Dopo le polemiche sul voto sullo scudo fiscale ci hanno chiesto: davvero si può vincere per un pugno di voti? Veramente si può vincere per tre, due, anche per un solo, sporco, ultimo voto. La storia delle guerriglie parlamentari affonda le radici nella prima repubblica. Per un voto cadde il governo Cossiga, quello della povera Maria Pia Garavaglia, crocifissa per aver scelto il momento peggiore per far pipì. Finito il tempo del galateo parlamentare, iniziava quello degli scrutini prostatici.
Garofani all’assalto. Anche il passaggio fra la prima e la seconda repubblica fu plasticamente scandito da una memorabile rissa in Aula per 12 voti. Era il giorno del voto sull’immunità parlamentare per Craxi. I socialisti accusarono la Rete, con la sua piccola pattuglia (proprio 12), di aver votato a favore di Bettino, per soffiare sul fuoco. Dai banchi del Psi una turba calò sulle postazioni di Leoluca Orando e compagni. Le immagini con l’ex sindaco di Palermo, che a braccia conserte fa “no-no” con la testa fecero il giro del mondo, insieme a quelle di Diego Novelli (che due scranni sotto lui, invece, prese un malrovescio).
Inizia l’era Berlusconiana, di nuovo c’è di mezzo un voto, anzi due. Nel 1994, al Senato, il centrodestra non aveva maggioranza. Ad assicurargliela furono due “voltagabbana” eletti nel Ppi-Patto destinati a fulgida carriera. Uno, vecchia volpe Dc, era Luigi Grillo (poi sottosegretario). L’altro, un tributarista di successo rispondeva al nome di Giulio Tremonti (la carriera è nota).
Spionaggio padano. Solo due anni dopo, nel 1995, il ribaltone fu teatro di nuove, epiche lotte. La Lega aveva cambiato fronte, tutti si sforzavano di capire come si sarebbe diviso il gruppo, per la fiducia a Dini. Umberto Bossi (era quello che ripeteva: “Ah, ah, ah! A Silvio gli ho segato il balconcino!”) ne architettò una delle sue con Bobo Maroni.L’ex ministro dell’Interno per giorni dichiarò ovunque: “Voterò per Berlusconi”. Peccato fosse un trucco. Serviva ad attrarre i dissidenti e a farli confidare. Alla vigilia del voto Bobo tornò nei ranghi e Bossi convocò i parlamentari uno ad uno per torchiare i ribelli.
Quirinale & trenini. Che dire dei franchi tiratori per il Quirinale? Una specialità. Per combatterli durante il voto che elesse Scalfaro e giubilò le ambizioni di Andreotti nacque la pratica del “trenino” (non erotico) in cui il compagno di partito faceva controllare al collega che aveva incollato alle spalle la scheda (Non servì: se due vicini nell’ordine alfabetico si accordano, il trucco non riesce).
Rospi & lacrime. Il giorno del voto sulla fiducia a Dini Marida Bolognesi scoppiò in lacrime, mentre spiegava che avrebbe rotto la disciplina di Rifondazione per “Baciare – come scrive il manifesto – il rospo”. Ebbe una stagione di celebrità anche la pipa di Adornato, eletta con i Progressisti e decisiva in un paio di fiducie. Adornato minacciava di passare a destra, e Massimo Gramellini lo motteggiò: “A Nando, facce Tarzan!” Adornato disse: “Ci rimango malissimo” (ma passò a Forza Italia nel 1996. Adesso è all’Udc).
Il giorno del palllottoliere. E che dire del voto che fece cadere Prodi nel 1996? Nacque all’epoca la disputa sul pallottoliere fra Arturo Parisi e Massimo D’Alema. Parisi aveva fatto bene i conti e stimava due voti di vantaggio ma… Salvo Liotta, ex forzista in un primo momento attribuito ai diniani, sentì il richiamo della foresta berlusconiano e cambiò fronte alla vigilia del voto. Irene Pivetti, ex leghista, poi diniana, data per certa, non si presentò. Fino all’ultimo Parisi era rimasto al telefono, informato sulle poppate della neomamma, che per sfamare la sua bimba (almeno ufficialmente) rinunciò a sostenere Prodi (ora fa la condutrice a Mediaset)
Barelle & flebo. Altra crisi altro cardiopalma all’ultimo voto, sempre per Prodi: nell’ottobre del 1998 Emiliana Santoli, di Rifondazione, andò a votare per lui in barella e con la flebo (dopo un viaggio in ambulanza organizzato da Nerio Nesi): venne applaudita sulla piazza di Montecitorio, fra cori di Bellaciao e lacrime: la fiducia passò per il suo voto.
Il pugno di Frosini. E che dire dell’ultima legislatura? Il governo cadde per un voto sulla base nato di Vicenza in Senato, per il no di due senatori: Turigliatto (Rifondazione) e Rossi (Pdci) Rossi. Questi, tornando in Eurostar, si ritrovò per caso di fronte ad un compagno di partito, Nino Frosini che lo apostrofò: “Bruttissimo pezzo di merda!”. E gli mollò un cazzotto. L’elezione del presidente del Senato, nel 2006, vide la comparsa di un fenomeno misterioso: le schede (non valide) per “Francesco Marini” (invece di Franco). Era una trovata dei mastelliani per farsi riconoscere, tenere Marini sulla corda e trattare (Mastella ottenne la Giustizia). La caduta di Prodi, nel 2008, fu segnata da nuovi cardiopalma. Rita Montalcini, 90enne, entrava insultata da Maurizo Gasparri e sorretta da due commessi. Una volta il centrodestra perse per un solo voto. Fu processato Biondi: “Cristo, ero a pisciare!”, gridò addolorato, nel salone Italia. L’ultima a provarci fu Paola Binetti. Votò contro il governo sulla norma anti-omofobia. Ma non riuscì nel suo scopo (almeno quel giorno).
Luca Telese
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