Questa, alla fine, è anche la storia di un anello e di una faida tra correnti. La prima quella dell’anello, Nando Dalla Chiesa l’ha raccontata in un bel libro – Album di famiglia: è la storia l’anello d’oro di suo padre Carlo Alberto, quello con lo stemma di famiglia. Glielo riportarono dopo l’attentato: brunito per il sangue.
Quell’anello, che sua moglie Emilia fece ripulire senza dirgli nulla, oggi è sempre al suo dito. Come un pegno, come una memoria, il simbolo di un legame forte con la Sicilia che non si potrà cancellare mai. A luglio durante un incontro della tavola antimafia, Pierluigi Bersani torna a parlargli di quel legame: “Non sarebbe bello se, proprio tu, tornassi in Sicilia per le primarie, per una candidatura simbolica che possa dare un forte messaggio di antimafia?”. Dalla Chiesa è incerto. A ottobre anche Rosy Bindi, si fa sentire, più insistente: “Nando, deciditi. Candidati da capolista per la nostra mozione”. Il dubbio di Dalla Chiesa era questo: è stato parlamentare, Per anni ha lavorato al Nord, nelle terre della Lega. E’ stato sottosegretario nel governo Prodi, adesso si occupa di mille cose nella “società civile”, a partire dalla sua casa editrice, La Melampo. Ha senso impegnarsi politicamente a Palermo? Alla fine si convince: “Va bene, ci sarò. Ma non sarà una presenza simbolica: farò i comizi, dirò perchè è importante lanciare proprio oggi un nuovo messaggio di impegno sulla lotta alla mafia”. Bersani e la Bindi sono entusiasti. Sembra fatta.
Ebbene, pare incredibile, non è così. La storia delle correnti inizia qui: dopo una feroce battaglia a livello locale, il figlio del generale, dirigente di lungo corso del Pd, non solo non sarà in lista a Palermo. Non solo non sarà capolista. Ma non potrà nemmeno correre per l’Assemblea perchè (tagliato fuori all’ultimo minuto nella lotta fra i due contendenti della corrente Bersani a Palermo) non c’è stato più nemmeno il tempo tecnico per candidarlo altrove. Sul web,ora, va in scena la rivolta degli iscritti. Troppo tardi.
Così questa clamorosa esclusione merita di essere ripercorsa: è l’ennesimo tassello di un puzzle che non chiude, dei problemi del Pd al sud, delle mille lotte fra i signori delle tessere che alla fine condizionano i progetti dei leader. La scelta di Bersani (e della Bindi) infatti, deve essere calata nella realtà locale. E in questa realtà, come è noto, le primarie non sono un esercizio di buone intenzioni, ma il modo in cui i dirigenti in quel partito misurano la propria forza. Antonello Cracolici, uno degli uomini forti del Pd siciliano, decide che per contare deve presentarsi con una sua lista separata (ma affiliata alla mozione di maggioranza) a sostegno della candidatura alla segreteria di Beppe Lumia. Lo fa, e così entra in guerra con Bernardo Mattarella, altro candidato, animatore della lista bersaniana “Doc”. Entrambi, presi a guerreggiare, si “dimenticano” la candidatura di Dalla Chiesa. Tempestato di mail dai militanti di base, Cracolici risponde con parole che rimbalzano da un capo all’altro del web: “Signora, non capisco cosa ci rimprovera per aver candidato Anna Finocchiaro e non la seguo sulla vicenda Dalla Chiesa. Nessuno ha mai avanzato questa candidatura al PD siciliano e oltretutto mi risulta che Nando viva a Milano”. Gli risulta, divino. E Dalla Chiesa? Lui dell’esclusione ha saputo a cose fatte: “Ma non sarei andato altrove. Potevo farmi eleggere, chessò, a Nuoro? Questa storia mi inquieta, perchè un partito dove i killer sono tesserati si salva se i leader prevalgono sui signori locali. Se accade il contrario – conclude con una punta di amarezza – qualcosa che non va». Dario Franceschini, invece, candida due nomi forti dell’Antimafia, Rita Borsellino e Salvatore Crocetta. Tra i due litiganti, prosaicamente, gode.
Luca Telese
luca@lucatelese.it
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