Scusate, lo so, forse vi aspettate qualcosa di più epico. E lo so che può sembrare persino ingenuo, nei giorni in cui in altre redazioni si affilano le lame e magari si compulsano lettere anonime. Ma la cosa vera, è che i primi giorni del Fatto, qui nella redazione di Roma, sono terribilmente simili ai primi giorni di scuola. Ho un figlio di tre anni che tra una settimana inizia ad andare all’Asilo, ma mi pare di averlo preceduto, tornando dietro i banchi prima di lui. E’ una sensazione strana, quasi dimenticata: per trovare un termine di paragone, devo tirarlo fuori dagli armadi della memoria, anzi, dai soppalchi dove si infilano le carabattole sparse, le telecamere con i sistemi video del secolo scorso, gli scarpini screpolati con l’incrostazione dell’ultimo campo che hanno calcato, gli album Panini con i vuoti di qualche figurina mancante che ti fanno il magone solo a guardarli (sia l’album che l’ammanco, a dire il vero).
Eppure è così: le lezioni di “sistema editoriale”, tutte le mattine, questa settimana, possono veramente essere paragonate alle aste tracciate sul quadernetto delle elementari. Siamo per ora dieci, come una piccola classe (altri sono a Milano, altri arriveranno poi), dobbiamo imparare a fare le pagine partendo da zero. La redazione è già porto di mare, ci sono i compagni di banco, si va a pranzo tutti insieme, al ristorante sotto la redazione come a mensa, non c’è ancora quella miscela di anarchia e fisiologica dispersione che tutte le redazioni “normali” producono, la pressione del pezzo da chiudere per andare in pagina. Ma c’è anche un grande conforto: il contatore degli abbonati che continua a girare, anche con più vigore rispetto agli ultimi giorni di agosto. Per dire: siamo scesi a mangiare che eravamo ancora a ventitremila e novecento, e siamo risaliti che avevamo abbattuto il muro del ventiquattromila. Forse non è un fiume in piena, ma può essere una goccia che buca il marmo. Davide, il demiurgo del settore tecnico, mi prende in giro: “Vuoi dare un’altra occhiata?”. E io a dire il vero sì, vorrei, perch questa incredibile ruota che macina, è il prodotto di migliaia di gesti individuali, isolati, convergenti, che rimbalzano di città in città, di provincia, da una capo all’altro del paese. A un certo punto, stamattina, durante la lezione, con due o tre preoccupazioni che mi attraversavano la testa, ho riscoperto un altro sentimento dimenticato: la tentazione del distrarsi un attimo, di perdersi a inseguire un pensiero guardando fuori dalla finestra. Per un attimo ho scoperto di essere deluso di me stesso: non è vero, dunque, che quando impari impari per sempre, e quando hai superato le difficoltà riesci automaticamente a superarle ancora. Subito dopo sono tornato al titolo a due colonne con un senso di colpa. Forse è quel contatore, che un po’ avvince e un po’ mette paura. E che continua a girare. Ventiquattromilazerosette, proprio mentre mando questa paginetta di diario sul sito.
Luca
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