Luca Telese

Il sito web ufficiale del giornalista Luca Telese

Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Quelli che non piacevano né di qua né di là

La recensione.

Non so abbastanza di Luca Telese. Il retro di copertina si limita a informare che “è diventato un giovane comunista nel 1984”, ma non precisa se e quando ha smesso di esserlo. Di professione è giornalista e dal 1999 lavora al “Giornale” di Berlusconi. Non so che cosa vi abbia scritto, né lo voglio sapere (ora è passato a “Il Fatto Quotidiano” di Antonio Padellaro cui auguro lunga vita). So soltanto che l’autore di Cuori neri ha scritto un libro libero e straordinario (Qualcuno era comunista. Dalla caduta del Muro alla fine del PCI: come i comunisti italiani sono diventati ex e post, pp. 745, € 22, Sperling & Kupfer, Milano 2009), al punto di provocare una sorta di muro del silenzio mediatico, salvo qualche compitino di circostanza o di colleganza. Spesso un indizio che segnala qualità di cultura politica.

Effettivamente di muri si tratta, perché Telese ha approfittato del ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino per riproporre, in tutta la sua maestà – lo dico senza ironia e spiegherò perché -, lo sconquasso che ha provocato nel Partito comunista italiano. Lo ha fatto con un metodo solo apparentemente ostico, in realtà il più congruo per rendere una grande esperienza collettiva. Il filo narrativo esiste, non è nemmeno difficile seguirlo, ma la cronologia è totalmente al suo servizio, nel senso che si alternano vorticosamente presente, passato remoto, passato prossimo, futuro. Da Togliatti ancora al Hotel Lux di Mosca al congresso attuale del Pd, anche se il punto focale è la ricostruzione della svolta, la “cosa” di Occhetto.

La documentazione su cui è  fondato costituisce la prima caratteristica che fa meritare a questo libro l’epiteto di straordinario; ricca al punto di correre il rischio di risultare ridondante, soprattutto quando l’autore prende troppo sul serio i suoi colleghi-giornalisti politici. In una recensione peraltro elogiativa dei tre volumi dedicati alle origini della prima guerra mondiale dal direttore e proprietario del “Corriere della Sera”, Luigi Albertini, A. J. P. Taylor, grande storico delle relazioni internazionali, osservava che il giornalista, come uno scoiattolo, conserva tutto ciò che ha racimolato, mentre lo storico deve buttarne via i nove decimi, dopo averli assimilati. Telese costituisce un caso a parte perché, pur convinto che non esistano le condizioni per una sintesi (parola magica anche per gli storici, oltre che nella liturgia del Pci, come egli stesso spiega), diversamente dai giornalisti-scoiattoli, seleziona in maniera perspicace il materiale utile alle tante sintesi che, per ora, i singoli lettori formeranno nelle loro teste. In questo senso Qualcuno era comunista non è la storia della svolta del Pci e della sua dissoluzione, bensì un insieme per il quale lettori attuali e futuri storici devono essere grati all’autore per il lavoro di scavo che ha effettuato e per il gusto che proveranno nel valutare la qualità dei reperti dissotterrati!

Per lo più egli segue il precetto che Gaetano Salvemini impartiva ai suoi laureandi e dottorandi di Messina, Firenze e Harvard, ricordando loro che non vi è nulla di più inedito dell’edito. Infatti l’autore incrocia memorialistica vecchia e nuova, sfuggita ai più, interviste e articoli di giornale, riletture certosine di relazioni a congressi e comitati centrali, per estrarvi con successo, nel bel mezzo di tonnellate di ciarpame, l’episodio realmente significativo ai fini interpretativi. Laddove gli si rivela un buco, trattandosi di storia recente con testimoni vivi e vegeti, Telese li va a cercare, per intervistarli con professionalità di giornalista e discernimento di storico. Solitamente predilige il protagonista minore, il testimone specifico, l’insider ingiustamente trascurato dai media e umanamente desideroso di raccontare la sua parte con cognizione di causa. Informazioni e giudizi di personaggi quali Iginio Ariemma, Antonello Falomi e Massimo De Angelis – i migliori collaboratori di Achille Occhetto – sono delle perle senza le quali si rischia di non cogliere le difficoltà, ma anche le tensioni ideali che circondarono quella svolta. Sempre in uno spirito di generosa quanto rispettosa apertura, l’autore va alla ricerca di altri preziosi testimoni, dai Lothar di Massimo D’Alema – con Claudio Velardi che si vanta di avere orchestrato e manipolato, insieme con il migliorista Minopoli e in barba a Claudio Petruccioli, lo scacco della mancata elezione a segretario di Occhetto a conclusione del congresso di Rimini – a preziosi simpatizzanti o antipatizzanti culturalmente significativi, quali Nanni Moretti, Sergio Staino, Michele Serra e Luciano Canfora, oppure militanti comunisti quali Mario Benedetti, benzinaio di Enrico Berlinguer della sezione Ponte Milvio, e Gianni Marchetto, delegato operaio di Mirafiori, che assurge addirittura all’onore del retro di copertina: “I comunisti, quando perdono l’idea della Rivoluzione, perdono il senso dell’avventura, diventano gente noiosa e anche pericolosa”. Per non dimenticare il militante semianonimo di Bari che spontaneamente esprime il paradosso che spiega il formarsi di una maggioranza intorno a Occhetto nel congresso di Bologna e in quello dissolutivo di Rimini: “Se il partito ha deciso che deve sciogliersi, vuol dire che il partito ha ragione”. Parafrasando il detto francese, “la vérité sort de la bouche des militants!”. E i grandi capi protagonisti? Telese mica li ignora, ma li affronta con un’avvertenza che costituisce una sorta di vademecum per chi, in clima di sovraesposizione mediatica, deve scandagliare la memoria di protagonisti: “…gli stessi racconti, detti e ripetuti fino alla nausea, si erano come calcificati nelle teste dei D’Alema, degli Occhetto, dei Mussi, fino a sostituirsi, con una ricostruzione alterata, alla realtà dei fatti. Fino a contraddirsi l’un l’altro. Spesso non consapevolmente, e talvolta per l’influenza dei fatti successivi”.

È la generosità intellettuale (e umana, ne sono certo) dell’autore che, usando con parsimonia la propria voce, è favorito nell’ascolto di quella altrui. La sua è una rappresentazione di una realtà plurale più che corale – la coralità esiste, ma canti e controcanti, alternati a singole romanze e qualche stecca, finiscono per sopprimerla -, nutrita di episodi e citazioni. È come se, a vent’anni di distanza, egli fosse riuscito a emulare in forma storico-letteraria l’impresa cinematografica di Nanni Moretti, offrendo ai partecipanti, con generosità ripeto, l’onore cui hanno diritto. Mi spiego con qualche esempio che corrisponde a richiami a un passato non tanto remoto, indispensabile per comprendere il seguito. Telese riferisce un dialogo tra Togliatti e Davide Lajolo in cui Lajolo chiede al Migliore se sia vero che egli ha partecipato alla condanna ideologica dei dirigenti polacchi perciò fucilati da Stalin: “Togliatti lo guarda fisso negli occhi: ‘Si’, gli risponde lento. (…) (Lajolo): ‘Come hai potuto farlo se conoscevi ed eri certo della lealtà politica dei compagni?’. Togliatti: ‘Sarebbe necessario un lungo discorso, per rifare la storia di quegli anni. Ma se avessi tenuto un altro contegno, avrei subìto la stessa sorte’. (Lajolo), quasi polemico: ‘Gramsci al tuo posto cosa avrebbe fatto?’. (…) Il segretario del PCI si prende una pausa, e poi dice solo: ‘Sarebbe morto’”.

Episodio edito, certamente, anche se ormai dimenticato. Manipolato dal “Voltagabbana” confesso (cioè Lajolo)? Possibile; nei dettagli addirittura probabile. Abbiamo a che fare con scrittori che citano altri scrittori, sicuramente sensibili al fascino del veritiero, secondo Montanelli più vero della verità nuda e cruda. In ogni caso trattasi del richiamo a una maledetta realtà storica, indispensabile per comprendere una delle dimensioni fondamentali di quanto avvenne negli anni successivi e con la stessa svolta della Bolognina. Accanto ad altri episodi che richiamano fatti ancora più significativi per la luce che gettano sulla peculiarità di quanto in Italia si dissolse dopo la caduta del Muro: la conclusione stessa della conversazione di Lajolo con Togliatti: “Ho fatto di tutto per evitare quel clima di sospetto in Italia”. Il Pci fu anche un partito di libertà, della pubblicazione imposta da Luigi Longo del memoriale di Yalta contro i tentativi sovietici di impossessarsene per evitarne la diffusione. Il Partito comunista che condanna l’invasione della Cecoslovacchia a dodici anni dall’approvazione di quella dell’Ungheria. Insomma, il Pci-giraffa, animale assurdo che tuttavia esiste in natura. Per quanto tempo?

Ma è su Berlinguer che l’autore, pur nel suo pluralismo interpretativo, mostra i suoi veri colori. È la difesa di Berlinguer a suscitare il suo unico lampo d’ira, quando accusa di volgarità Fassino (cfr. Piero Fassino, Per passione, Rizzoli, 2003; “L’Indice”, 2003, n. 10), per averne collegato la morte al presunto esaurimento della sua strategia politica. È con lo strappo effettuato da Berlinguer a Mosca e riportato sulle prime pagine della stampa mondiale, in nome di “Una società che garantisca il rispetto di tutte le libertà individuali e collettive, delle libertà religiose e della libertà di cultura, dell’arte e delle scienze”, che Telese apre il suo racconto. È di Berlinguer una delle citazioni più gustose (cfr. Massimo D’Alema, A Mosca l’ultima volta, Donzelli, 2004; “L’Indice”, 2004, n. 12): “Vedi, questa è la prima legge del socialismo reale. La prima: i dirigenti mentono sempre, anche quando non sarebbe necessario. La seconda: l’agricoltura non funziona, mai, in nessuno di questi Paesi. La terza, facci caso (…) è che le caramelle hanno sempre la carta attaccata”. Una rottura con l’Unione Sovietica che, giustamente, Telese mette in rapporto con l’attentato alla vita di Berlinguer, effettuato a Sofia nel 1973, secondo la testimonianza ormai consolidata e inequivoca di sua moglie e del fratello Giovanni. È soprattutto significativa la rivisitazione dell’intervista a Berlinguer di Giampaolo Pansa di cui si ricorda soltanto l’apprezzamento per l’ombrello difensivo fornito dalla Nato, mentre è passata nel dimenticatoio la critica a Yalta e alle limitazioni di sovranità in Occidente. Disse Berlinguer in quell’occasione: “Il sistema occidentale offre meno vincoli. Però stia attento. Di là, a Est, forse vorrebbero che noi costruissimo il socialismo come piace a loro. Ma di qua, all’Ovest, alcuni non vorrebbero neppure lasciarci cominciare a farlo, anche nella libertà. Riconosco che da parte nostra c’è un certo azzardo nel perseguire una via che non piace né di qua né di là”. Da cui l’affinità profonda con Mitterand, Palme e Willy Brandt che aprirà la strada dell’Internazionale socialista al Pds a dispetto del “Santo” (Bettino Craxi) che, fino all’ultimo minuto, cercò invano di opporre il suo veto.

A ben vedere, è questo il nocciolo della successiva svolta e dello stesso libro di Telese, che, non a caso, dedica le sue pagine più emozionanti a un intermezzo soltanto apparente, l’esperienza cilena di Salvador Allende. In realtà aveva fatto quasi (diamo ad Achille quello che è di Achille) tutto Berlinguer. La svolta successiva è stata possibile soltanto perché Berlinguer aveva rotto con Mosca restando fedele a un’Europa federativa e a una critica al bipolarismo tuttora attuale. Consolidando l’orientamento democratico del Pci, che per ragioni di strumentalità politica continuerà a essere disconosciuto, egli si era misurato con le responsabilità istituzionali di un grande partito occidentale, senza cedere un’unghia riguardo alla sua rappresentanza di coloro che successivamente verranno chiamati, e non soltanto da Fassino, sfigati. È con la critica postuma a Berlinguer che si spegne l’afflato riformatore della svolta e che inizia quello che Pintor prematuramente, con una profezia che i militanti del No hanno contribuito a far adempiere, ha definito la deriva di destra della svolta. Disse Luciano Lama, assolutamente immune da ogni tentazione di difesa identitaria del passato, ma da buon sindacalista attento al merito delle politiche: “Occhetto è una vittima dei giovani dorotei comunisti, quelli che danno poca importanza ai contenuti, e che invece pensano soltanto al potere”. Lama aveva capito tutto perché il potere italiano così com’è (e di cui Berlusconi costituisce l’estremizzazione in chiave grottesca) non consente riformismi, mai indolori se genuini, modernizzazione, civiltà giuridica e democratica, laicità dello stato, integrazione autentica con quella parte della diaspora cattolica che si ispira a questi obiettivi e che dorotea non è mai stata. Ed è soltanto attraverso un ritorno al Berlinguer che ha costruito i presupposti della svolta che si può ricomporre un’unità a sinistra senza la quale non soltanto in Italia ma in Europa si continua a indietreggiare, senza riuscire a parlare alla cittadinanza nel suo insieme. Anche Obama, per riuscirvi, ha dovuto riunificare forze politiche e sociali disperse o divise, sconfiggendo la riproposizione del liberalismo clintoniano in un quadro economico e sociale drasticamente mutato. Chi in Italia si compiace per l’arretramento delle socialdemocrazie non si accorge, o finge di non accorgersi, che, in Francia come in Germania e in Svezia, le forze dell’alternativa continuano a resistere ma sono spaccate, con il coagularsi di forze elettorali altrettanto cospicue quanto la sinistra tradizionale (Cohn-Bendit, Linke, verdi e sinistra scandinava). Come hanno compreso Martine Aubry, Steinmeier e Mona Sahlin, la sfida a coloro che ancora difendono i privilegi della stagione precedente, conclusasi con il crollo di Wall Street, si può soltanto vincere a condizione di ritrovare un’unità di valori e di programmi fondata sulla solidarietà sociale. Ciò vale anche per l’Italia.

Come ovvio, queste considerazioni conclusive sono del recensore più che dell’autore, anche se è la lettura della rivisitazione di quella svolta a suggerirle. È altrettanto ovvio che il libro in questione contiene qualche errore e lacuna, anche rilevante. Un esame più attento del rapporto stabilito dagli eredi della tradizione comunista, non soltanto tra loro ma con il potere costituito, istituzionale ed economico, spiegherebbe molte delle vicissitudini che tuttora ci affliggono. In un libro che vuole parlare al presente, in gran parte riuscendoci, come ho cercato di dimostrare, manca ogni riferimento all’esperienza di governo e di opposizione successiva alla svolta, con l’affossamento autoinflitto di ben due governi di centrosinistra guidati da Romano Prodi. L’autore afferma che: “Solo nella sinistra italiana un partito può cambiare per ben quattro volte il nome, conservando di fatto – con l’unica esclusione dei deceduti – lo stesso gruppo dirigente di vent’anni prima. In tutta l’Europa i leader che perdono, anche quando sono carismatici ed amati come Lionel Jospin, vengono rispediti a casa”.

Forse la risposta all’interrogativo implicito in questa doverosa constatazione potrebbe essere favorita dalla risposta ad altri interrogativi più specifici, direttamente attinenti all’indagine aperta da Telese. Perché, ad esempio, Vittorio Foa ha sentito il bisogno di porre la questione del silenzio dei comunisti? Perché Norberto Bobbio, a sua volta, si è schierato con altri simpatizzanti e militanti interni (Bruno Trentin) ed esterni nel tentativo di evitare le scissioni a sinistra (forse se Telese non avesse affrontato la questione degli esterni con il solo Paolo Flores d’Arcais avrebbe trovato qualche ulteriore elemento di giudizio)? Perché gli editoriali non proprio disinteressati del “Corriere della Sera” hanno avuto un’influenza così pervasiva su troppi aspiranti dorotei tra gli ex quarantenni? Perché, infine, l’ovvio approdo socialdemocratico è risultato così tortuoso e contrastato? Basta la sincerità di Livia Turco: “Non avrei potuto accettare di abbandonare il comunismo per (…) così poco”? O esisteva forse un problema di laicità, tuttora irrisolto? Insomma, la ricerca continua.

Gian Giacomo Migone, L’Indice


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28 risposte a “Quelli che non piacevano né di qua né di là”

  1. Avatar Nicola Di Turi

    Di chi è Luca?

  2. Avatar marcos
    marcos

    Ottimo argomento ma cosa c’entra con l’attuale politica italiana? Ammesso che ci sia un nesso

  3. Avatar Nicola Di Turi

    Diario di una democrazia matura

  4. Avatar circolo
    circolo

    Meno male che Luca c’è!

  5. Avatar margherita
    margherita

    quando ritorna il tuo bellissimo programma ?

  6. Avatar archi
    archi

    Non sapevo. Vado a comprare il libro di Luca. Del quale, in effetti, cominciavo a sospettare la commendevole libertà di pensiero. Bravo!

  7. Avatar luca Telese
    luca Telese

    Caro Archi, ti ringrazio. Vada per tutti la formujla soddisfatto o rimborsato.
    Luca

  8. Avatar marco s
    marco s

    Luca entra nel magico mondo dell’ E-book !
    è il futuro..i numeri parlano chiaro.
    Non sostituirà mai la carta, ma i dati lo danno in notevole aumento
    e molto gradito. Io non essendo in italia per esempio il tuo libro non lo posso comprare. ; )

  9. Avatar marco s
    marco s

    ho dimenticato che tra l’altro visti gli abbonamenti pdf del Fatto , probabilmente lo sai meglio di me. Che aspetti allora? o gia c’è?

  10. Avatar ZEPPA
    ZEPPA

    LUCA TELESE-TTE

    LA7…

  11. Avatar aniello
    aniello

    buonasera,complimenti per il lavoro che stai svolgendo al fatto quotidiano…molto bello l’articolo di oggi.

  12. Avatar BISENSO
    BISENSO

    Oggi il patto puoi comprare
    e puoi pure cucinare
    metti sempre un poco di aglio
    e dimentica il TRAVAGLIO

  13. Avatar io e mio fratello
    io e mio fratello

    Abbiamo letto l’articolo di Belpietro su Libero e abbiamo detto: è bellissimo!

  14. Avatar marcos
    marcos

    Belpietro Chi??? Uno che è a busta paga del premier potete dirmi di che cosa può scrivere (insieme a Feltri, naturalmente).

  15. Avatar TISCALI
    TISCALI

    Ciao Luca,
    complimenti per gli articoli sul “Fatto Quotiidano” e complimenti per il libro, l’ho trovato molto interessante…. grazie per il regalo

  16. Avatar PALINDROMO
    PALINDROMO

    IRI

  17. Avatar fulvio
    fulvio

    Caro Migone,
    tu non ricordi chi sono, ma io ricordo alcune riunioni fatte con te ai tempi del PDUP, a Savona e in Liguria.Sono contento che sei ancora in pista e ti porgo i miei auguri.
    Ho letto il libro di Telese con attenzione e devo dire che condivido molto del tuo articolo. Apre delle riflessioni non da poco sul perchè quella che era la sinistra, nelle varie versioni e organizzazioni, è tramontata o sparita , pur esprimendo originalità e legami seri nel paese reale.
    Perchè ad esempio il PCI non resse Il gruppo del Manifesto al suo interno ?
    Perchè non funzionò l’aggregazione Manifesto – PDUP ?
    Perchè finì così il PCI , legando il suo scioglimento ai destini dell’Est da cui era oramai distante ?
    Perchè anche Rifondazione subì scissioni fino all’approdo di oggi ?

    Non ha retto alla lunga la funzione di rappresentanza politico – sociale di massa in rapporto con le istituzioni.

    E questo vale non solo per quelli di tradizione comunista.
    Basti pensare ai socialisti,ai verdi, o semplicemente ad un’area laica e democratica progressista che è fantasma.

    E’ possibile che l’orizzonte sia solo ed esclusivamente dentro una società mercantile e individualista ? Non soggetti ma consumatori ? Merci tra le merci ?

    ciao

  18. Avatar flaminia
    flaminia

    ciao! Fulvio!
    se permetti rispondo io brevemente.
    Tanti “ISMI”, compreso l’illuminismo buon’anima e un boccheggiante socialismo, con qualche efficiente compagno ante litteram alla Brunetta pronti a curare effetti malsani ma non le cause- o nel caso del comunismo le classi, il nazismo la razza, e lo stesso liberismo involontario padre di comunismo e nazismo e della prima grande guerrazza- hanno stufato. Pure la liberale Italietta. Stop. Stop. Stop. C’est Finì!
    A basso decrepiti ISMOlogi alla recherche du temps perdu.
    Flaminia, una donna nel blog.

  19. Avatar marcos
    marcos

    Ci mancava solo il patto di non belligeranza sborsando i soldi ai talebani per “quieto vivere”. Se la voce del Times fosse confermata (come dicono fonti da Kabul) mi sa che stavolta Berlusconi debba andare davvero a casa. Anche perchè ci sarebbero sulle spalle dieci morti francesi

  20. Avatar Andrea Chiari
    Andrea Chiari

    Il libro di Luca Telese sulla svolta di Occhetto è filologicamente ricco ma non pedante perchè è scritto bene ed è piacevolmente farcito di percorsi narrativi collaterali sullo stile del Maestro e Margherita di Bulgakov. Perciò si legge bene. Restano però due dubbi. Il primo è che l’argomento meriti tanta acribia essendo attuale oggi come le guerre puniche. Il secondo problema riguarda il giudizio su Berlinguer, come osserva giustamente Migone. Certo, non possiamo pretendere che Telese risolva un nodo storico-politico ancora controverso. Dice la sua, con facondia e sincerità. E noi diciamo la nostra, che è la seguente. Parto da un fatto personale: la meraviglia di un giovane (allora) che ascoltava il discorso di Andreotti nel 77 quando il PCI si astenne sul suo governo. Un discorso piatto, modesto (volutamente), faremo nuove scuole, sistemeremo le frane, svilupperemo i rapporti economici nel Mediterraneo e via banalizzando. Non una parola sul fatto clamoroso, e che cioè i Comunisti lo avrebbero appoggiato. Prendeva e non chiedeva. Pur essendo già allora ultrariformista, non mi sembrava per il PCI una situazione dignitosa. Cavolo, se vuoi il mio voto (o la mia astensione) chiedimelo! E qui c’era tutto il senso (comunista, o forse hegeliano) della storia in Berlinguer: una scala in salita in cui comunque, passo dopo passo, non si tornava indietro e dove la sintesi del compromesso progressista apriva sempre una prospettiva nuova. I voti e i consensi conquistati erano in una cassaforte pronti a spendersi senza render conto ai proprietari, dimostratisi poi in futuro, su questo, assai volubili. Il mondo di Berlinguer era unidirezionale, dove la svolta e l’autocritica profonda non era contemplata, sostituita da un progresso comunque lineare, paradossalmente prudente anche nel coraggio, per non smarrire le masse a cui, comunque, la verità delle caramelle appiccicose non doveva essere raccontata. Una variatio della doppiezza comunista, un approccio tutto sommato dirigista e paternalista. Andando in fondo, diciamocela tutta. Fu coraggioso nel discorso fatto a Mosca di fronte ai matusalemme del Cremlino ma tanto coraggio era impiegato per dimostrare in fondo una banalità, già patrimonio delle socialdemocrazie da decenni: che cioè non c’era giustizia sociale senza libertà (lo diceva da noi perfino Saragat, a cui rimprovereremo non questa sentenza illuminata ma di averla portata avanti sulle gambe dei vari Nicolazzi). E poi il cul de sac della Terza Via, fatta con un bizzarro anarcocomunista come Carrillo e un grigio e riluttante burocrate col colbacco come Marchais. Di Berlinguer hanno fatto un mito anche sulla questione del moralismo, dimenticando che se ci fu uno sganciamento dall’oro di Mosca non ci fu una parallela operazione-verità sui finanziamenti complessivi del PCI che restarono vischiosi, inconfessati nei decenni seguenti grazie soprattutto al coraggio personale, se si può chiamarlo così, dei vari Signor G e della indubbia frugalità di tanti militanti. Riguardo alla mancata conciliazione a sinistra col PSI di Craxi, le colpe sono da tutte e due le parti. Ma sarebbe un discorso lungo e non so se sono attrezzato per farlo.

  21. Avatar fulvio
    fulvio

    ciao flaminia,

    volevo dire, era solo questione di ismi o c’era qualcos’altro che con l’ideologismo ha poco a che fare ?
    Un fatto è certo che, per tornare al libro di Telese, che il PCI è morto e sepolto ma l’Italia non sta tanto bene.
    E non sarà un altro ismo a guarirla.
    Attualmente domina ancora il Berluscin ismo.
    più che c’est finì , bien
    c’è Fini alla presidenza della camera.
    ciao

  22. Avatar flaminia
    flaminia

    Fulvio! Non passare -con nonchalanche- dall’idea all’uomo.

  23. Avatar FICTION
    FICTION

    SU RAI 2 STA ANDANDO IN ONDA la fiction: “LA PIOVRA 0”.
    titoli di coda, voti e sensazioni

    PRIMA DONNA: MARCO Travaglio, voto 5- (voce tremante)
    nel ruolo di Marina Berlusconi: Teresa de Sio: voto 4 (prosa volutamente posticcia, per denigrare il personaggio rappresentato)
    nel ruolo di aspirante segretario PD Bersani: voto 5, troppi “Neeee” e sonno quando ascolta Travaglio
    direttori e vicedirettori, voto 7 per la presenza in campo nemico con trucchetti, trappole, torture e uso di altre armi non convenzionali
    Castelli, former ministro della giustizia abituato a combattere con i magistrati, voto 8!
    Curzio, repubblica: distrutto, voto 3, costretti a chiamare i rinforzi dalla spagna
    Pubblico rovente: voto 2, parziale e forcaiolo.
    Santora, la regista, poco Nanni Moretti, molto Vanna Marchi, voto 0 ZERO

  24. Avatar fulvio
    fulvio

    Flaminia,
    ok non personalizziamo troppo il trasformismo collante dell’italietta, non trasformiamo le idee ( quali ‘ ?) in ideologismi,
    ma qualche rappresentanza decente possiamo averla ?
    magari revocabile……

  25. Avatar flaminia
    flaminia

    caro Fulvio,
    ho sentito dire ieri ad un imprenditore (Consorte a NDP su la7) che “si lavora con quello che c’è”. O qualcosa del genere.

  26. Avatar fulvio
    fulvio

    flaminia
    Verissimo, ricordo mia bis – nonna materna, Giulia, una donna tosta di Oneglia, che diceva a sua Figlia quando vendeva i pesci : vendi quello che hanno pescato.
    solo che a quei tempi vendevano merce non avariata.
    salutoni

  27. Avatar flaminia
    flaminia

    Non l’ho capita.

  28. Avatar Iceman
    Iceman

    comprerò il suo libro non appena tornerò in italia. sono proprio curioso di leggerlo.
    Complimenti per il suo lavoro e continui su questa strada.
    Cordiali saluti

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