porta a porta. Sorridono, fanno sì con la testa, mentre l’audio rimanda al militarismo fideistico di Kubrick, all’asservimento senza soluzione, alla costrizione gerarchica del potere che conosce i segreti e la maniera di perpetuarsi.
Tra Berlusconi e Kubrick. “Sono il sergente maggior Hartman, vostro capo istruttore. Da questo momento potete parlare soltanto quando lo dico io e la prima e ultima parola che dovrà uscire dalle vostre fogne sarà ‘signore!’. Tutto chiaro luridissimi vermi? (Ronchi, Alemanno, Gasparri, Bocchino, Meloni, Matteoli. Sorridono, inclinano il capo in segno di assenso ndr.) Ma che cazzo non vi sento! Se voi signorine finirete questo corso sarete dispensatori di morte. Ma fino a quel momento siete uno sputo, la più bassa forma di vita che ci sia nel globo, non siete neanche fottuti esseri umani solo pezzi informi di materia organica anfibia, comunemente detta merdaaaa!”.
Solita rivoluzione. Per l’ultimo giorno dell’anno, la solita rivoluzione. Vent’anni dopo, Blob lotta e vive insieme al dissenso. Ne interpreta confini e limiti, li supera, abbaia da cane da guardia di un sistema che nonostante minacce, ammonimenti e cupe riunioni nei piani alti di viale Mazzini, ancora non ha trovato modo per sbarrargli la strada.
Veneziani disse no. Un giorno Marcello Veneziani, consigliere di amministrazione nominato in quota An (ma anche un intellettuale dallo spirito indipendente) ricevette una telefonata imperiosa di Berlusconi in persona: “Scusami Marcello, mi devi fare un favore…”. Fece appena in tempo a chiedere: “Quale?”. Berlusconi esplose come un fiume in piena: “Ma come quale? Ma l’hai vista l’ultima puntata di Blob? Era tutta su di me, tutta contro di me! Dovete chiuderlo, chiuderlo subito quel programma”. Veneziani rispose che non l’aveva vista. E Berlusconi: “Macchisenefrega! Non importa. Anche la penultima era contro di me. E anche quella prima. Anzi, non c’è puntata di Blob che non sia contro di me. Anche quando non parla di me!”. Alla fine, dopo tante telefonate di questo tipo, Veneziani riuscì a dribblare la richiesta censoria: “Ammesso che sia vero, se Blob venisse chiuso il danno sarebbe molto più grande che se resta aperto e fa il 10% di share”. Non era vero. Ma Berlusconi come è noto si ritrovò immerso in altri guai e la trasmissione si salvò.
L’Esordio. Iniziarono quasi clandestinamente il 17 aprile 1989. L’ex studente di filosofia morale Enrico Ghezzi intento a declamare massime tra lo ieratico e il minaccioso: “Nella vita odio la soddisfazione”. C’erano anche Marco Giusti poi approdato alla sua vera passione (i b movies italiani anni ‘70), il montatore Ciro Giorgini e il fondamentale appoggio di Angelo Guglielmi (che voleva chiamarlo fluff!). Una moviola, qualche vecchio spezzone cinematografico della Metro Goldwyn Mayer, frammenti di telegiornale e Carosello, frullati insieme per rappresentare ambiti di realtà inaccettabile. Quella sigla di trash horror, con il blob che dilaga come una colata di lava divorando immagini e cose. Controinformazione allo stato puro, sovversione non autorizzata, plauso della critica (Oreste Del Buono e Beniamino Placido gridarono al miracolo) e inevitabili reazioni. Da Blob una striscia serale, prima sperimentale e divenuta poi, con il tam tam, irrinunciabile appuntamento. In origine avrebbe dovuto presentarlo Sabina Guzzanti: poi si rinunciò a qualsiasi mediazione. Quando ogni tanto saltava dal palinsesto, (e accadeva, eccome), negli uffici Rai iniziava a piovere lettere inferocite. Allora si poteva continuare, senza cedere di un metro, perdendo elementi per strada (Giusti confessò che dopo due anni di cattività nella prigione del montaggio, sognava “fughe e palme tropicali”). Si continuava consultando avvocati e studi legali, per parare rabbia, querele e rivendicazioni insidiose sui diritti d’autore.
Tra il Papa e Pirrotta. Blob era un’equazione, senza risultato, di accostamenti eretici: uomini di stato, televisione o spettacolo colti in atteggiamenti incongrui che oggi sembrerebbero un manifesto d’innocenza. Dalle corna di Leone, era passato un decennio lungo un secolo. La politica si era infilata con sconsolante rapidità nel mutamento dei costumi, assecondando l’onda nera dei tempi, il nichilismo, l’orrore corrente: torte in faccia ai ministri al Bagaglino, tette e deputati. Cossiga era stato blobbato con le mani nel naso ma non se l’era presa. Altri, i più impensabili, avevano stretto nodi gordiani con la Rai pretendendo l’esclusione delle immagini dall’accostamento blobbistico (Nanni Moretti, il Vaticano, Adriano Celentano). Altri ancora, come il giornalista Onofrio Pirrotta, avevano denunciato. Nel caso di Pirrotta a provocare l’esondazione dell’ego, fu Gassmann. Il volto di Vittorio, mandato ripetutamente in onda per settimane: “Guarda che bella faccia di cazzo! Non ne ho mai vista una simile!” legato all’ovale di Pirrotta impegnato nell’intervista di prammatica a Craxi, era costato al cronista una corvée quotidiana nei corridoi.
Così, rotti gli argini, il popolo dei risentiti si armò di bandiera e tamburo. Querelarono associazioni religiose e ministri (Beppe Pisanu), conduttrici televisive (Donatella Raffai), sconosciuti televenditori di pentole, tappeti e appartamenti. Il cerchio, in una società in cui ogni cosa aveva un prezzo, tendeva inesorabilmente a chiudersi. L’avvento di Berlusconi, l’indignato timbro brianzolo: “Una legge illiberale…”, fornì un nuovo sterminato e duttile materiale, un format nel format. Il blob su Berlusconi, dal primo storico e sconvolgente montaggio del 1994, fino a quello di ieri, è metatelevisione. Da vero nemico pubblico, Dillinger della nostra epoca liquida, Blob mise a fuoco il suo obiettivo sul Cavaliere senza lasciarlo più. In qualche modo il lamento di Berlusconi aveva un fondamento: “Guardatelo, è un killeraggio continuo!”. Incredibilmente il leader di Forza Italia non si rendeva conto che essendo lui stesso un’incarnazione della tv, per un programma che era il grado zero della tv non poteva essere altrimenti.
I sopravvissuti della banda, e tutti i nuovi acquisti senza volto o voce, non si sono spaventi: continuano a interpolare vero e verosimile, falso e possibile. Così l’altro ieri bastava osservare l’orgia di Satirycon, ascoltare le note di De Andrè su Santoro: “Si è impiccato Michèèèè”, vedere Citizen Kane, scorgere B. danzare tra Apicella, Porto Rotondo, Obama e Patrizia D’Addario, sentire la narrazione fuori campo orchestrata da Orson Welles 69 anni fa: “L’imperatore della stampa aveva continuato a dirigere il suo impero in disfacimento tentando invano di influenzare come in passato i destini di una nazione che aveva cessato di ascoltarlo e che non credeva più in lui” per finire in un presente senza tempo. E che dire degli 11 minuti “stracult” (vocabolo da dizionario blobbistico) di Fabrizio Corona allo stato puro? Corona che fa un provino finto per James Bond (ma lui non lo sa), che insulta Alessio Vinci, con il codino, con il il ciuffo! Corona scalpato che viene interpolato dal primo piano (vero) del culo di una ballerina che si arrampica su una scala in un varietà. E poi di nuovo Berlusconi, Milano2, la Sicilia, le trame oscure, il quarto potere. In una discesa continua di cui non si scorge fondo né velocità. Per dirla con il sergente Hartman: “Qui non si fanno distinzioni razziali, qui si rispetta gentaglia come negri, ebrei, italiani o messicani”. I blobbisti si sono infilati negli interstizi di viale Mazzini come una repubblica corsara: hanno un loro archivio, le loro fonti, follìa e metodo. Blob è violento? Ride Marco Giusti: “L’unica cosa violenta che ho visto è il Tg1 di Minzolini. Con quell’annunciatrice da tv balcanica che legge le veline. Violenza è Unomattina con i conduttori che salutano Berlusconi dicendo: “Questa è casa sua torni quando vuole!”. Qui, da noi, c’è quel grido diBlob, fin dal film di Irvin Yeaworth del 1958: “È la cosa più orribile che ho visto in vita mia!”. Fino a ora e prima di domani.

Malcom Pagani e Luca Telese


Scopri di più da Luca Telese

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.