In fondo c’è voluto un sacrificio umano. È vero che la nostra modernità ormai è il luogo del disordine e della contaminazione dei generi, che la dimensione dell’emotività televisiva crea e dissolve, resuscitando in un batter d’occhio archetipi dimenticati. E’ vero che la filosofia dei reality è il canovaccio dei nostri processi conoscitivi, sempre in bilico fra tragedia e commedia, pronto a virarsi dalla farsa al dramma nel giro di una puntata o di uno spot. Ma ci sono voluti un cadavere e un omicidio, il sangue quasi liturgico di Brenda, perché i trans passassero repentinamente dal clichè dei nuovi freak (ricordate il film di Tod Browning?) a quello delle rockstar. C’è sempre un archetipo mediatico che modella tutti gli altri, e dunque, così come la passione di Michael Jakson ha redento la sua ultima maschera, crepuscolare e viziosa, per restituirla alla dimensione abituale dell’agiografia mediatica (e al botteghino), ecco che “i piccoli mostri” di via Gradoli (definiti così su tutti i giornali, fino a pochi giorni fa) conquistano i salotti tv, le faccine incastonate tra gli elzeviri del Corriere della Sera, la dimensione del personaggio pubblico: un plot che li vede improvvisamente domestici e familiari, nel salotto fatato di Porta a Porta. Fino a ieri c’era solo Vladimir Luxuria a battersi per loro (“Declinate il loro genere al femminile se non volete insultarli!”), ora Vespa fa il baciamano a China e Natalie risponde alle accuse con un sms a Fabrizio Caccia del Corriere. Fino a ieri c’erano foto scure tratte dai servizi dei tg, immagini rubate e mosse, ora ci sono servizi posati, con belle luci e vestiti firmati sui settimanali femminili. Ha ragione Natalie, che quando decide di concedere la sua esclusiva a Novella 2000, precisa: “Non volevo parlare con nessuno, ma quando ho visto come mi avete trattato, pubblicando le mie foto con riguardo, ho scelto voi”. Non è una ingenuità, la sua, ma l’esplicitazione di un rito di passaggio, il retroscena di una nuova mutazione. E siccome il trans è la divinità della mutazione nell’era contemporanea, non bisogna stupirsi della velocità con cui le inquiline di via Due Ponti hanno interpretato il cambio di passo richiesto dai media. Sospese sempre fra l’iperrealismo pasoliniano e l’insostenibile leggerezza della soap: pronte a improvvisare guerre, scambi di accuse, doppie testimonianze che appassionano il lettore e prefigurano il sequel (molto più che le urla delle sfigate siliconate in tanga, all’Isola dei famosi). In realtà tutto è accaduto con velocità sorprendente. Il 23 ottobre Piero Marrazzo convoca una conferenza stampa per dire: “È tutta una bufala, non esiste nessun trans”: la pietosa bugia può reggersi perché i trans sono un mito nella caverna, solo ombre cinesi sul muro della scena. Il 26, quando appaiono le loro foto, diventano degli alieni di cui, dopo averla ipotizzata, si fatica ad accettare l’esistenza. Il 28 ottobre sul Giornale, Stefano Lorenzetto scrive quello che molti pensano dopo aver visto le foto dei trans dello scandalo: “Il vero choc è la loro bruttezza”. Sul Corriere della Sera, Raffaele Morelli ipotizza che l’elemento di fascino che porta i potenti nei seminterrati delle loro case sia “il desiderio inconfessabile di essere scoperti e puniti, il desiderio di trasgressione di fuga”. Sulla Stampa, la psicoterapeuta Annalisa Pistuddi dice: “La loro bruttezza è rassicurante”, il cliente vip “cerca la cura della mamma”. Sul Fatto lo psichiatra Gabriele Sani spiega a Enrico Fierro: “Il degrado aiuta a deresponsabilizzarsi dal peso del potere”. Alessandra Mussolini sintetizza a modo suo, urlando a Matrix: “Sono dei mostri che rubano i mariti alle donne”. E poi, in questo moderno Apocalypto, è il sacrificio umano che redime, e restituisce cittadinanza. Il set dei trans cambia: dalle riprese notturne, ai fondali rassicuranti degli studi. Dall’angoscia del tugurio, al plastico del tugurio. Non più “Il” transessuale ma “Le” transessuali, restituite al loro sesso idealizzato, alla loro identità, al carattere di personaggi: gli occhiali colorati di Barbara, il caschetto dorato di China, i capelli lunghi di Alessia e il codino di Veronica. Dall’horrortrans dei freak, al realitrans delle nuove dive.
Luca Telese (luca@lucatelese.it)
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